Ultimo atto presidenziale e filoneoduce del rinnegato del comunismo Napolitano rilancia l'inciucio governativo tra PD e PDL Fino all'ultimo giorno del suo settennato il rinnegato Napolitano esercita il suo ruolo di nuovo Vittorio Emanuele III, cercando di favorire in tutti i modi la nascita di un "governo di larghe intese" tra il PD e il PDL, che come si è capito dal suo modo di condurre le consultazioni è la sola opzione da lui presa in considerazione fin dall'inizio di questa crisi. Poiché però non può proclamarlo ufficialmente, in quanto il suo dovrebbe essere un ruolo solo "notarile", cerca di sfruttare tutte le occasioni possibili per parlare, come si dice, a nuora affinché suocera intenda: cioè attraverso perifrasi, metafore, paralleli storici e quant'altro può servire a far arrivare a destinazione il messaggio, ma anche di poter sempre negare, all'occorrenza, di essersi voluto riferire a fatti e soggetti specifici dell'attualità politica. È precisamente quel che ha fatto partecipando l'8 aprile a Palazzo Giustiniani alla commemorazione, nel ventennale della scomparsa, del dirigente del PCI e PDS Gerardo Chiaromonte, al cui fianco militava nella destra "migliorista" del PCI, con un intervento in cui ha rievocato gli anni tra il 1976 e il 1979 e il "compromesso storico" tra il PCI di Berlinguer e la DC di Moro, che portò ai governi di "solidarietà nazionale". Rievocazione in chiave apologetica, volta chiaramente a invocare un analogo compromesso tra il PD di Bersani, o di chi al posto suo, e il PDL del neoduce Berlusconi, affinché si realizzi l'inciucio del "governo di larghe intese", tagliando fuori il terzo incomodo del Movimento 5 Stelle. E non è stato scelto certo a caso, per partecipare a questo convegno, il fior fiore dei teorici dell'inciucio dei due partiti, come i rinnegati Massimo D'Alema e Franca Chiaromonte e il rinnegato e consigliere politico del neoduce, Giuliano Ferrara. Attorniati dal capogruppo PD al Senato, Luigi Zanda, e dall'ex "migliorista" filocraxiano Emanuele Macaluso. E con la partecipazione di due tra i papabili presidenti della rosa "gradita" anche a Berlusconi, come il neo presidente del Senato, Pietro Grasso, e l'attuale ministro della Giustizia, Paola Severino. E ancora non a caso Napolitano, nel suo intervento commemorativo della figura del suo amico Chiaromonte, è partito subito dalla loro comune vocazione di "pontieri" tra il PCI revisionista e il PSI riformista e liberale, fin da quando Nenni ruppe con il PCI dopo la sconfitta elettorale del 1948, e mantenendo questo ruolo comune anche e soprattutto con il PSI di Craxi, con il quale trescavano per realizzare la fusione in un unico partito della "sinistra" riformista: "Perché quello - sottolinea l'inquilino del Quirinale esaltando la loro continua opera di ricucitura a destra col PSI - era in effetti un banco di prova del non settarismo, del non dogmatismo, dell'apertura a nuovi orizzonti". Un governo PD-PDL sul modello della "solidarietà nazionale" È evidente in queste parole l'aggancio alla situazione attuale, con la neanche tanto velata esortazione al PD a dialogare col PDL e con Berlusconi, in vista di eleggere un suo successore di "garanzia" per entrambi e di superare lo stallo politico-istituzionale con un "governo di larghe intese". Magari sul modello, a parti invertite, del governo monocolore DC di Andreotti, che nel 1976 nacque grazie all'astensione del PCI. Quella "benevola astensione" che oggi potrebbe essere concessa dal partito del neoduce e dalla Lega ad un governo PD. Previo accordo per eleggere al Quirinale un candidato di "centro-destra", o anche di "centro-sinistra" purché "non ostile" a Berlusconi. Tant'è vero che subito dopo aver rivendicato il merito storico del dialogo col PSI, Napolitano ha aggiunto: "Ma al di là di ogni discorso ristretto all'area delle forze di sinistra, il senso di una funzione e responsabilità nazionale democratica guidò Gerardo nella grande crisi e svolta del 1976, impegnandolo in prima linea al fianco di Enrico Berlinguer nella scelta e nella gestione di una collaborazione di governo con la Democrazia Cristiana dopo decenni di netta opposizione. E ci volle coraggio per quella scelta di inedita larga intesa e solidarietà, imposta da minacce e prove che per l'Italia si chiamavano inflazione e situazione finanziaria fuori controllo e aggressione terroristica allo Stato democratico come degenerazione ultima dell'estremismo demagogico". Il termine "larga intesa e solidarietà" da lui esplicitamente citato non lascia dubbi sul perché sia andato a rispolverare proprio quel periodo storico, anche se poi ha negato ipocritamente che si sia voluto riferire alla situazione attuale. Tutti invece hanno capito benissimo che intendeva paragonare la situazione di oggi a quella di allora, caratterizzate dallo stesso stallo politico (il PCI e la DC ormai si equivalevano elettoralmente) e da una simile crisi economica. E anche il terrorismo sedicente "rosso" di allora è stato da lui rievocato come metafora di futuri scenari di rivolta sociale, anche violenta, da sventare oggi come allora attraverso il pugno di ferro repressivo della destra e l'opera di pompieraggio della "sinistra" borghese, unite nello stesso governo a difesa del sistema capitalista e delle istituzioni borghesi dalle future lotte di piazza delle masse, esasperate dalla macelleria sociale che tale governo dovrà continuare necessariamente a praticare. Altolà di Napolitano ad intese PD-M5S contro Berlusconi Che il rinnegato Napolitano intendesse riferirsi proprio alla situazione attuale è confermato in maniera lampante anche dalla frase finale del suo discorso, quando col pretesto di parlare della "moralità di uomo politico" di Chiaromonte, ha chiosato: "Non è di questo, peraltro, che parlano certe campagne che si vorrebbero moralizzatrici e in realtà si rivelano, nel loro fanatismo, negatrici e distruttive della politica". Il che voleva essere in tutta evidenza una sprezzante censura al Movimento 5 Stelle, per tagliare le gambe ad ogni ulteriore tentazione dell'ondivago Bersani di svincolarsi dall'abbraccio mortale col cavaliere piduista sperando ancora in un qualche appoggio del movimento di Grillo. Magari proponendo un candidato antiberlusconiano al Quirinale che anche il M5S potrebbe votare. È proprio questo possibile scenario, alternativo al "governissimo" PD-PDL-Scelta civica, che il nuovo Vittorio Emanuele III ha voluto bruciare in anticipo con il suo intervento centrato sull'esaltazione dei "governi di solidarietà nazionale" e di condanna delle "campagne moralizzatrici negatrici e distruttive della politica", che bacchetta il M5S e al tempo stesso riabilita i politici corrotti e "impresentabili", primo fra tutti Berlusconi. Inoltre col suo intervento ha inteso incoraggiare tutte le correnti del PD, dai renziani ai dalemiani, dai veltroniani agli ex democristiani, che remano contro Bersani e lavorano per andare al più presto all'inciucio col neoduce Berlusconi. Insomma, il rinnegato del Quirinale, pur essendo virtualmente già decaduto dai suoi poteri per via del "semestre bianco", continua invece ad esercitarli travalicando in modo presidenzialista la Costituzione, per gestire la crisi politica e indirizzarla dove vuole lui, cioè verso un accordo tra il PD e il PDL per un "governo di larghe intese" . E anche se ormai non sarà lui a mandarlo in porto, con questo intervento ha inteso imporlo come mandato vincolante anche al suo successore. 17 aprile 2013 |