Rendendo omaggio a Budapest ai controrivoluzionari ungheresi del '56 Napolitano esalta il capitalismo e l'Ue e attacca il socialismo Il capo dello Stato elogia il governo democristiano italiano che si schierò con la controrivoluzione ungherese "Questa mia visita coincide con la preparazione delle celebrazioni del cinquantesimo anniversario della rivoluzione del 1956 e non a caso il primo atto che ho compiuto venendo a Budapest è stato rendere omaggio ai caduti del 1956, e alla tomba di Imre Nagy". In questo esordio della sua dichiarazione alla stampa del 26 settembre scorso a Budapest è spiattellato tutto il senso della visita di Stato di Giorgio Napolitano in Ungheria: fare di questa visita un'occasione di solenne condanna del comunismo e dello stalinismo e di esaltazione della controrivoluzione ungherese del '56 e del "trionfo" del capitalismo; rese ancor più eclatanti perché a farlo è un capo di Stato "ex comunista", che all'epoca dei fatti d'Ungheria si pronunciò a favore dell'intervento sovietico per sconfiggere quel tentativo controrivoluzionario. E così è stato, infatti. Non appena arrivato a Budapest Napolitano si è recato a rendere omaggio al monumento ai caduti della controrivoluzione, deponendo una corona di fiori, e subito dopo alla tomba del controrivoluzionario e agente dell'imperialismo, Imre Nagy, dove ha deposto un mazzo di fiori e sostato a lungo in silenzio a capo chino a beneficio delle telecamere. Nella successiva dichiarazione stampa, nel rievocare il significato di questo suo omaggio alla controrivoluzione del 1956, Napolitano ha poi sottolineato di averlo voluto fare "a nome dell'Italia, di tutta l'Italia, in ricordo di quanti governavano l'Italia nel 1956 e che assunsero una posizione risoluta a sostegno dell'insurrezione ungherese e contro l'intervento militare sovietico, e anche a nome di quanti nel corso del tempo hanno saputo riconoscere la straordinaria importanza e lungimiranza di quell'evento rivoluzionario". L'inquilino del Quirinale, cioè, non si accontenta di omaggiare la controrivoluzione del '56 e di abiurare il suo stesso passato di "ex comunista", ma si spinge addirittura a esaltare il governo democristiano di allora, quello stesso che teoricamente egli a quell'epoca combatteva. E si badi bene che si trattava di uno dei peggiori governi "centristi" (DC più PLI più PSDI di Saragat) del dopoguerra, guidato dal democristiano Antonio Segni (il futuro presidente golpista al tempo del golpe De Lorenzo, padre del neofascista e presidenzialista Mariotto Segni), con l'ultra atlantico Gaetano Martino agli Esteri, Paolo Emilio Taviani alla Difesa, e agli Interni nientemeno che Fernando Tambroni, il famigerato presidente del Consiglio democristiano che porterà al governo i fascisti del MSI scatenenando i moti di piazza del luglio 1960. È questo il governo reazionario a cui Napolitano si inchina riconoscente; a questo e a quei rinnegati che, come egli stesso, "nel corso del tempo" hanno saltato il fosso e abiurato tutto quello che c'era da abiurare, prosternandosi servilmente davanti a ciò che in passato avevano combattuto e condannato. E infatti ha confessato di aver voluto compiere con questo omaggio "non solo un dovere di Stato, ma anche un dovere politico e morale personale". Ma l'opera non sarebbe stata completa se oltre all'abiura delle proprie posizioni passate e all'omaggio alla controrivoluzione ungherese, Napolitano non avesse aggiunto anche la condanna del socialismo e l'esaltazione del suo opposto, il capitalismo, oggi rappresentato al più alto livello nel nostro continente dall'Unione europea imperialista. "Oggi - ha aggiunto infatti significativamente il capo dello Stato - rivolgendomi all'Accademia delle Scienze, avrò modo di mettere in evidenza come, sia pure sconfitta e stroncata, la Rivoluzione ungherese del 1956, lasciò tracce profonde, e come l'influenza dell'Europa democratica, raccolta nelle istituzioni della Comunità Europea, sia stata determinante per far maturare la grande svolta che si sarebbe poi realizzata nel 1989, rendendo possibile la riunificazione del continente nella democrazia e nella pace". Una pace che, secondo Napolitano, l'Europa deve difendere anche "fuori dei propri confini, su scala mondiale", ed è per questo che "l'Italia, insieme ad altri Paese dell'Unione europea, partecipa attivamente a missioni militari all'estero". Nel successivo discorso all'Accademia delle scienze, Napolitano ha poi sviluppato fino in fondo il suo attacco al socialismo e la corrispondente esaltazione della "superiorità" del capitalismo. Parlando della divisione dell'Europa in due blocchi dopo la fine della II guerra mondiale, ha subito chiarito che per lui quello occidentale "si identificava pienamente con i principi di libertà e di democrazia", mentre l'altro viveva in una condizione di "sovranità coattivamente limitata, ovvero di sostanziale perdita della sovranità nazionale". Quanto ai fatti di Budapest del 1956, "si era, allora, ancora agli albori della costruzione europea, la cui influenza e forza di attrazione si sarebbe poi fatta tanto sentire", ha detto Napolitano, che poi ha aggiunto: " La sollevazione ungherese contro lo stalinismo che aveva fatto tutt'uno col comunismo fu la prova più alta di quello che un grande storico, Ferenc Fejto, ha colto come dato di fondo rimasto insopprimibile nelle vicende, pur così dure e spietate, delle democrazie popolari: la 'linfa della libertà', l'autonomismo della società civile e la resistenza della sfera individuale, anche religiosa, di certo intellettuale, rispetto alla pressione della macchina totalitaria. Ecco che cosa animò la rivoluzione ungherese dell'ottobre 1956, e si manifestò a più riprese attraverso sussulti che scossero diversi paesi del blocco sovietico, fino ad esplodere dovunque nel 1989". La controrivoluzione ungherese del '56, sarebbe stata quindi per il rinnegato Napolitano, il primo scossone del terremoto dell'89, e di conseguenza, a suo dire, fu anche "un generoso moto di popolo che costituì tuttavia uno straordinario momento precursore della storica riunificazione del nostro continente nello spazio unitario di civiltà dell'Unione europea". Invece fu un tentativo, non riuscito, dell'imperialismo occidentale di espugnare la fortezza socialista dall'esterno. Perciò fu giusta e necessaria la sua repressione, e su questo non c'è nessun verdetto storico da rivedere né autocritica da fare. E se la fortezza socialista fu poi espugnata dall'interno, grazie ai revisionisti kruscioviani e brezneviani, di cui Napolitano, come tutto il vertice togliattiano del PCI fu uno zelante servitore, prima di diventare il leader dei "miglioristi", cioè della corrente neoliberale e craxiana di quel partito, questo non ha niente a che vedere né con i presunti "crimini" del comunismo né con l'altrettanto presunta "superiorità" del capitalismo. 11 ottobre 2006 |