Congresso di fondazione del Popolo della libertà Nasce il nuovo partito fascista La "sinistra" borghese nascondendo ciò lascia campo libero al nuovo Mussolini Il neoduce Berlusconi attacca furiosamente il comunismo, Stalin, Mao e Pol Pot Al Congresso di fondazione del Popolo della libertà, svoltosi dal 27 al 29 marzo alla Nuova fiera di Roma, che ha visto l'incorporazione di Alleanza nazionale in Forza Italia, è andata in scena la nascita del nuovo partito fascista, con tanto di acclamazione di Berlusconi a suo duce incontrastato. Si è così realizzata compiutamente la nuova marcia su Roma che il neoduce iniziò nel 1993-94 con la sua "discesa in campo", non a caso più volte richiamata in Congresso e da lui stesso come il suo "capolavoro politico" di "salvatore della patria" dal pericolo del comunismo. È stato uno spettacolo di dimensioni faraoniche, degno in tutto e per tutto di quelli ordinati dal suo maestro Mussolini durante il ventennio fascista, e imitati prima di lui dall'altro suo maestro Craxi nei congressi del PSI, che egli ha curato personalmente nei minimi particolari e senza badare a spese: oltre tre milioni di euro, compreso l'alloggio gratuito in alberghi di lusso per i delegati provenienti da fuori, i 150 pullman necessari a trasportarli dagli alberghi alla Nuova fiera di Roma e i pasti per i 6 mila delegati, i 3 mila tra ospiti e personale dell'organizzazione, tra cui ben 250 hostess, e i 700 giornalisti di 217 testate accreditati. Non erano stati invece invitati gli altri partiti parlamentari, a parte la Lega di Bossi, come a sottolineare che il Pdl è l'unica realtà nell'attuale quadro politico, tutte le altre forze essendo irrilevanti al suo confronto. La scenografia, dal neoduce affidata non a caso ad un allievo dell'architetto dei congressi di Craxi, Panseca, era centrata su un palco di 600 metri quadri, con al centro solo un podio per gli interventi, e con un megaschermo di ben 580 metri quadri esteso per tutta la lunghezza del palco: il tutto appositamente studiato per dare il massimo risalto alla sua immagine di "uomo della provvidenza", di Messia sceso in terra per condurre il "suo popolo" verso la terra promessa. Per non parlare poi del coro di 100 elementi per cantare l'inno di Mameli e la ripetizione ossessiva ad ogni occasione dell'inno di Forza Italia "meno male che Silvio c'è", sia pure suonato senza parole per non umiliare troppo AN. Inoltre il neoduce ha preteso e imposto che, almeno il primo giorno, la scena mediatica fosse monopolizzata dai suoi nuovi Balilla, un esercito di giovani adoratori e incensatori rigorosamente selezionati per la "bella presenza" (qualcuno dice reclutati anche con l'aiuto di provini effettuati da un'apposita agenzia interinale), per dare un'immagine nuova, giovanile e quindi proiettata nel futuro del Pdl, e anche per suggerire il messaggio che i giovani sono tutti con lui. Non solo infatti ha voluto che fossero piazzati nelle prime file per consentire alla regia televisiva di zummare sui loro volti invariabilmente "carini, puliti ed estatici" durante il suo discorso (in contrapposizione, evidentemente, alle facce "brutte sporche e cattive" dei giovani contestatori dell'Onda e dei centri sociali), ma ha fatto fare da madrina alla più giovane deputata di FI, e si è fatto precedere al podio dagli interventi di due ragazze e di due ragazzi che neanche fossero in un reality Mediaset hanno fatto a gara per superarsi in lodi e adulazioni del "capo", definendolo "il nostro grande leader", l'"artefice di un miracolo politico", un "eroe", il "realizzatore dei nostri sogni" e così via adorando. Il partito unico fascista "di tutti gli italiani" Preparato da questo disgustoso siparietto e dalle ridicole svenevolezze della giovane madrina ("sono emozionata, è arrivato il momento..."), nonché dall'inno "meno male che Silvio c'è" e da un'ovazione della sala, è quindi iniziato l'intervento di Berlusconi, durato oltre un'ora e mezzo. Salutato calorosamente il suo "fedele e leale alleato" Umberto Bossi, il neoduce si è lanciato subito in una compiaciuta esaltazione del nuovo partito fascista, accreditandolo al 43,2% nei sondaggi ma indicando nel 51% l'obiettivo da raggiungere e nel bipartitismo il perfezionamento di quel bipolarismo di cui "il popolo italiano e noi portiamo il merito insieme". Della parola "popolo" egli si è letteralmente riempito la bocca e ad ogni passaggio, arrivando a dire che "noi siamo un popolo prima che un partito", e che il Pdl è "il partito di tutti gli italiani". "Siamo l'unico governo possibile in Italia", ha aggiunto raggiante il neoduce. Come il PNF (Partito nazionale fascista) di Mussolini, quindi, anche il Pdl di Berlusconi si propone di fatto come il partito unico del regime neofascista e per molti anni a venire, arrogandosi il diritto di rappresentare l'intero "popolo italiano", dal momento che "la sinistra sta uscendo di scena e non ha più un volto", mentre il nuovo partito è ormai lanciato nella realizzazione di una "rivoluzione liberale, borghese e popolare, moderata e interclassista che colma un vuoto nella storia italiana". "A causa della mancanza di una rivoluzione liberale - ha aggiunto infatti - in Italia si è assistito a una democrazia incompiuta. Noi abbiamo l'ambizione di colmare quel vuoto e dare risposta a quella domanda". Un frasario che sembra preso di peso da quello del primo Mussolini, quello che con la demagogia e il populismo si faceva strada verso il potere assoluto sfoggiando un rivoluzionarismo interclassista e di facciata per costruire una base di massa al movimento fascista. Non per nulla il gerarca Brunetta, che ha ricevuto l'ovazione più grossa dopo Berlusconi, ha centrato il suo intervento fascistoide sui concetti che "oggi i rivoluzionari siamo noi" e che "la vera lotta di classe del nostro tempo non è quella tra capitale e lavoro ma tra il buon lavoro, il buon capitale e la classe sfruttatrice della burocrazia parassitaria". In questo senso è del tutto fuorviante l'interpretazione diffusa secondo la quale il Pdl rappresenterebbe una sorta di nuova DC. In questo partito non c'era infatti l'egemonia di un unico leader che si proclama investito direttamente "dal popolo" e pretende di governare al di sopra delle istituzioni e di piegarle al suo volere cambiando la Costituzione, per realizzare una "missione" che gli ha affidato "il popolo". Nella storia del nostro Paese c'è solo un paragone possibile, ed è quello col partito fascista di Mussolini. È ispirandosi a questo modello storico che anche il neoduce si è richiamato alla triade "dio, patria, famiglia" come nucleo centrale della tavola dei valori del nuovo partito fascista. E non a caso ha voluto glorificare la figura di Craxi ("mio amico carissimo"), che prima di lui si era ispirato alla figura del duce, sollevando infatti un'ovazione della sala quando ha ricordato che fu il primo in parlamento a rivolgersi al MSI e a "decretare la fine del cosiddetto arco costituzionale". A rompere cioè con l'antifascismo a sinistra e a sdoganare gli eredi di Mussolini, processo poi completato dallo stesso Berlusconi nel 1994 e accettato in seguito anche dalla "sinistra" borghese. All'insegna dell'anticomunismo più viscerale Per battezzare degnamente il nuovo partito fascista poteva perciò mancare l'anticomunismo, che è da sempre la principale ragione di vita del fascismo? E difatti, nella parte centrale del suo discorso, il neoduce ha offerto uno dei suoi più viscerali e deliranti esempi. Ma non perché, come ha detto minimizzando Franceschini, "Berlusconi è rimasto fermo al '94". Il vero obiettivo della sparata anticomunista del neoduce non era il PD, e nemmeno i rottami dei partiti falsi comunisti che riesumano adesso la falce e martello per ingannare, turlupinare e cercare di recuperare gli astensionisti di sinistra. Il suo vero obiettivo sono i valori incancellabili del comunismo, la sua storia e i suoi simboli, che egli sa bene che covano ancora sotto la cenere nel cuore di milioni di elettori di sinistra, e che rischiano di essere risvegliati dalla crisi economica, dal fallimento del liberismo e del riformismo e dall'azione infaticabile dei marxisti-leninisti che hanno risollevato la bandiera del socialismo. "Non dimentichiamoci mai - ha ammonito infatti i suoi gerarchi e tirapiedi in sala - che nel nostro Paese ci sono stati milioni di adoratori di tiranni sanguinari come Stalin, come Mao, come Pol Pot". Come a mettere in guardia che in molti di essi potrebbero tornare a vivere e a germogliare i semi del comunismo. Tanto è forte il suo odio verso il socialismo e il comunismo che è arrivato addirittura a ricorrere a una palese menzogna affermando che "l'Armata Rossa entrò tra i palazzi diroccati di Varsavia e di Berlino, dopo aver opportunisticamente atteso alle frontiere". A cospetto della straripante figura del neoduce al fascista Fini è toccata solo la parte secondaria del comprimario. Da tempo rimasto come un generale senza esercito, dato che i suoi "colonnelli" erano già passati quasi tutti al servizio di Berlusconi, mentre si è fatta sempre più sfumata e incerta la prospettiva di subentrargli un giorno alla guida della destra italiana, l'erede di Almirante ha cercato di ritagliarsi un suo spazio nel nuovo partito fascista facendo ancora una volta leva sul suo ruolo "istituzionale" e cercando di distinguersi tatticamente ma non sostanzialmente per quel poco che era possibile dal suo ingombrante alleato, ora diventato anche suo leader. E lo ha fatto soprattutto sui temi del ruolo del parlamento (che Berlusconi aveva attaccato di nuovo proprio alla vigilia del Congresso), delle "riforme istituzionali" da fare con e non contro l'opposizione, dell'immigrazione e del referendum elettorale (due temi fortemente invisi alla Lega), della critica alla legge sul testamento biologico imposta dalla maggioranza al Senato, da lui definita "da Stato etico". Ma nel discorso di chiusura, a cui peraltro Fini non ha assistito, Berlusconi ha fatto orecchie da mercante, e di tutto il suo discorso ha ripreso furbescamente solo la parte in cui il presidente della Camera aveva lodato la "lucida follia" del premier. In compenso è tornato ad invocare con più forza la controriforma della Costituzione, il presidenzialismo e la modifica dei regolamenti parlamentari, perché oggi il premier (cioè lui) ha solo "poteri finti". E ha demolito l'esortazione di Fini (e di Napolitano che anche lui vi aveva insistito nel suo messaggio di ringraziamento per il caloroso saluto ricevuto dal Congresso) al dialogo con il PD per riforme istituzionali "condivise", avvertendo che la controriforma la farà comunque a colpi di maggioranza, che l'opposizione collabori oppure no. Come anche ha respinto sprezzantemente al mittente l'esortazione di Franceschini a non presentarsi come capolista del Pdl alle europee. Le sottovalutazioni della "sinistra" borghese Ripetendo il fatale errore del '22 la "sinistra" borghese non ha capito, o finge di non capire, che col Pdl è nato il nuovo partito fascista. Franceschini ha addirittura commentato che "è un fatto positivo che nasca un grande partito di destra", limitandosi solo ad aggiungere che da Berlusconi arrivano "sempre le stesse parole e gli stessi attacchi del '94". Una posizione quasi pilatesca, tantopiù reticente e assurda alla luce di quella invece chiarissima del Vaticano, che attraverso l'Osservatore romano si è prontamente e pubblicamente schierato col nuovo partito fascista, definendolo il partito oggi "maggiormente in grado di esprimere i valori comuni della popolazione italiana, tra i quali quelli cattolici costituiscono una parte non secondaria". Silenzio di tomba dai partiti opportunisti e falsi comunisti a sinistra del PD. La trotzkista Rossanda invece ha sentito il bisogno di intervenire, ma non per denunciare il nuovo partito fascista e il suo duce, bensì per spargere ulteriore cloroformio a sinistra: "Non credo che il fascismo sia alle porte... un regime del genere è oggi impensabile in Europa", ha scritto su il manifesto del 31 marzo. Solo Di Pietro si è spinto fino a definire Berlusconi, molto riduttivamente, "un ducetto", e a parlare per la nascita del Pdl di realizzazione del piano della P2. Ma la sua è una posizione, oltre che riduttiva, tutta strumentale e finalizzata a portare via voti a sinistra al PD, non ad una vera opposizione al disegno piduista del neoduce, prova ne sia il suo recente voto a favore del federalismo fiscale al Senato. Senza contare che c'è anche chi è sempre pronto a raccogliere i segnali di Fini e a trescare per le "riforme istituzionali"; come D'Alema, che ha subito dichiarato: "Penso anch'io che il Paese avrebbe bisogno di una stagione costituente. L'idea di tornare a discutere delle riforme necessarie a partire, come ha detto Fini, dalla bozza Violante credo sia una sfida che il centrosinistra dovrebbe raccogliere". E come Scalfari, che addirittura definisce Fini un "uomo politico che ormai ha acquistato lo spessore di un uomo di Stato" e invita la "sinistra" borghese a intonare la canzone "meno male che Fini c'è". Eppure lo stanno capendo perfino all'estero che col Pdl è nato il nuovo partito fascista, come per esempio ha denunciato il quotidiano inglese Guardian, che il 30 marzo ha dedicato al congresso di Roma un editoriale dal titolo "Italia: l'ombra del fascismo". È molto grave che la "sinistra" borghese, in nome della difesa del sistema capitalistico e per non interrompere il corso delle "riforme" istituzionali e della terza repubblica di cui è fautrice e corresponsabile, arrivi a nascondere questa nera realtà alle masse lasciando campo libero al nuovo Mussolini, alla sua macelleria sociale e alla piena restaurazione del fascismo sotto altre forme. Da parte nostra non ci stancheremo mai di denunciarlo e di chiamare la classe operaia, i giovani e tutte le masse popolari democratiche e antifasciste a non dargli tregua con la lotta di classe fino a farlo cadere nella polvere. 1 aprile 2009 |