Con la connivenza dei paesi imperialisti, compresa l'Italia di Prodi e D'Alema I nazisti di Tel Aviv arrestano ministri e parlamentari di Hamas Raid sulla sede del premier palestinese La preannunciata rappresaglia sionista su Gaza, dopo l'attacco del 25 giugno della resistenza palestinese alla postazione di Kerem Shalom e la cattura di un soldato, è scattata allo scadere dell'ultimatum lanciato dal governo di Tel Aviv. Il 28 giugno ha preso il via la prima fase di "Pioggia estiva", il nome in codice dato dall'esercito sionista all'attacco nella striscia di Gaza e in Cisgiordania. Una pioggia di bombe e missili sui territori palestinesi a copertura delle incursioni dei mezzi blindati in particolare nel sud della striscia di Gaza. Una rappresaglia di tipo nazista preceduta dall'incursione dell'aviazione di Tel Aviv nei cieli della Siria e completata dal sequestro di ministri e parlamentari di Hamas; azioni illegali bollate da Hamas come una vera e propria dichiarazione di "guerra aperta contro il governo ed il popolo palestinese". Non una parola di condanna, anzi piena connivenza da parte dei paesi imperialisti, compresa l'Italia di Prodi e D'Alema. Il 28 giugno i cacciabombardieri israeliani entravano nello spazio aereo siriano e sorvolavano la residenza del presidente Bashar Assad a Latakia; si trattava di un chiaro "avvertimento" alla Siria che offre rifugio a esponenti in esilio di Hamas. La violazione dello spazio aereo di un paese sovrano è una azione illegale che diventa un fatto secondario se compiuta dai sionisti. Il governo siriano protestava per la violazione del suo spazio aereo, definita "un'azione provocatoria e stupida" e per il silenzio internazionale sia sulle distruzioni a Gaza, sia sul rifiuto di Tel Aviv a ritirarsi dai Territori occupati. Un silenzio complice che continuava sui contemporanei attacchi a Gaza. L'aviazione di Tel Aviv bombardava alcune vie di comunicazione, fra le quali i ponti a Nusseirat e tra Gaza city e Khan Yunis, e la principale centrale elettrica della striscia di Gaza. Almeno 600-700mila persone, la metà degli abitanti della striscia, restavano senza elettricità, al buio e senza l'acqua che non poteva essere tirata su dai pozzi dalle pompe. I carri armati e diversi mezzi blindati entravano nel sud della striscia e occupavano l'aeroporto internazionale di Dahaniyeh, l'unico scalo di Gaza. Reparti sionisti entravano anche in Cisgiordania con incursioni in particolare nella zona di Ramallah dove ha sede il governo dell'Autorità nazionale palestinese. Hamas lanciava l'appello a resistere all'offensiva sionista; "Gli israeliani hanno aerei e carri armati contro i quali non possiamo fare molto, ma se verranno nelle nostre città per combattere strada per strada, allora riporteranno a casa nelle bare molti dei loro soldati", affermava un responsabile dei Comitati di resistenza popolare. A un posto di blocco nelle vicinanze di Ramallah i soldati sionisti arrestavano Mohammed el Barghuti, ministro del Lavoro del governo palesinese. Il 29 giugno saranno una novantina i dirigenti e militanti di Hamas, tra i quali 23 parlamentari e otto ministri, arrestati in Cisgiordania. La "caccia" ai parlamentari di Hamas era evidentemente preparata da tempo dal regime di Tel Aviv in esecuzione del progetto, quantomeno avallato dal padrino imperialista americano, di tentare di liquidare il governo di Hamas dopo la legittima vittoria elettorale del 25 gennaio scorso. Secondo il quotidiano israeliano Haaretz l'operazione era pronta da diverse settimane e il via libera alla lista delle persone da arrestare era stato dato il 28 giugno dal primo ministro Ehud Olmert e dal capo dei servizi. La rappresaglia sionista era completata il 29 giugno con un nuovo bombardamento a Gaza e la distruzione di una seconda centrale elettrica che rendeva ancora più critica la situazione degli 1,3 milioni di abitanti della striscia di Gaza, stretta in una morsa, isolata e bombardata. In termini giuridici si tratta di "punizioni collettive e crimini contro l'umanità", di crimini come il sequestro di un intero popolo e la detenzione di più di 10 mila prigionieri, comprese donne e bambini, detenuti senza alcun capo d'imputazione né processi regolari dei quali il governo sionista non è chiamato a rispondere per la copertura dell'imperialismo. Il 28 giugno la Casa Bianca ripeteva che Israele ha il diritto di difendersi, unico monito al governo Olmert quello di "fare in modo che non ci siano vittime civili". Identica preoccupazione da parte dell'Unione europea con il commissario europeo alle Relazioni Esterne, Benita Ferrero Waldner, che ripeteva "chi ha preso in ostaggio il caporale Shalit deve liberarlo immediatamente e Israele deve usare prudenza". Altrettanto ipocrita la dichiarazione dei ministri degli Esteri del G8 riuniti a Mosca in preparazione del prossimo vertice che in una dichiarazione esprimevano la loro "preoccupazione", chiedevano l'immediata liberazione del soldato israeliano e invitavano Israele a "limitare" le sue reazioni. Un palese via libera alla rappresaglia nazista israeliana che era invece duramente condannata dalla Lega Araba. Il 30 giugno, dopo l'incontro con l'omologo spagnolo Moratinos, il ministro degli esteri Massimo D'Alema prometteva che l'Italia non sarebbe stata ferma a guardare la nuova crisi nella striscia di Gaza. Le sue iniziative: un contatto telefonico costante con il presidente palestinese Abu Mazen per capire "come intervenire per la ricerca di una via d'uscita" e un viaggio a Gaza "il prima possibile". Subito dopo la cattura del soldato israeliano da parte della resistenza palestinese D'Alema aveva telefonato al presidente palestinese per esprimergli la "profonda preoccupazione" dell'Italia e la richiesta "dell'immediato rilascio dell'ostaggio". E aveva riferito della telefonata al primo ministro israeliano Olmert. Dopo il sequestro dei ministri e parlamentari palestinesi anche il telefono del ministro degli Esteri italiano ha taciuto. D'altra parte il presidente del consiglio Romano Prodi quando il 3 luglio è intervenuto a Roma al congresso dell'Ucei (Unione delle comunità ebraiche italiane) si è limitato a garantire "l'impegno dell'Italia e del mio governo a contribuire a questa indispensabile anche se lontana pace in Medio Oriente"; non ha detto una parola sui diritti dei palestinesi calpestati dal regime di Tel Aviv e anzi si è schierato apertamente dalla parte dei sionisti ripetendo che una pace "non può esserci senza il diritto di Israele a vivere in sicurezza". Tra l'altro l'Italia dà un contributo alla "sicurezza" di Israele tanto che è il secondo partner militare europeo di Tel Aviv dopo la stipula nel 2005 del memorandum d'intesa per la cooperazione nel settore militare e della difesa, un memorandum stilato dal governo Berlusconi e divenuto legge con i voti favorevoli anche dei senatori del gruppo Democratici di sinistra-Ulivo. La copertura imperialista al governo sionista si completava l'1 luglio quando il presidente americano Bush ripeteva che "la chiave per risolvere la crisi" è solo la liberazione del soldato israeliano e quando il Consiglio di sicurezza dell'Onu decideva di non discutere una risoluzione di condanna di Israele proposta da alcuni stati arabi. Eppure l'Onu dovrebbe muoversi per dar seguito alle decisioni in favore dei palestinesi, fra le quali quella del 9 luglio 2004 quando la Corte di giustizia dell'Aja riconobbe che "l'edificazione del Muro che Israele, potenza occupante, sta costruendo nel territorio palestinese occupato, ivi compreso all'interno e sui confini di Gerusalemme est, e il regime che lo accompagna, sono contrari al diritto internazionale. Israele è obbligato a porre termine alle violazioni del diritto internazionale di cui è l'autore; è tenuto a cessare immediatamente i lavori di costruzione del muro". Il governo di Tel Aviv respingeva qualsiasi ipotesi di trattativa per la liberazione del soldato prigioniero, compresa l'offerta avanzata l'1 luglio dai tre gruppi palestinesi che avevano organizzato l'azione del 25 giugno per uno scambio con altri detenuti nelle carceri sioniste. Nel comunicato diffuso dalle Brigate Ezzedin el Qassam, dai Comitati popolari di resistenza e dall'Esercito dell'Islam, si chiedeva inoltre che Israele "metta fine a tutte le aggressioni" in Cisgiordania e all'offensiva nella striscia di Gaza. Richiesta respinta da Tel Aviv che il 2 luglio inviava i caccia a colpire la sede del primo ministro palestinese Ismail Haniyeh a Gaza. Haniyeh condannava il raid aereo contro il suo ufficio: "è un attentato contro un simbolo palestinese. Chiediamo alla comunità internazionale e alla Lega araba di assumersi le proprie responsabilità verso il nostro popolo e di intervenire per fermare questa aggressione". Il ministro dell'Interno israeliano Roni Bar-On rispondeva che "abbiamo colpito Hamas e continueremo a colpire tutte le istituzioni legate ad Hamas". La comunità internazionale continuava a tacere. E il 4 luglio i carri armati israeliani che il giorno precedente avevano attraversato il confine nel nord della striscia di Gaza si dirigevano sulla città di Beit Hanun per un nuovo attacco. 5 luglio 2006 |