Hezbollah risponde: Guerra totale I nazisti di Tel Aviv attaccano il Libano da terra e cielo No ai "caschi blu" e alla partecipazione dell'Italia. Il G8 dà la colpa a Hezbollah e Hamas. Iran: i sionisti come Hitler PMLI: "Al bando Israele" Il portavoce delle forze di sicurezza di Tel Aviv dichiarava la sera del 18 luglio che l'aeronautica aveva effettuato nella giornata altri 52 raid su tutto il territorio libanese mentre nel sud del paese gli aerei lanciavano volantini per invitare i residenti a lasciare la zona per un nuovo imminente attacco aereo. Contemporaneamente il numero due dell'esercito sionista, il generale Moshe Kaplinsky, sosteneva che "a questo punto non pensiamo di dover attivare massicce forze di terra in Libano ma se dovremo farlo, lo faremo. Non lo escludiamo". L'aggressione dei nazisti di Tel Aviv al Libano, iniziata il 13 luglio con una pioggia di bombe su Beirut, potrebbe continuare con una invasione via terra già preparata con l'invio dei reparti speciali. L'apertura del secondo fronte non ha comunque impedito al regime sionista dal proseguire l'invasione della striscia di Gaza, iniziata il 27 giugno, e continuamente sottoposta alle ripetute incursioni dei mezzi blindati israeliani. Il 18 luglio il premier libanese Fouad Seniora lanciava un appello alla comunità internazionale affinché "lavori per stabilire un immediato cessate il fuoco". Israele, si leggeva in un comunicato del premier al mondo arabo, "sta commettendo massacri contro i civili e lavorando per distruggere ciò che permette al Libano di esistere". Secondo stime ufficiose sono almeno 240 le persone uccise in Libano dagli attacchi israeliani, di cui almeno 212 civili. Ingenti i danni alle infrastrutture del paese dove l'aviazione sionista ha distrutto o danneggiato gravemente porti, aeroporti, le principali autostrade e centinaia di case. Un appello che i paesi imperialisti avevano respinto anticipatamente, come nel caso del comunicato del G8 di San Pietroburgo del 16 luglio, che di fatto davano il via libera all'aggressione sionista. E alla delegazione dell'Onu inviata dal segratario generale Kofi Annan in Israele per discutere di un possibile cessate il fuoco, il premier Ehud Olmert il 18 luglio poteva rispondere senza colpo ferire che Israele "continuerà a colpire obiettivi finché non saranno liberati i due soldati rapiti e non sarà ripristinata la sicurezza dei cittadini israeliani": Cioè finché lo riterrà opportuno. La liberazione dei due soldati catturati il 12 luglio durante un attacco delle formazioni di Hezbollah è stato l'ufficiale motivo scatenante della nuova aggressione sionista al Libano. Con l'obiettivo di liquidare la resistenza di Hezbollah che impedisce ai sionisti e agli imperialisti di tenere sotto controllo il paese. Come l'invasione di Gaza ha l'obiettivo di colpire il governo di Hamas e liquidare la resistenza palestinese all'occupazione. Due aggressioni militari che sono contemporaneamente un monito a Siria e Iran non a caso subito attaccate da Usa e Israele perché appoggiano Hamas e Hezbollah. Per il regime sionista il nuovo "asse del male" va da Hamas e Hezbollah a Siria e Iran e deve essere combattuto anche calpestando i diritti sovrani di un paese quale il Libano. Il cosiddetto "diritto all'autodifesa" di Israele altro non è che la prosecuzione della politica di aggressione verso i paesi vicini e di occupazione illegale dei territori palestinesi da parte dei sionisti e imperialisti di Tel Aviv. L'aggressione sionista I miliziani di Hezbollah il 12 luglio avevano lanciato razzi contro le postazioni israeliane nella zona delle fattorie di Shebaa, alle pendici del monte Hermon nella parte di territorio libanese ancora occupata dai sionisti, e avevano compiuto un'incursione presso la località di Aita al-Shaab; nel corso dell'attacco erano morti 7 soldati israeliani e 2 presi prigionieri. Immediata la rappresaglia sionista con bombardamenti dal cielo e dal mare contro ponti sul fiume Litani e l'autostrada fra Tiro e Sidone. Il 13 luglio gli aerei di Tel Aviv riversavano una pioggia di fuoco su Beirut dove colpivano l'aeroporto internazionale e la stazione radiotelevisiva della resistenza libanese al Manar. Il governo israeliano del premier Olmert e del ministro della Difesa, il laburista Peretz, "ordinava" alla popolazione di lasciare i quartieri della periferia sud della capitale libanese in previsione di nuovi bombardamenti. Nel mirino dei sionisti i quartieri abitati in gran parte dagli sciiti, confinanti con i campi profughi palestinesi di Sabra, Chatila e Bourj e Barajneh e sede degli uffici e delle residenze dei leader del partito degli Hezbollah. Nel sud del Libano l'aviazione sionista distruggeva le principali vie di comunicazione in modo da isolare la zona dal resto del paese, preludio per l'attacco diretto via terra. Israele imponeva anche il blocco aereo-navale al paese minacciando di abbattere qualsiasi aereo dovesse levarsi in volo mentre le navi da guerra bloccavano tutti i porti. La risposta di Hezbollah Le milizie di Hezbollah rispondevano all'aggressione sionista col lancio di razzi su Haifa e altre località del nord di Israele mentre il leader dell'organizzaione Hassan Nasrallah dalla televisione al Manar avvertiva Israele che se voleva la guerra sarebbe stata "una guerra totale". "Abbiamo davanti a noi due scelte - affermava il 14 luglio - arrenderci alle condizioni di Israele, che è appoggiato dagli Stati Uniti, dalla comunità internazionale e sfortunatamente anche da paesi arabi oppure combattere. E io vi prometto la vittoria". L'aggressione al Libano e le minacce a Siria e Iran erano ribattute dal presidente iraniano Ahmadinejad che dopo un colloquio telefonico col presidente siriano Assad amoniva il regime sionista a "non rivolgere sguardi tanto minacciosi all'Iran" e diffidava Tel Aviv a non attaccare la Siria "perché ciò equivarrebbe ad un'aggressione contro tutto il mondo islamico e in tal caso la risposta sarebbe molto decisa". In un discorso tenuto a Teheran il 15 luglio denunciava inoltre che "i loro metodi (di Israele, ndr) sono come quelli di Hitler; quando Hitler voleva lanciare un attacco inventava anche un pretesto". La critica a Tel Aviv per aver violato "una nazione libera e sovrana" giungeva persino dal Vaticano che comunque riconosceva il diritto alla difesa da parte di Israele. Non avevano dubbi invece i paesi imperialisti del G8 riuniti a San Pietroburgo che il 16 luglio approvavano una risoluzione contro Hamas e Hezbollah. Il G8 copre Israele Secondo le maggiori potenze imperialiste "la crisi è la conseguenza degli sforzi delle forze estremiste di destabilizzare la regione". Sotto dettatura di Bush i sette partner accusavano Hamas di aver scatenato la crisi a Gaza col lancio di razzi contro il territorio di Israele e Hezbollah di aver violato il confine con Israele. " A questi estremisti e a chi li apoggia (chiaro il riferimento a Iran e Siria, ndr) deve essere impedito di far piombare il Medio Oriente nel caos e di provocare un confronto più ampio" sosteneva il comunicato con una sfacciata inversione delle parti tra aggrediti e aggressori. Tanto che Bush commentava soddisfatto che finalmente erano dette "con chiarezza le cause del conflitto in Medio Oriente" che sarebbero le attività dei "terroristi ospitati dalla Siria e finanziati dall'Iran". Infatti a Israele era riconosciuto il diritto alla difesa che dovrebbe esercitare con "moderazione"; un semplice buffetto sulla guancia del quale i nazisti di Tel Aviv ringraziavano. Su Gaza non una parola sull'invasione e i massacri sionisti ma solo il consueto richiamo al governo palestinese di Hamas di disarmare la resistenza, riconoscere Israele e accettare il percorso della pace imperialista. E nel frattempo i carri armati sionisti colpivano la cittadina di Beit Hanun, a Gaza e le vittime palestinesi salivano a oltre cento. Anche il G8, come Israele, non riconosceva il Libano come stato sovrano dato che l'unica preoccupazione espressa nel comunicato era il richiamo all'Onu per la piena attuazione della risoluzione 1559, ovvero il disarmo di Hezbollah. No ai "caschi blu" Il documento si concludeva con l'invito al Consiglio di sicurezza dell'Onu di esaminare "la possibilità di una presenza di sicurezza e di monitoraggio internazionale". Formula che era ripresa da Blair e dal segretario dell'Onu Annan per lanciare l'ipotesi di inviare i "caschi blu" nel sud del Libano alla quale dava l'immediata e entusiastica adesione Prodi. Il primo ministro italiano invece di prendere la decisione di ritirare immediatamente l'ambasciatore da Tel Aviv e di rompere tutti gli accordi militari con Israele si dimostrava ansioso di impegnare l'Italia in un'altra "missione di pace", probabilmente meno contestata di quella in Iraq e Afghanistan. Usa e Israele non erano d'accordo poiché pensano che prima occorra "ripulire" Libano e territori palestinesi dalle organizzazioni della resistenza e ritengono che il compito spetta all'esercito sionista. In ogni caso è evidente che se il contingente dei "caschi blu" pur votato dal Consiglio di sicurezza con largo consenso, come richiesto da Prodi, non servirebbe a proteggere la popolazione palestinese e libanese dalle aggressioni sioniste; non sarebbe altro che la lunga mano imperialista per disarmare la resistenza palestinese e libanese e aiutare Israele a spadroneggiare nella regione. Per fermare l'aggressione e il disegno dei governanti sionisti e imperialisti di Tel Aviv di dominare il Medioriente, ivi inclusi la Siria e l'Iran, è invece necessario, come ribadisce il comunicato dell'Ufficio stampa del PMLI del 14 luglio, "mettere al bando Israele e dare tutto l'appoggio possibile alla Resistenza dei popoli della Regione, cominciando da quella dell'eroico popolo palestinese". 19 luglio 2006 |