No al salario differenziato No al depotenziamento del contratto nazionale a favore di quello aziendale Per tutta l'estate la Lega razzista e xenofoba di Bossi ha portato avanti un'infame campagna antioperaia finalizzata alla reintroduzione delle "gabbie salariali". Ciò attraverso il federalismo contrattuale, la sostituzione dei contratti collettivi nazionali di lavoro con contratti regionali o, addirittura, provinciali, la differenziazione dei salari: più alti per il Nord, più bassi per il Sud. Campagna che abbiamo prontamente denunciato su "Il Bolscevico" (vedi il n. 30/2009). A Bossi ha fatto il controcanto il ministro del welfare, l'ex socialista craxiano e ora berlusconiano, Maurizio Sacconi. Per dire sostanzialmente tre cose: 1) non c'è bisogno di reintrodurre le "gabbie salariali", nella forma di salari contrattuali differenti per area territoriale all'interno della stessa categoria professionale; 2) la differenziazione salariale è stata già messa in essere con l'accordo sul nuovo modello contrattuale del 22 gennaio firmato da governo associazioni padronali, e per i sindacati Cisl, Uil e Ugl ma non la Cgil; 3) la strada che il governo intende battere per ottenere gli stessi risultati rivendicati dal leader leghista, ossia "un'adeguata differenziazione territoriale dei salari", è l'applicazione integrale del suddetto accordo, nonostante il dissenso del maggior sindacato italiano e di milioni di lavoratori che in una consultazione referendaria lo hanno bocciato sonoramente. Su questi temi Sacconi è tornato pesantemente sopra con un'intervista rilasciata al Corriere della Sera del 24 agosto scorso. Alla domanda cosa il governo intende fare per affrontare il problema dei salari italiani che "sono i più bassi d'Europa", il ministro risponde così: "I salari vanno differenziati perché non siamo uguali. Il banco di prova autunnale, con i primi contratti di metalmeccanici, chimici, alimentaristi e comunicazioni, sarà l'attuazione dell'accordo sottoscritto da tutti tranne che dalla Cgil. Meno il contratto nazionale sarà invasivo, più ci sarà spazio per il contratto aziendale, detassato al 10%". Riferendosi alle dichiarazioni di Bossi, Sacconi aggiunge: "La Lega è d'accordo con il nuovo modello... Il punto vero è che i sindacati e le imprese, dopo aver firmato l'accordo, non possono cedere". E qui il ministro assume un tono autoritario e cala un intollerabile ricatto: "Abbiamo messo sul piatto la detassazione del salario variabile, ma nella misura in cui le parti la usano: altrimenti dovremo ripensarci. In autunno ci devono dimostrare che l'egualitarismo non rientri dalla finestra dopo essere uscito dalla porta". Le pressioni e le minacce di Sacconi non sono teoriche ma reali e concrete, fatte in un momento particolarmente importante, sindacalmente parlando, che anche lui accenna. Si tratta del rinnovo dei contratti nazionali di lavoro già scaduti o in scadenza entro dicembre 2009. Rinnovo che interessa ben 11.708.681 lavoratrici e lavoratori di settori privati e pubblici: metalmeccanici (1,3 milioni gli addetti), chimici (622.000), tessili (200.000), agroindustria (1,9 milioni), comunicazioni (389.000), commercio (225.000), bancari, conoscenza e funzione pubblica (3,4 milioni), trasporti (950.000). È evidente il tentativo manfano del governo di condizionare lo svolgimento e l'esito di questi rinnovi. Anche se, allo stato attuale, nella maggior parte dei casi sono state presentate due piattaforme rivendicative: una di Cisl e Uil con contenuti conformi al nuovo modello contrattuale di stampo padronale e corporativo, l'altra della Cgil sulla base della regole contrattuali precedenti. I sindacati complici e servili, Cisl e Uil, non hanno fatto una piega di fronte al ricatto di Sacconi. Anzi, Bonanni e Angeletti, partecipando al Meeting riminese di Comunione e Liberazione hanno chiesto al governo la completa detassazione degli aumenti sul salario variabile (legati a produttività e utili aziendali) ricevendo però a stretto giro di posta, un rifiuto netto. Cedimento di Epifani Critica (ma non del tutto convincente) la risposta della Cgil che individua nelle parole del ministro falsità nel merito e un ricatto nel metodo. "Sacconi dice alcune falsità allo stesso tempo ostenta un atteggiamento ricattatorio", afferma infatti la segretaria nazionale, Susanna Camusso. "Dire come fa Sacconi, 'o fate così o cambiamo legge' mi pare un atteggiamento - aggiunge - per un verso autoritario e per un verso anche sbagliato, perché introduce limiti nella contrattazione". La dirigente della Cgil però non contesta l'attacco al contratto nazionale e si avventura su un terreno scivoloso, quello dell'estensione della contrattazione di secondo livello che è ciò che vogliono sia Confindustria, sia Cisl e Uil a danno di quella nazionale. "L'accordo - dice Camusso - presenta il limite di non estenderla (la contrattazione aziendale, ndr) utilizzando le stesse formule del '93. E siccome da allora al 2008 non siamo riusciti ad estenderla, forse il tema della contrattazione di secondo livello non si risolve invocandola". Ad alimentare i dubbi su un lento ma progressivo cedimento della Cgil, è l'intervista di Guglielmo Epifani a La Stampa del 26 agosto che tratta della crisi ma anche di contratti e di secondo livello contrattuale. Sorvola sulle minacce e sui ricatti di Sacconi e dice che la Cgil "farà la sua parte... senza ideologismi". Rispondendo alle esternazioni del leader Cisl Raffaele Bonanni, aggiunge: "Può stare tranquillo, non siamo intenzionati ad abbandonare nessun tavolo. Si facciano buoni contratti nazionali, e vedrà che ne avranno beneficio anche le intese aziendali". Come è possibile fare buoni contratti se la controriforma contrattuale rimane sul tavolo? A questo il segretario della Cgil non dà risposta. Insiste invece su un tema caro a Cisl e Uil con le quali vuole ricucire lo strappo. "Non siamo mai stati ideologicamente contrari ai contratti di secondo livello". Il motivo? "Quell'intesa esclude dal salario aziendale la metà dei lavoratori... Noi invece siamo favorevoli alla estensione del secondo livello a tutti i lavoratori". A Emma Marcegaglia, presidente di Confindustria, che chiede una più forte detassazione e decontribuzione del salario territoriale, Epifani, compiacente, dice: "Le cose vanno viste nella loro concretezza. Nonostante il no all'accordo, noi saremo responsabilmente seduti a tutti i tavoli. Si facciano dei buoni contratti nazionali, se si ascolterà quello che ha da dire la Cgil, ci sarà anche la nostra firma". Il messaggio è chiaro: la Cgil di Epifani vuole superare la rottura del gennaio scorso e rientrare nei ranghi, accettando di fatto aspetti di primo piano della "riforma" del modello contrattuale. Bonanni mostra di averlo capito quando afferma: "Quando Epifani spiega di non essere contrario al rafforzamento del secondo livello dice una cosa vera. Ricordo che nel 2006, quando a Palazzo Chigi c'era Romano Prodi, lottò insieme a noi perché il governo concedesse la decontribuzione del salario aziendale". Il segretario della Cisl prende atto della decisione della Cgil di sedersi a tutti i tavoli. "Ma mi aspetto - dice - che d'ora in poi, oltre che sedersi ai tavoli, firmi gli accordi, come del resto ha fatto per i contratti del commercio e degli statali". La virata a destra attuata (o in via di attuazione) da parte del vertice della Cgil che si riconosce nelle posizioni di Epifani non è condivisibile. Così non si contrasta, come sarebbe necessario, gli attacchi di Lega e di governo finalizzati ad attuare il salario differenziato, sia pure in vario modo. Così non si prosegue la battaglia per affossare la controriforma contrattuale che ha al suo centro la marginalizzazione del contratto nazionale e l'estensione del contratto aziendale, riduce inoltre l'importanza dell'aumento salariale contrattuale nazionale a favore del salario variabile legato a produttività e utili aziendali. Più forte e coerente la linea decisa dalla Fiom per il rinnovo del contratto dei metalmeccanici che nei principi e nei contenuti respinge nettamente la suddetta controriforma contrattuale. Lo fa ribadendo la centralità del contratto nazionale, senza per questo rinunciare ai contratti integrativi aziendali; rifiutando la modifica sfavorevole dei tempi di durata contrattuale e respingendo i parametri sfavorevoli per definire l'aumento salariale; lo fa rivendicando una cifra più alta e adeguata a quella di Fim e Uilm, in concreto l'aumento economico richiesto, uguale per le categorie più basse (3°, 4° e 5° livello) è di 130 euro mensili; lo fa chiedendo che tale aumento contrattuale venga corrisposto anche ai lavoratori in cassa integrazione e che esso sia totalmente detassato. 9 settembre 2009 |