Una stangata di 26 miliardi nel triennio sulla linea dei "tagli lineari" di Berlusconi e Tremonti
No ai tagli a sanità, pubblico impiego, trasporti, regioni ed enti locali
Via un lavoratore su 10. Congelati per due anni gli stipendi delle società pubbliche. Cancellati 20 mila posti letto negli ospedali. Riduzione delle province. Accorpati i piccoli comuni
I sindacati proclamino subito lo sciopero generale

Ciò che in molti temevano è avvenuto. Il governo della grande finanza, della Ue e della macelleria sociale Monti, sorretto in ogni momento dal nuovo Vittorio Emanuele III, Giorgio Napolitano, nella sua riunione notturna del 4 luglio scorso ha varato una stangata di 26 miliardi di euro nel triennio. La suddivisione ammonta "a 3.780,250 milioni di euro per l'anno 2012, a 10.544 milioni di euro per l'anno 2013, a 11.157,150 milioni di euro a decorrere dall'anno 2014, che aumentano a 10.558,328 milioni di euro per l'anno 2013, a 11.207,150 milioni di euro a decorrere dall'anno 2014 ai fini della compensazione degli effetti in termini di fabbisogno e indebitamento netto, si provvede mediante utilizzo di parte delle maggiori entrate e delle minori spese recate dal presente provvedimento", come recita l' Art. 24 "Copertura finanziaria" del decreto pubblicato in Gazzetta Ufficiale del 6 luglio 2012. Monti e i suoi ministri hanno mentito, sapendo di mentire tutte le volte che hanno sostenuto che lo spending review, messo a punto dal commissario straordinario Bondi, era solo una revisione dei conti finalizzata a eliminare sprechi e inefficienze nella spesa pubblica e nella pubblica amministrazione. Lo stesso hanno fatto, raccontando che questo intervento si rendeva necessario per evitare un nuovo aumento dell'Iva. Il decreto, composto di 25 articoli, approvato dal consiglio dei ministri è infatti tutt'altro. È una mannaia che, seguendo il metodo già utilizzato, nel precedente governo, da Berlusconi e Tremonti, denominato dei "tagli lineari" si è abbattuta alla cieca e con inusitata ferocia, sui vari capitoli della spesa pubblica e sociale, in modo indifferenziato, senza curarsi delle conseguenze devastanti che, certamente ci saranno, in tempi rapidi, sulla tenuta dei servizi e sul peggioramento della condizioni di vita e di lavoro delle masse popolari. Quanto all'aumento dell'Iva è stato invece riconfermato pur slittando nel 2013.
Da questa nuova manovra finanziaria, perché di questo si tratta, che si va ad aggiungere, non dimentichiamolo, all'altra pesante stangata pomposamente chiamata "Salva Italia", per non dire della controriforma pensionistica e della controriforma Fornero sul lavoro, ne escono colpiti duramente settori vitali del welfare come la sanità, i servizi pubblici e sociali, l'occupazione e gli stipendi del pubblico impiego, i trasferimenti alle Regioni, alle province e ai comuni, e la riduzione drastica di quest'ultimi due; mentre si salvano le spese per gli armamenti. Ne escono male anche perché, parecchi di questi settori succitati, hanno già subito raffiche di provvedimenti di dimagrimento sia dal precedente e che da questo governo. E non pare che sia finita qui se il viceministro del Tesoro Grilli parla delle necessità di varare un ulteriore decreto di 7 miliardi, magari a settembre con la legge di stabilità finanziaria.

Macelleria sociale
Persino il neopresidente della Confindustria, riferendosi alla manovra del governo parla di "macelleria sociale" da evitare: "In funzione delle disposizioni recate dal presente articolo il livello del fabbisogno del servizio sanitario nazionale e del correlato finanziamento, previsto dalla vigente legislazione, è ridotto di 900 milioni di euro per l'anno 2012, di 1.800 milioni di euro per l'anno 2013 e di 2.000 milioni di euro a decorrere dall'anno 2014" recita l'articolo 15 Disposizioni urgenti per l'equilibrio del settore sanitario e misure di governo della spesa farmaceutica. In totale 4,7 miliardi, che sommati ai tagli operati da Tremonti raggiungono a un taglio draconiano complessivo di circa 16 miliardi di euro, pari a quasi il 15% del fondo sanitario nazionale che ammonta a 109 miliardi. È previsto inoltre un taglio dei posti letto di circa (qui le cifre sono ballerine) 18-20 mila posti letto. È saltato all'ultimo minuto il taglio dei piccoli ospedali (con meno di 120 o di 80 posti letto, anche qui non c'è chiarezza). Ma non del tutto visto che viene demandato alla Regioni quali chiudere e quando. Avverrà sicuramente a seguito della riduzione pesante dei fondi disponibili. Vivaci le proteste delle Regioni in occasione dell'incontro con il ministro della sanità Balduzzi. Al governo hanno contestato il metodo non costituzionalmente corretto, ossia decidere da solo su materie, specie la chiusura di ospedali, di cui hanno competenza anche le Regioni e il taglio alle risorse definito del tutto insostenibile con una ricaduta negativa certa sui livelli delle prestazioni sanitarie e tale da mettere a rischio il modello di sanità pubblica operante in Italia. "L'intervento del governo in materia sanitaria è unilaterale - hanno osservato i governatori - mentre per la Costituzione ogni tipo d'intervento su questa materia dovrebbe essere il prodotto di una concertazione governo regioni".
Tuttavia, hanno dato la loro disponibilità a collaborare a una più stringente "razionalizzazione" delle spese all'interno di un "patto per la salute" Stato-Regioni. Il che vuol dire raggiungere gli stessi obiettivi per altra via. Monti, in questo caso, non ha introdotto ticket sanitari, solo perché nel 2014 entreranno in vigore quelli varati dall'ex ministro dell'Economia, Giulio Tremonti. Affossare la sanità pubblica, è quello che sta accadendo, significa automaticamente spalancare le porte alla sanità privata che nel tempo ha conquistato già spazi rilevanti.

Massacrati gli statali
Altro settore massacrato, quello degli statali già presi di mira e tartassati dalla "riforma" Brunetta. Qui il "taglio lineare" è scandaloso. Il decreto governativo impone a tutti i comparti del pubblico impiego, esclusa la scuola e poche altre eccezioni come quello della "sicurezza", un taglio nelle piante organiche del 20 per cento dei dirigenti e un altro taglio del 10 per cento di lavoratori e impiegati. Si tratta di alcune migliaia di lavoratrici e lavoratori che dovranno lasciare il lavoro in un modo o nell'altro. Due le strade indicate: il prepensionamento per coloro che hanno maturato i requisiti vigenti prima della "riforma" Fornero; oppure, per gli altri, la messa in mobilità con uno stipendio al 50% di quello percepito al termine del quale c'è poi il licenziamento. Il risultato è quello di una riduzione strutturale dei posti di lavoro. Inoltre, c'è il rischio concreto di creare un'altra ondata di "esodati" senza lavoro, né salario né pensione, oltre ad aver introdotto di soppiatto la libertà di licenziamento anche nella pubblica amministrazione. Altre misure che riguardano i lavoratori pubblici: l'introduzione di una sorta di pagella individuale di valutazione e il taglio del bonus mensa con il limite di 7 euro.
A proposito degli "esodati", il decreto ha dato il via libera al pensionamento con la vecchia normativa ad atri 55 mila lavoratori. Ma ne rimangono fuori almeno altri 200 mila, sulla base dei dati ufficiali dell'Inps che restano nella situazione di senza salario, senza pensione. Un'ingiustizia, questa, intollerabile, che va sanata al più presto concedendo loro il diritto al pensionamento scippato dalla "riforma" Fornero.

La mannaia su regioni ed enti locali
Non sono sfuggite alle forbici del governo Regioni ed Enti locali. Dovranno fare a meno di 7,2 miliardi tra il 2012 e 2013, oltre alla riduzione dei fondi per la sanità che li coinvolge direttamente. Alle Regioni i trasferimenti saranno ridotti di 700 milioni nel 2012 e di un miliardo nell'anno successivo. Per i comuni la riduzione sarà di 500 milioni negli ultimi sei mesi di quest'anno e di 2 miliardi l'anno a partire dal 2013. Questa riduzione di fondi avrà almeno due conseguenze: la difficoltà se non l'impossibilità di mantenere gli stessi servizi per qualità e quantità, in testa il trasporto pubblico locale e il probabile aumento delle tasse regionali e comunali, per esempio l'Imu.
Ecco cosa ha detto in proposito Graziano Delrio, presidente dell'Anci: "nel giro di tre o quattro mesi il governo manderà i Comuni in dissesto. Saremo costretti a tagliare i servizi e ad aumentare l'aliquota Imu".
È arrivato anche il taglio delle province, un taglio corposo, 60 su 110. Rimangono quelle con almeno 350 mila abitanti e con un'estensione territoriale pari a 3 mila chilometri quadrati. Risparmio previsto: 500 milioni per quest'anno, un miliardo a partire dal 2013. Con buona pace della democrazia e dell'elettoralismo borghesi!

Salvate le spese per gli armamenti
Un bel risparmio per lo Stato poteva venire dai tagli alle spese militari, in particolare da quelle assai elevate per l'acquisto di nuovi armamenti che non sono state toccate. Il riferimento più evidente e macroscopico riguarda l'acquisto dei cacciabombardieri F35 (200 milioni di euro l'uno) per un totale di 12 miliardi di euro. La revoca di questo ordine, che poteva e doveva essere fatto, da solo valeva quasi la metà dell'intera manovra in questione. Un altro risparmio molto sostanzioso poteva venire dalla cancellazione di tutte le cosiddette "missioni di pace". Invece il governo si è limitato a ridurre un poco il relativo fondo di 8 milioni di euro. Inoltre, il decreto prevede la riduzione del 10% degli organici della forze armate che si traduce in 2.500 militari in meno.
Nella stesura finale del provvedimento governativo è scomparso l'annunciato taglio di 200 milioni all'università, che avrebbe avuto effetti disastrosi. Ma è rimasto il finanziamento alle scuole private per un importo della stessa cifra. Mentre 10 milioni andranno alle università non statali. L'anima liberista di Monti qui emerge in modo plateale.

Snobbati i sindacati
Il tutto è stato messo in atto dal governo senza vero confronto con i sindacati. L'incontro che si è tenuto il giorno avanti il varo del decreto è stato del tutto formale. A Camusso, Bonanni e Angeletti, Monti ha tenuto un discorso del tutto generico, senza rivelare le cifre dei tagli senza aprire nessuna discussione, senza nemmeno sentire il parere dei presenti. Quello di snobbare i sindacati è ormai diventata una costante del governo Monti. È successo con la "riforma" pensionistica, si è ripetuto con quella sul "mercato del lavoro". Rientra in questa linea lo straccio dell'accordo sottoscritto di recente tra il ministro della Funzione pubblica Patroni Griffi e i sindacati di settore. Nella manovra c'è persino un taglio dei permessi sindacali, una misura più politica che economica, vista la sua modesta entità.
Per capire la natura liberista e insieme recessiva del governo, il quale prosegue come un carro armato a far pagare la crisi finanziaria ed economica del capitalismo interamente alle masse lavoratrici e popolari, basta vedere le reazioni dei principali partiti della destra e della "sinistra" borghese. Quella del partito di Berlusconi e Alfano che ha accolto la manovra con applausi a scena aperta. Quella dell'UDC di Casini che si è schierato con Monti senza se e senza ma invitandolo ad andare fino in fondo. C'è poi il PD di Bersani che non va oltre a qualche mugugno, qualche parziale distinguo, qualche richiesta di modifica di poco conto, assicurando però il suo sicuro e indiscutibile voto favorevole in parlamento.
Questo significa che in parlamento Monti ha la strada spianata. Significa che l'opposizione a questa stangata passa dalla piazza. Spetterebbe ai sindacati attivare tempestivamente la mobilitazione e proclamare con urgenza lo sciopero generale. Ma le posizioni delle varie confederazioni non sono univoche in questo senso. La CGIL e la UIL hanno espresso una critica più esplicita contro le misure varate e la necessità di una mobilitazione più dura che preveda uno sciopero generale del pubblico impiego entro luglio e, se il decreto non sarà modificato, uno sciopero generale di tutte le categorie a settembre. La CGIL - ha detto la segretaria della funzione pubblica, Rossana Dettori - è intenzionata ad andare oltre alla mobilitazione ed è pronta allo sciopero generale se il governo non modificherà il provvedimento". Più attendista e conciliante la CISL di Bonanni che giudica prematuro ed eccessivo lo sciopero generale (sic!).
Ci deve essere però una forte spinta dal basso, a partire dai luoghi di lavoro, che faccia pressione sui vertici sindacali. Ben vengano proteste spontanee, ben venga la costruzione di un movimento di lotta che includa anche i giovani, gli studenti, i lavoratori precari. I tagli non devono passare, la politica liberista del governo Monti deve essere sconfitta. Monti va buttato giù prima che faccia ulteriori danni. Occorre subito lo sciopero generale di 8 ore con manifestazione nazionale a Roma.

 
11 luglio 2012