Provocatoria proposta del nuovo sindaco fascista di Roma Alemanno No alla via intitolata ad Almirante Non è un caso che a proporre una via di Roma intitolata a Giorgio Almirante, sia il neopodestà di Roma, nonché ex picchiatore fascista Gianni Alemanno. Lo ha fatto il giorno dell'anniversario della morte di Almirante (avvenuta il 22 maggio 1988) nel discorso introduttivo alla prima seduta del Consiglio comunale capitolino: "Ha suscitato scalpore il fatto che si parlasse di dedicare una strada a Giorgio Almirante - ha detto Alemanno - a Roma c'è una via dedicata a Lenin e, doverosamente, c'è una via Palmiro Togliatti. Dico che non bisogna seguire schemi da prima Repubblica e propongo di intitolare una strada a Berlinguer, una a Craxi e una a Fanfani". Alemanno ha proseguito: "Giorgio Almirante è stato il precursore della destra democratica moderna in anni tormentati in cui era difficile superare il ghetto in cui era rinchiuso l'MSI". Pieno accordo di vedute tra il neopodestà fascista di Roma e le più alte cariche istituzionali borghesi, tant'è che il 27 maggio è stata tenuta nella Sala della Lupa, a Montecitorio, la cerimonia di presentazione del volume, curato dalla Fondazione della Camera nera dei deputati presieduta da Bertinotti, nel quale sono raccolti i discorsi parlamentari del leader fascista. Presenti Cossiga, Andreotti, Violante, Malgieri e Acquaviva, ma anche Fausto Bertinotti, i quali hanno unanimemente consacrato la figura di Almirante come positiva e importante per l'evoluzione della politica borghese italiana, accodandosi alle posizioni del delfino di Almirante, Fini, il quale ha sostenuto, durante la cerimonia, che il suo maestro "la patente democratica se l'è conquistata sul campo". Un'affermazione raccapricciante, quest'ultima, per quel suo passato di boia razzista, fascista e fucilatore di partigiani che fu Giorgio Almirante, il quale fece parte per cinque anni, dal primo all'ultimo numero, della redazione della rivista fascista "La difesa della razza", principale veicolo nel nostro Paese di quella politica razzista che sfociò tra il '43 e il '45 nella deportazione e nello sterminio di migliaia di uomini, donne e bambini ebrei. Fu altissimo esponente della "repubblica sociale italiana"(rsi). Firmò il manifesto in cui si comminava la fucilazione alla schiena degli "sbandati ed appartenenti alle bande", in realtà combattenti appartenenti alle brigate partigiane, che non avessero consegnato, entro il 25 maggio del 1944, le armi e non si fossero piegati alla leva della "repubblica sociale" di Mussolini, al soldo dei nazisti. Una delle più atroci rappresaglie, dopo il fallimento del proclama firmato da Almirante, fu il massacro di ottantatre operai perpetrato da nazisti e fascisti il 13 giugno del 1944 a Niccioleta in Maremma. Il "Movimento sociale italiano" l'aveva fondato proprio Almirante, assieme a una squadraccia di reduci della rsi, nel 1946, e questa "istituzionalizzazione" delle nostalgie eversive per il regime fascista e per Salò, concordata con la Dc e il Vaticano, di solito gli viene ascritta a merito dai politicanti borghesi che ancora oggi si ostinano a conferirgli un'immeritata fama di "uomo d'equilibrio" e di capacità dialogante, nonostante abbia impersonato non solo durante il ventennio fascista, ma anche nel dopoguerra, la più squallida vena razzista e le pulsioni più rivoltanti della destra capitalista italiana. Tanto per non legarsi le mani fondò un'organizzazione clandestina, detta Fronte Armato Rivoluzionario (Far), protagonista di numerosi attentati e sabotaggi, che convisse fino al 1952 in un rapporto altalenante ma quasi ininterrotto con l'MSI, e diede anche vita a un Esercito Clandestino Anticomunista, ramificato in varie parti del Paese. Bombe carta, attentati, blitz contro cortei di lavoratori: la storia dei Far negli anni seguenti avrebbe avuto la sua diretta filiazione in Ordine Nuovo e Avanguardia nazionale, le due organizzazioni clandestine, protagoniste della "strategia della tensione" e delle stragi. Tra i fondatori del Far, c'era un'altra allora "giovane speranza" dell'eversione nera: Pino Rauti, che il 15 maggio 2008 è stato rinviato a giudizio per la strage di piazza della Loggia a Brescia (24 maggio 1974), suocero del neopodestà di Roma Alemanno che vorrebbe oggi dedicare una strada ad Almirante. Ben pochi giornalisti e politicanti borghesi si sono soffermati sul fatto che Almirante fu amnistiato solo perché ultrasettantenne dal reato di favoreggiamento aggravato agli autori della strage del 31 maggio 1972 a Peteano (Gorizia), nella quale tre carabinieri furono fatti saltare in aria. Oggi i fascisti di AN, sostenuti direttamente dal neoduce Berlusconi e indirettamente dagli opportunisti di "sinistra", tornano a indossare fieramente e impunemente quella camicia nera macchiata del sangue dei partigiani e degli antifascisti. Le grandi manovre revisionistiche che stanno intensificandosi sotto il governo del neoduce Berlusconi, in Italia e a Roma, scatenate dall'apologia di Almirante imbastita da AN come "esempio da seguire" non sono un fatto episodico, ma una strategia che trova piena legittimazione nella terza repubblica capitalista, neofascista, presidenzialista, federalista e interventista che sono impegnati a realizzare il neoduce Berlusconi e i caporioni Fini e Bossi con la complicità sottile della "sinistra" borghese. E a nulla valgono i loro discorsetti di circostanza che, all'occorrenza, condannano "alcune frasi" (sic!) di Almirante, quando continua a scorrere l'ampio fiume di revisioni becere e vigliacche di questo loro preteso "grande italiano". Revisioni portate avanti dalle vecchie e nuove destre, comunque camuffate, "post", neo o vetero fasciste, che tradendo involontariamente l'imbarazzo per i propri scheletri nell'armadio minimizzano, negano o mistificano, con i classici espedienti dell'eufemismo, della reticenza e spesso della falsificazione, la verità storica e le responsabilità alle quali saranno chiamate a rispondere. 4 giugno 2008 |