Un terzo dei corsi universitari sono sbarrati da una prova selettiva Il numero chiuso e l'accesso "programmato" affossano il "diritto allo studio" Abrogare la legge D'Alema-Zecchino e le "quote" per stranieri della legge razzista e fascista Bossi-Fini Uno dei tasselli fondamentali delle controriforme che hanno rivoltato come un calzino il sistema di istruzione del nostro Paese, rendendolo conforme alle esigenze del regime neofascista, è stata senza dubbio la legge 264 del 2 agosto del 1999, anche detta legge Zecchino-D'Alema, che ha sbarrato le porte delle facoltà a centinaia di migliaia di studenti, cancellando di fatto il diritto al libero accesso all'istruzione universitaria. Oltre a sancire la legittimità, rendendo impraticabile la via dei ricorsi al Tar, dei quiz d'ammissione ai corsi di laurea di Medicina, Professioni sanitarie, Odontoiatria, Veterinaria, Architettura e Scienze della Formazione, esso ha introdotto per tutti i corsi di laurea delle facoltà italiane il rispetto dei cosiddetti "Standard di qualità e requisiti minimi" (rapporto docenti-studenti, la disponibilità di aule, l'adeguatezza dei laboratori, etc) e dei "tetti di ammissione" (per l'area scientifico-sanitaria da 25 a 70 studenti, per Ingegneria e Architettura da 60 a 150, per l'area umanistico-linguistica da 100 a 230, per quella giuridico-economica da 150 a 300). Il provvedimento fu accompagnato dai pressanti diktat del "Comitato di valutazione del sistema universitario" (CVSU), che abbinati al drastico taglio dei finanziamenti statali ordinari ed al blocco del turn-over e dei concorsi, ha spinto quasi tutti i 77 atenei italiani a introdurre il numero chiuso e programmato per un numero sempre crescente di corsi. Un diabolico meccanismo per cancellare il "libero accesso" all'istruzione Più precisamente il processo è avvenuto in due fasi: in un primo momento, molti atenei hanno rimandato l'introduzione del numero chiuso preferendo moltiplicare i corsi di studio, ed attuando la "riforma" didattica del 3+2, a costo zero per lo Stato, utilizzando la girandola di tasse e balzelli imposte agli studenti dalla legge Ruberti del '90 (quella che introdusse l'autonomia didattica e finanziaria), senza peraltro preoccuparsi minimamente né del "valore legale" del titolo di studio che andavano a rilasciare, né del carico di lavoro a cui venivano sottoposti ricercatori e precari della docenza, in un secondo momento, quando cioè il diabolico meccanismo governativo è andato pienamente a regime, prevedendo cioè per le facoltà e i dipartimenti che non rispettano "i criteri di qualità" l'esclusione dalla torta dei finanziamenti dello Stato, gli organi di governo degli Atenei hanno pensato bene che per "sopravvivere", non c'era altra strada che chiudere le facoltà. In breve tempo, a partire dal 2001, le gabbie dei "requisiti minimi" sono andate sempre più stringendosi come un cappio intorno al collo delle università pubbliche, soprattutto a quelle più povere e che non possono accedere a finanziamenti privati, prevalentemente del Sud e delle aree sottosviluppate, ed è stato un vero e proprio boom dei corsi a numero chiuso. Negli ultimi 5 anni i corsi di laurea a numero programmato (triennale, specialistica e corsi unici del vecchio ordinamento) sono cresciuti del 330%, passando dai 242 del 2001 ai 1060 del 2005 di cui ben 578 riguardanti corsi di primo livello (+ 64% rispetto al 2004 quando erano 352). Una cifra già scandalosa che è cresciuta ancora in modo esponenziale all'apertura dell'anno accademico 2006-2007, quando su di un totale di 5.324 corsi di laurea censiti, ben 1.740 (ossia il 32,6%, un terzo del totale) risultano essere ad accesso programmato, con oltre mille sbarramenti solo per accedere ai corsi di laurea triennnali. Ciò significa che se nel 2005 in più di 60 dei 77 atenei italiani c'era almeno un corso a numero programmato, questa cifra è salita a 68 nell'anno in corso. Per le lauree in Architettura, Scienze della formazione, Veterinaria, Medicina e Chirurgia, odontoiatria e Professioni sanitarie, dove il numero chiuso è obbligatorio in ogni Ateneo ed è il ministero con un decreto ad individuare il numero massimo di matricole per ciascuna sede, le domande d'iscrizione sono aumentate ma "le quote" assegnate sono sempre le stesse, anzi alla facoltà di odontoiatria, per decreto ministeriale il numero dei posti è stato ridotto da 30 a 18, con 2 soli posti per extracomunitari. A Medicina in Campania sono stati 6mila i candidati che si sono contesi gli appena 600 posti disponibili, con il caso emblematico della neonata Medicina di Salerno cui il ministro Mussi ha assegnato la stratosferica cifra di 50 posti! Ancora più scandalosa la situazione per Architettura, Veterinaria (a Milano ad esempio c'è un tetto di massimo 200 posti l'anno di cui 5 per stranieri e 2 per studenti cinesi) e per le professioni sanitarie, un esempio a Bari dove sono state oltre 5mila domande per accedere alla laurea triennale in fisioterapia e gli ammessi meno del 5%. Per le altre classi di laurea la situazione è ancora più caotica, perché dove il numero chiuso è stato attivato in sede locale, le prove ed i posti disponibili sono stati stabiliti a totale discrezione degli Atenei, quindi variano di sede in sede. Siamo arrivati al punto che l'università Roma 3, ha introdotto un tetto massimo per tutti i suoi corsi di laurea, l'università Cà Foscari di Venezia ha stabilito un massimo di 1.000 matricole per i suoi 15 corsi di laurea triennale, e un massimo di 100 studenti per ogni corso di laurea specialistica, mentre alla facoltà di lettere di Parma i 250 posti disponibili vengono assegnati esclusivamente in base alla data di iscrizione (a chi fa prima come allo stadio). Gli sbarramenti per le lauree specialistiche Oltre al costo del materiale didattico per superare le prove, che ha dato vita ad un fiorente mercato editoriale e di lezioni private, alle tasse ed alle marche da bollo, una altra grave limitazione all'istruzione universitarie consiste nel fatto che le prove nazionali e quelle locali si svolgono pressocchè negli stessi giorni, quest'anno si sono svolte dal 4 all'11 settembre, di modo che è molto difficile per uno studente partecipare a più di un "concorso", in pratica se si viene esclusi dal concorso prescelto si è obbligati in fretta e furia a riparare su corsi ad accesso libero. Ma anche qui nepotismo e meritocrazia la fanno da padrone poiché dove non sono previsti quiz di ammissione le facoltà si sono sbizzarrite nell'inventare le più varie "prove di orientamento", "prove facoltative", ecc. che servirebbero a stabilire chi ha debiti formativi da colmare nel primo anno di studio (un bel trucchetto, della serie prima paghi le tasse e poi vediamo se puoi restare). Ancora più difficile la situazione per gli studenti che non fanno parte della Comunità europea, che rientrano nelle scandalose "quote" previste dalla legge fascista, schiavista e xenofoba Bossi-Fini. Se ad esempio di cinesi in Inghilterra ce ne sono 100mila, in Francia 40mila, in Germania 60mila, in Italia ne possono entrare solo 1900 l'anno, e le prescrizioni per tutti avvengono tramite farraginose pratiche burocratiche presso le istituzioni consolari. Per chi tra mille difficoltà è riuscito ad entrare nell'università privatizzata, aziendalizzata e meritocratica del regime neofascista la corsa ad ostacoli continua, con il cosiddetto "sbarramento amministrativo" che non consente l'iscrizione ad anni successivi di corso allo studente che non ha superato gli esami e/o conseguito i crediti relativi agli insegnamenti previsti, di volta in volta, dalle regole dello sbarramento di ciascuna struttura didattica. Senza parlare poi del solito sadismo di certi baroni, un esempio per tutti quanto avvenuto alla facoltà di economia di Bari, dove nell'ultimo appello del 14 giugno dell'esame di matematica solo 13 studenti su 291 hanno avuto il privilegio di vedersi attribuire la sufficienza. Un capitolo a parte merita poi l'accesso alle lauree specialistiche che nel progetto di riforma si presenta come un vero e proprio numero chiuso, anche per la seconda parte del percorso del 3+2. In molte facoltà infatti esistono quiz di ammissione, in altri complicate procedure di recupero dei crediti e degli esami, a Scienze politiche dell'Iuo di Napoli è accaduto che molti studenti si sono iscritti a nuovi corsi di laurea triennali attivati dalla facoltà, e solo alla vigilia della laurea venivano informati che quell'indirizzo è stato soppresso, e che non potranno proseguire per la laurea specialistica, per la mancata attivazione dei corsi corrispondenti. I dati Istat segnalano una percentuale pari al 52% degli studenti che lavorano part-time o full-time mentre sono iscritti all'università, ma le lauree specialistiche prevedono una frequenza obbligatoria a corsi, laboratori e stage formativi (spesso a pagamento!), cosicché la selezione tende a tagliare fuori quegli studenti che per condizione sociale non possono dedicarsi totalmente allo studio. E pensare che a fronte di una selezione di classe così spietata per chi è di estrazione proletaria e popolare, c'è gente che può saltare a piè pari il titolo universitario, sfruttando il canale dei cosiddetti "crediti extra", un vero e proprio esamificio e laurificio parallelo, frutto della santa alleanza tra Atenei ed ordini professionali, lobby e personale dei ministeri. Il fronte unito Occorre un fronte unito tra studenti medi, studenti universitari e lavoratori dell'università per abolire tutte le leggi e i provvedimenti sul numero chiuso e programmato, gli odiosi crediti e debiti fromativi, lo sdoppiamento dei percorsi didattici (3+2 ed Y), per ottenere l'aumento dei finanziamenti e investimenti infrastrutturali ancora una volta taglieggiati da Mussi, Prodi e Padoa Schioppa, l'abolizione della parità e del finanziamento ad università private, il riconoscimento del ruolo di docenti ai ricercatori e la stabilizzazione delle mille figure precarie, un massiccio piano di nuove assunzioni, per l'università pubblica, gratuita ed aperta a tutti. 4 ottobre 2006 |