Da "comunista" a liberale La nuova veste dell'imbroglione trotzkista Vendola La sua missione è sempre la stessa: imprigionare l'elettorato di sinistra nel sistema capitalista al servizio della "sinistra" borghese Dopo aver battuto per la seconda volta il suo avversario Francesco Boccia, alle primarie del PD del 24 gennaio, osannato dalla stampa e incensato dalle televisioni, Nichi Vendola si appresta a correre per conquistare il suo secondo mandato a governatore della Puglia. Vendola sconfigge Boccia, il candidato di D'Alema, ex Margherita, ex segretario di Enrico Letta, gradito all'UDC, col 67,1% dei votanti. Invano, D'Alema, indispettito dal trattamento riservato ai suoi lungotenenti coinvolti nello scandalo sanità pugliese e smanioso di cementare l'alleanza con l'UDC di Casini, aveva chiesto al governatore pugliese di "fare un passo indietro" a favore di un altro candidato unico. Vendola, ormai affezionato alla sua poltrona, ha preteso le primarie e le ha vinte. Adesso è il candidato di tutto il "centro-sinistra", compresa l'Italia dei valori di Di Pietro e De Magistris e persino della lista "Moderati per Vendola" il cui capogruppo è l'imprenditore Vincenzo Divella che solo fino a qualche settimana fa veniva dato per candidato certo del Pdl nella corsa alla presidenza. Del resto sul politico Vendola non vi sono reali pregiudiziali ideologiche e politiche, si tratta semplicemente di una guerra fra faide concorrenti. È indubbio che un personaggio come Vendola, che qualcuno addirittura candida a leader dell'intero "centro-sinistra", faccia ombra a buona parte del PD, D'Alema in testa, e che vi siano interessi economici e di potere contrastanti fra le varie lobby che sostengono l'uno e gli altri. In passato egli aveva ricevuto il sostegno del capo dei gladiatori Francesco Cossiga e suscitato l'entusiasmo dei fascisti de il "Secolo d'Italia" che recensendo una delle sue raccolte di poesie, "l'ultimo mare", ne avevano esaltato "il leopardiano pensiero poetante": "La voce della sua poesia riconsegna ai mutamenti una grande speranza". In buona sostanza nessuno, né alla destra né alla "sinistra" borghese, può far paura un comunista a parole, ma anticomunista nei fatti come Vendola, specie ora che si è completamente convertito al liberalismo e al cattolicesimo. Il percorso nel PCI revisionista Vendola nasce a Bari il 26 agosto 1958, ma vive a Terlizzi distante circa 30 chilometri dal capoluogo, dove adolescente inizia la sua carriera politica. Il padre e lo zio sono dirigenti della sezione del PCI revisionista di Terlizzi. Due "comunisti di tipo nuovo" come li definisce lo stesso Vendola. Infatti sono figli della buona borghesia del paese. Il loro padre (e nonno di Nichi) era Don Giovanni Vendola, detto l'"inglese" per l'eleganza anglosassone, proprietario di una cava di pietre. Il padre di Nichi Vendola è in gioventù un fervente fascista, capo balilla che partì in guerra volontario per "servire l'impero". Si convertì soltanto dopo la guerra. Ma non voleva che il figlio Nichi diventasse comunista, "non prima di aver conseguito la laurea", racconta lo stesso leader di Sinistra, ecologia, libertà. E prosegue: lo "zio mi diceva di leggere la Bibbia, perché un comunista non deve avere paraocchi deve viceversa spaziare nel tempo e nello spazio, deve coltivare più dubbi che certezze, deve essere sempre curioso e possibilmente anche allegro" ("Liberazione" del 24 ottobre 1999). Ancora oggi Vendola sostiene che "Il libro più importante per un comunista come me è la Bibbia". Vendola si iscrive alla Fgci, l'organizzazione giovanile del PCI, già a 14 anni, nel 1972. Si laurea in lettere e filosofia discutendo una tesi su Pierpaolo Pasolini. Diventa giornalista professionista. È fra i promotori dell'Arcigay e della Lila (Lega italiana lotta all'aids). Nel 1985, si trasferisce a Roma, entra a far parte della segreteria nazionale della Fgci diretta da Pietro Folena (con cui condivide le radici cattoliche) e ne diventa il numero due. Insieme a lui c'è un altro pugliese, Franco Giordano. Entrambi diventeranno i pupilli di Bertinotti. Esce dalla Fgci nel 1988 e va a lavorare a "Rinascita" durante la direzione dell'allora trotzkista-operaista Alberto Asor Rosa. Nel 1990 entra a far parte del Comitato centrale del PCI. È un gramsciano di destra fino al midollo, antistalinista viscerale. Il suo stesso nome lo testimonia. Battezzato Nicola, viene subito nominato Nichi, in onore di Nikita Krusciov e della sua destalinizzazione. Proprio in funzione antistalinista e anticomunista rivendica tutta l'esperienza del PCI revisionista da Gramsci, a Togliatti, a Longo, a Berlinguer. Così ripercorre enfaticamente questa esperienza nel 1999 su "Liberazione": "Gramsci già negli anni della carcerazione aveva intuito le degenerazioni della lotta intestina del dopo-Lenin e tutta la sua titanica riflessione ruotò attorno a categorie e temi che erano il contrario dello stalinismo. Togliatti, che nel gelo moscovita visse da dirigente internazionale, tornato dall'esilio inaugurò con vigore la 'via italiana' e il 'partito nuovo': e la sua riflessione approdò allo scandalo di quel 'memoriale di Yalta' che Longo, all'indomani della morte del Migliore, volle pubblicare nonostante la interdizione sovietica. Il dramma ungherese, nel 1956, fu l'ultimo capitolo del legame di ferro tra comunisti italiani e la casa madre russa. Nel 1968 l'invasione della Cecoslovacchia fu condannata con energia e il PCI indicò nella 'primavera di Praga', piuttosto che nei carriarmati, un paradigma: il 'socialismo dal volto umano'. Enrico Berlinguer portò a compimento lo strappo con le liturgie terzinternazionaliste e con la soggezione al modello sovietico: del quale vide prima i 'limiti' e gli 'errori' e poi ne intese la natura organicamente totalitaria. Strappò con un tentativo generoso ma troppo presto strozzato, incubato negli anni Trenta nella camera iperbarica dello stalinismo e congelato nella lunga stagione della stagnazione brezneviana. Non strappò la bandiera guardò avanti, ad una 'terza via', che non era l'autostrada liberista di Tony Blair, bensì la ricerca di un'alternativa di società 'oltre' e 'contro' la modellistica ingessata e mortifera del 'socialismo reale"'. Fondatore del PRC Non è quindi da posizioni autenticamente comuniste che Vendola nel '91 si oppone allo scioglimento del PCI e fonda, insieme a Garavini, Cossutta e altri, il "Movimento per la rifondazione comunista" che darà poi vita al PRC. Fin da allora egli è un precursore di quello che solo successivamente Rifondazione oserà operare ufficialmente: la rottura aperta con l'esperienza storica del movimento operaio nazionale e internazionale e della dittatura del proletariato, e l'assunzione della strategia della nonviolenza. Già quando era dirigente della Fgci e redattore del mensile "Jonas" teorizza la "nuova libertà", vagheggia castronerie tipo l'"interdipendenza", il "bisogno di una perestrojka planetaria", la "nonviolenza cervello progettuale della libertà solidale" (relazione al convegno FGCI "Percorsi di nuova libertà" - Venezia 7/8 novembre 1988). Nell'ultimo congresso della Fgci a cui partecipa, nel dicembre '88, accusa il PCI di aver praticato un riformismo "debole". Nel convegno della poi defunta DP sulla "Nuova sinistra", svoltosi a Milano nell'aprile 1991, attacca i maestri del proletariato da Engels a Stalin, esorcizza la lotta di classe e la dittatura del proletariato. Riconosce alla "Nuova sinistra" il "merito grande" di "aver tenuto aperto uno spazio di 'comunismo eretico"'. E aggiunge: "Ritengo vecchio e di destra un giudizio, che qui ho sentito pronunciare con apparente estremismo, per cui il problema sarebbe la rottura violenta, la conquista del potere. Su questo terreno siamo morti, e comprendendolo possiamo rinascere, a partire da quanto bene diceva il compagno Preve e cioè dalla ripresa in mano di tutti i perché della sconfitta della rivoluzione in Occidente, che fa allontanare Gramsci dal paradigma leniniano della conquista del potere e gli fa costruire la teoria dell'egemonia, dettandogli una lettura della società con la stupenda topografia delle casematte e del come si conquistano". Il suo antimarxismo-leninismo è netto e furioso. In un'intervista rilasciata al quotidiano craxiano "Avanti!" del 12 dicembre 1991, commentando il primo congresso di fondazione del PRC dichiara: "Credo che sia un fatto salutare che si introduca un elemento di rottura rispetto a qualunque concezione dogmatica delle ideologie: quindi anche la concezione dogmatica del cosiddetto marxismo-leninismo è bene che possa essere fracassata". Non altrettanto duro lo è con gli ex terroristi cosiddetti "rossi", con molti dei quali, a iniziare da Prospero Gallinari, intrattiene fraterne amicizie. Il 15 marzo 1991 su "il manifesto" riprende un tema a lui caro, quello di "oltrepassare la logica degli 'anni di piombo"'. Lo riprende per dire che non pensa più alle "BR" come "sedicenti" e "nemici, al soldo dei servizi stranieri, camuffati di rosso", ma le attesta come "eversione di sinistra", "fenomeno reale e con basi relativamente di massa". La stessa tesi sostenuta allora da Cossiga. Nel PRC in un primo tempo ricopre l'incarico di responsabile delle politiche giovanili. Si impegna in prima persona per lanciare il mito del Guevara fra la base di Rifondazione e i giovani di sinistra proprio in contrapposizione ai Maestri del proletariato internazionale e alla via universale dell'Ottobre. Nel dicembre '92 promuove a Roma una manifestazione sul tema "Il nostro Ernesto Che Guevara". Così lo racconta su "Liberazione" del 1° gennaio 1993. "Perché il Che? Intanto perché quel giovane medico argentino ha scritto alcune delle pagine più belle e meno scontate della storia del comunismo novecentesco... Abbiamo raccontato del fascino e della lucidità di quel 'piccolo condottiero del ventesimo secolo' che pensò alla guerriglia come ad un processo di riforma sociale, di quel ministro della nuova Cuba in permanente polemica contro ogni degenerazione burocratica... Di quel comunista che rifuggì dalle imbalsamazioni dogmatiche del marxismo, che mise costantemente l'accento sulla soggettività e sul ruolo degli individui nella traduzione in politica, che cercò di coniugare il mutamento delle fasi materiali della società con la costruzione dell''"uomo nuovo'''. Il "comunismo rifondato" di Vendola è insomma pregnato di liberalismo, di anarchismo, di individualismo piccolo-borghese, e persino di misticismo cattolico. "Sento tutto il fascino di un magistero millenario - ha dichiarato a 'Liberazione' del 16 febbraio 2000 -, perché mi sento sfidato e interrogato dal mistero della fede e dalla straordinaria parabola di Cristo crocefisso, perché la speranza nella liberazione umana non può non incrociare la sapienza e l'esperienza della chiesa". In un'intervista a "Libero" del 18 novembre 2007 rivendicherà: "Io sono nato cattolico. Il cattolicesimo è la mia culla" e rivela di portare sempre con sé il rosario perché "per reggere l'urto della vita che sto facendo, la passione politica da sola non basta. Ho bisogno della fede e della preghiera". Dice anche di essere "rimasto affascinato dal carisma di Wojtyla", che pure "non è stato un papa progressista, ma è stato un grande papa". La sua nonviolenza esasperata lo porta anche ad essere un sostenitore convinto della rinuncia alla lotta armata da parte dei popoli sotto il giogo imperialista e capitalista in Chiapas come in Guatemala e altrove. "La guerriglia è stata una delle forme necessitate della ribellione e dell'agire politico. Ciò che conta è che, nel fuoco della lotta guerrigliera, si sono formate forze politiche capaci di giungere alla trattativa e all'accordo, capaci di perseguire con lucida determinazione l'obiettivo del trascendimento della lotta armata a condizione di una pace equa e di un pluralismo effettivo. A parte il penoso caso del narco-terrorismo di matrice polpottiana di Sendero Luminoso, la gran parte delle forze guerrigliere di questo spicchio di mondo ha saputo imporre all'avversario e a sé il passaggio dalla politica delle armi alle armi della politica" ("Liberazione" del 18 gennaio 1997). Vendola dal '92 ha inaugurato anche la sua carriera parlamentare che è durata fino al 2005. Nel 1995, contrariamente a quanto stabilito dal comitato politico nazionale del suo partito di allora, il PRC, votò insieme ai Comunisti Unitari la fiducia al governo "tecnico" di Lamberto Dini. Per dieci anni è stato membro della Commissione antimafia, di cui fu anche vicepresidente. Il 21 gennaio 2009, Vendola lascia il PRC, dopo aver tentato la spallata plebiscitaria al 7° congresso dell'anno prima che invece elesse segretario Paolo Ferrero. Con Claudio Fava fonda "Sinistra e libertà", che successivamente si trasformerà in "Sinistra, ecologia, libertà", dando così vita a quel progetto di "nuovo soggetto politico" della sinistra coltivato insieme a Bertinotti. La lista si presenta alle europee del 2009 ma si ferma al 3,3% dei voti validi e non riesce a superare il quorum. Governatore della Puglia Dopo aver vinto a sorpresa le primarie del "centro-sinistra", Vendola vince col 49,8% dei voti validi, che corrispondono però al 33,1% di tutti gli elettori aventi diritto al voto, anche le elezioni del 3-4 aprile 2005 e diventa governatore della Puglia. Prima ancora di essere eletto, comprendendo che il suo già lodato "moderatismo" e il suo già essere un "comunista eretico e libertario" ha bisogno di un'ulteriore sterzata a destra, manda un chiaro messaggio rassicurante alla borghesia locale: "Considero la Puglia un laboratorio speciale. La Puglia è nel sud ciò che la Lombardia è nel nord. Una regione che ha sempre avuto una borghesia d'impresa molto dinamica, molto fantasiosa. È un polo di grande fermento intellettuale; è una regione che può diventare il laboratorio per una nuova stagione del meridionalismo" ("Liberazione" del 12 novembre 2004). E infatti l'impresa diventa un suo interlocutore privilegiato e non è un caso che oggi fra i suoi sostenitori si annoveri anche buona parte di quella borghesia che lo dovrebbe avversare. Del resto lui si vanta di aver traghettato l'economia della sua regione "dal feudalesimo al capitalismo", ossia di aver incentivato il rilancio del capitalismo pugliese, che vede come "modello" e "ricetta" universale per risolvere tutta la Questione meridionale. La verità è un'altra. Vendola aveva centrato tutta la sua campagna elettorale sulla promessa di una "primavera pugliese" assicurando "discontinuità e trasparenza" rispetto alla precedente giunta del plurinquisito e berlusconiano Fitto. Ma la primavera non è arrivata. Prova ne è la bufera giudiziaria che si è abbattuta sui partiti del "centro-sinistra" che governano la Regione Puglia con decine di politici, dirigenti Asl, imprenditori e boss mafiosi della sacra corona unita indagati per reati gravi e infamanti, fra cui lo stesso Vendola indagato per concussione per presunte pressioni che il presidente della Regione avrebbe fatto nel 2008 sui direttori generali di alcune Ausl pugliesi per ottenerne la nomina di direttori amministrativi, sanitari e primari graditi all'esecutivo regionale. Uno scandalo a cui Vendola tenta di sottrarsi azzerando, il 13 luglio 2008, la vecchia giunta e presentandone una nuova ancora più spostata a destra. Egli tenta così di scaricare sui suoi assessori la "questione morale". In realtà, ciò non basta a sottrarlo alle sue responsabilità che sono politiche, ancorché giudiziarie, poiché egli non può non sapere e non rispondere di ciò che avveniva sotto i suoi occhi. Il suo piglio presidenzialista e berlusconiano lo conferma anche con l'atteggiamento assunto rispetto alla magistratura di Bari che secondo lui sta imbastendo una montatura a suo danno. Fatto è che persino il suo avversario sconfitto Francesco Boccia paventa indirettamente un sistema clientelare nella gestione Vendola: "C'è una forma di corruzione che consiste nell'aggirare un concorso pubblico e che equivale a prendere una tangente" (intervista a Il Giornale del 21 febbraio 2010). Più esplicito, ovviamente, il segretario nazionale del PSDI, nonché ex responsabile del settore legislativo della Regione, Mimmo Magistro, alleato del Pdl, che ha prodotto un dossier sulle assunzioni accusando Vendola di aver creato un sistema di "clientele". Un sistema che ha prodotto fra l'aprile 2008 e il dicembre 2009 un migliaio di nuove assunzioni e incarichi a vario titolo, assegnati anche a esponenti di spicco del PD, senza passare dai concorsi oppure con concorsi ritagliati su misura, con un incremento del 52% delle spese di consulenza nel 2008 rispetto al 2007. Sarà per questo che Vendola non se la sente nemmeno di condannare la riabilitazione in atto dell'ex segretario socialista Bettino Craxi. In un incontro di presentazione del libro di De Magistris "Giustizia e Potere", infatti Vendola ha preso le distanze dall'ex magistrato ed esponente dell'Idv dichiarando che: "Riguardo a Craxi, ci sono dei punti che mi rendono più problematici certi ragionamenti manichei. Penso alla vicenda di Sigonella". Oppure, citando il caso Moro, quando "Craxi ruppe il fronte della fermezza, mettendo la sacralità della vita davanti alla ragione di Stato". Un liberale doc Attualmente l'impegno di Vendola è tutto concentrato, da una parte, a dimostrare la sua definitiva parabola liberale e fedeltà cattolica, e, dall'altra, a continuare a ingannare l'elettorato di sinistra per tenerlo prigioniero nel sistema capitalistico e al servizio della "sinistra" borghese. "A lungo ognuno di noi ha fatto un cammino solitario, - spiega Vendola seduto in prima fila al congresso dell'Idv - oggi la crisi del berlusconismo obbliga tutti noi a costruire la battaglia culturale prima ancora che politica. Allora ci dobbiamo parlare. Dobbiamo confrontarci sul vocabolario comune, quello dell'Idv, quello del PD, quello di Sinistra, ecologia, libertà. La parola fondante sia il diritto, punto di partenza sia la Costituzione e gli articoli uno, due e tre". Emblematica è la sua ricerca spasmodica dell'alleanza con l'Udc di Casini, e persino con l'ex missina, ex ministra e ex sindaco di Lecce Adriana Poli Bortone, peraltro molto generosa di elogi con l'attuale governatore pugliese, iniziata già al momento dell'azzeramento della sua giunta e della costituzione di quella nuova nel 2009. Una ricerca che è continuata e continua tuttora con esplicite e plateali appelli all'unità: "Dobbiamo contrapporre un'offensiva del dialogo programmatico e una gara delle idee, chiamandoci fuori da ogni forma di riduzione della politica a rissa e degenerazione polemica. Per questo chi ha lavorato e lavora per una futura alleanza con l'Udc fondata non sul politicismo e sui veti ma sulla ricerca di strategie di fondo comuni non può oggi che impegnarsi al massimo per la riconferma dell'anomalia pugliese" ("Gli altri", 5 febbraio 2010). E, ancora, a chi gli contesta di guardare poco a sinistra, ribatte che le "sinistre" "dovrebbero, soprattutto, intendere fino in fondo la necessità di una radicale innovazione, di un cambio di passo ma anche di un cambio di vocabolario. Una sinistra che interroga il futuro e che attraversa il presente col coraggio di agire la politica e non solo di testimoniare un'alterità". Ossia dovrebbe essere piuttosto propensa al compromesso. E il liberale Vendola di compromessi è disposto a farne. Basti pensare che la sua lista "Sinistra, ecologia, libertà", il cui simbolo ora include anche la scritta "con Vendola", a testimoniare la sua vocazione presidenzialista, è alleata con l'Idv non solo in Puglia ma anche in altre 10 regioni dove si svolgeranno le elezioni regionali il 28 e 29 marzo prossimo. Ma, soprattutto, è alleata con l'Udc non solo in Liguria e in Basilicata, ma anche in Piemonte. Sinistra, ecologia e libertà, cioè sosterrà insieme all'UDC la manganellatrice del popolo No Tav in Val Susa, l'attuale governatrice piemontese Bresso mentre appoggia il plurinquisito De Luca in Campania. A questo punto la domanda è d'obbligo: com'è possibile che chi vuol liberarsi dal capitalismo e conquistare il socialismo possa votare un liberale e anticomunista come Vendola? Gli anticapitalisti e i fautori del socialismo non hanno altra scelta che votare per il PMLI e per l'Italia unita, rossa e socialista, astenendosi. 24 febbraio 2010 |