La Gelmini rilancia un progetto di Mussi I nuovi criteri di valutazione delle università penalizzano gli atenei già poveri del Sud Nessuna legittimazione alla neonata Agenzia che taglia risorse e personale. Nessuna lista nera, bensì più fondi per studenti e atenei, a cominciare proprio dal massacrato Mezzogiorno Respingere la politica della meritocrazia Con la direttiva ministeriale prebalneare del 24 luglio scorso il governo del neoduce Berlusconi ha reso operativa la controriforma dei meccanismi di valutazione e di finanziamento del sistema universitario italiano sulla base del "decreto legge Gelmini" approvato con il voto di fiducia dal parlamento il 7 gennaio scorso. Tale decreto impose al mondo universitario in rivolta, i nuovi criteri capestro di distribuzione dei finanziamenti statali, come è noto già abbondantemente falcidiati dalla infame legge 133 del 2008. Si tratta di una lunga serie di intollerabili vincoli ai finanziamenti all'università ed alla ricerca, che servono a giustificare un vero e proprio "massacro" degli Atenei e una nuova ondata di tagli all'istruzione universitaria. Tra le conseguenze immediate il fatto che la metà delle università italiane, la stragrande maggioranza di quelle del Mezzogiorno, non avrà i fondi per pagare gli stipendi ai docenti e al personale. Con l'Italia, ricordiamolo, che è ferma al 29esimo posto (su 30) fra i paesi dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) per percentuale sul Prodotto interno lordo (Pil) di stanziamenti per università e ricerca! Secondo alcune stime, a causa dei provvedimenti legislativi, al sistema universitario pubblico italiano verrà tagliato, da qui al 2013, il 67% del suo budget reale, cioè, assegni fissi a parte, ciò che spende per ricerca, didattica, edilizia, internazionalizzazione. L'obiettivo palese del governo è quello di sfoltire e privatizzare l'università pubblica del nostro Paese, privilegiando nell'accesso ai fondi statali gli atenei più ricchi, privati, privatizzati o in via di privatizzazione, considerati di serie A, e definiti "d'èlite" o "di eccellenza", e abbandonando viceversa al proprio destino quelli più poveri e meno inclini a trasformarsi in Fondazioni, considerati di "scarsa qualità", ossia di serie B. Un altro obiettivo è quello di declassare, affossare e abbandonare definitivamente l'intero sistema formativo del Mezzogiorno come prescrivono i fascio-leghisti del Carroccio, allo scopo di intensificare l'emigrazione in massa della parte più giovane e qualificata della popolazione delle regioni meridionali verso le zone più industrializzate. Quelle zone ricordiamolo, ancora, dopo quasi 150 anni dall'Unità d'Italia, principalmente concentrate nel Nord del Paese. La controriforma dell'università, come hanno evidenziato anche le grandi mobilitazioni di protesta dello scorso autunno, va a braccetto con quella altrettanto infame che ha instaurato la scuola classista, aziendalista gerarchizzata, meritocratica e razzista del regime neofascista. Entrambe devono essere affossate con la lotta unitaria di classe e di piazza degli studenti e dei lavoratori. Un'Agenzia al servizio degli "Atenei di serie A" Prendendo a prestito un progetto elaborato dal rinnegato Fabio Mussi nella precedente legislatura guidata da Romano Prodi, il ministro Gelmini ha dato vita all'Agenzia nazionale per la valutazione del sistema università e ricerca (Anvur) che sostituisce ed unifica Cnvsu e Civr. La neonata Agenzia, che ha per l'appunto lo scopo di tagliare risorse e personale, di erogare finanziamenti e assunzioni con il contagocce e solo per gli atenei che si trasformano in fondazioni, di completare in sostanza il processo di privatizzazione di università ed enti di ricerca, sarà costituita da un Consiglio direttivo e un collegio dei revisori in carica per 4 anni. Il consiglio direttivo sarà nominato dal presidente della Repubblica su proposta del ministro che sceglierà i membri da un elenco definito da un "comitato di selezione". Quest'ultimo sarà composto da 5 membri che saranno designati rispettivamente dal ministro stesso, dal segretario generale dell'Ocse, dal presidente dell'Accademia dei lincei, dal presidente dell'European research Council e dal Consiglio nazionale degli studenti (Cnsu). Si tratta di un organismo in cui non si può riporre la benché minima fiducia, neanche in termini di "trasparenza", in quanto nominato e composto da politicanti in camicia nera, dai loro servi, e dai rappresentanti di quella potente lobby trasversale di baroni italiani ed europei che ha fatto propria la piattaforma programmatica di demolizione del sistema pubblico di istruzione italiano elaborata a suo tempo da Licio Gelli, piduista, fascista dichiarato e padrino politico dell'attuale presidente del Consiglio. Criteri capestro per gli "Atenei di serie B" L'aberrazione principale, che nessuno dei governi democristiani o "socialisti" del dopoguerra era riuscito fino ad ora ad imporre, è che solo gli atenei "virtuosi" riceveranno il 7% del Fondo di finanziamento ordinario (Ffo), circa mezzo miliardo di euro, ed il fondo straordinario della finanziaria 2008. Per atenei "virtuosi" si intendono quelli - specifica il testo - "con offerta formativa, qualità della ricerca scientifica, efficacia ed efficienza delle sedi didattiche migliori". A costoro andrà quindi il cosiddetto "fondo premiale", che in realtà è parte del fondo di finanziamento ordinario. Ai soli "virtuosi", saranno così distribuiti i finanziamenti: 2/3 sulla base della "qualità della ricerca", 1/3 sulla base della "qualità della didattica". Sempre soltanto per gli "atenei virtuosi" è previsto un parziale allentamento del blocco del turn over che passa dal 20% previsto dalla Finanziaria 2009 (5 pensionamenti, 1 nuova assunzione) al 50% (2 pensionamenti, una assunzione). Al 31 dicembre di ciascun anno, per potere accedere ai finanziamenti statali i rettori, in sede di approvazione del bilancio, dovranno pubblicare "una relazione concernente i risultati delle attività di ricerca, di formazione e di trasferimento tecnologico nonché i finanziamenti ottenuti da soggetti pubblici e privati". Tra i principali criteri annuali di valutazione ci sono oltre alla quantità di studenti che si iscrivono al secondo anno avendo fatto almeno 2/3 degli esami del primo anno (meritocrazia), "la capacità di intercettare i finanziamenti europei per la ricerca", "la capacità di autofinanziarsi", "la capacità di garantire processi formativi positivi" anche in riferimento alla "occupazione post-laurea" ("percentuale di laureati che trovano lavoro a tre anni dal conseguimento della laurea"). Massacrate le università del Sud La prima lista ministeriale dei "buoni" e dei "cattivi", che entrerà in vigore già alla riapertura dell'anno accademico, è stata redatta in base a parametri - afferma il ministro Gelmini - "riconosciuti e valutati positivamente dalla Crui", la famigerata conferenza (filogovernativa) dei rettori. Osservando la classifica dei promossi e dei bocciati (vedi tabella), e nonostante le menzognere rassicurazioni e gli spergiuri dei gerarchi di Viale Trastevere, balza all'occhio che le previsioni più nefaste non erano per nulla infondate: vengono sottratti soldi agli atenei del Centro-Sud per darli a quelli del Nord! Trento e i Politecnici di Torino e Milano si trovano infatti in testa ai virtuosi (oltre 20 milioni di euro in più), Macerata, Foggia e Palermo agli ultimi posti, avranno meno fondi, ed è a rischio la loro stessa sopravvivenza. In sostanza la stragrande maggioranza degli atenei del Centro-Sud (addirittura 24 su 27!) è finito nella lista nera del governo e verrà gravemente penalizzata nell'assegnazione dei finanziamenti. Alla mannaia non sono sfuggiti neanche i "grandi" Atenei con "alto" numero di iscritti, come la Federico II di Napoli e persino la Sapienza di Roma e Roma3. In questo caso non è da escludere che il criterio sia stato strettamente politico: è noto infatti che la rivolta studentesca alle controriforme promosse dai vari Berlinguer, Zecchino, Mussi, Moratti, Gelmini, ha avuto come epicentro proprio gli atenei della capitale, ora guarda caso puniti con il declassamento dal ministero. Per quanto riguarda gli atenei di Trieste, Firenze e Siena, notoriamente in testa alle classifiche internazionali sulle "qualità della didattica", non figurano nella lista del ministero, in quanto l'erogazione della quota di fondi vincolata alla "qualità" è stata sospesa "in attesa della presentazione di un piano finanziario di risanamento dei bilanci". Quel che è certo è che con questi criteri capestro gli atenei del Mezzogiorno hanno letteralmente il cappio tirato intorno al collo. Per uscire dal fondo della classifica, che comporta il progressivo azzeramento dei fondi statali e dunque la bancarotta, non hanno altra strada che quella, a fronte di servizi sempre più scadenti, di ridurli ulteriormente, svendendo, esternalizzando o subappaltando, tagliando e super sfruttando il personale, o in alternativa aumentando le già esose tasse e balzelli e i già diffusissimi corsi o master, a numero chiuso e a pagamento. Prendiamo ad esempio il criterio capestro dell'occupazione post-laurea. Il grosso del moderno esercito di riserva del capitalismo italiano che è l'emigrazione dal Sud al Nord, cioè l'87%, è fornito da sole tre regioni Campania, Puglia e Sicilia. L'ultimo rapporto Svimez, ha calcolato che solo 31mila laureati del Sud trovano un qualche lavoro in loco. In totale su 96 mila universitari del Meridione, 37mila lavorano al Sud, 26 mila al Nord e il resto, ben 33mila, resta disoccupato. Gli atenei del Meridione vengono penalizzati perché secondo il governo se i laureati di questi atenei non riescono a trovare lavoro entro tre anni è colpa delle università che non sono didatticamente adeguate. Della serie cornuti e mazziati! Studenti del Sud, sembrano dire i gerarchi di Viale Trastevere, dopo la laurea non avrete lavoro? Bene, vi leviamo anche l'istruzione universitaria! Così, o vi decidete ad emigrate al Nord oppure sarete costretti a chiedere l'elemosina ai politicanti locali e nazionali al momento del voto, semmai con l'intermediazione della criminalità organizzata. E per noi va benissimo anche quello... Blocco delle assunzioni, nulla per i precari e briciole per gli studenti Come se non bastasse una norma attuativa del decreto del 7 gennaio prevede che gli atenei che spendono più del 90% del Ffo in stipendi non potranno bandire concorsi per docenti, ricercatori e personale amministrativo. Il governo vuole farci credere di non sapere che al Sud questi atenei sono la stragrande maggioranza? E che dire poi di quei 135 milioni destinati ai soli "capaci e meritevoli" che non coprono minimamente gli almeno 180mila aventi diritto alle borse di studio, che dire della mancata stabilizzazione dell'esercito di precari e del nuovo interminabile blocco delle assunzioni che è confermato per tutte le università che, al 31 dicembre di ciascun anno, sono in deficit, semmai si sono rifiutate di aumentare le tasse, licenziare i precari o svendere il patrimonio immobiliare. Gelmini, Sacconi e Brunetta sanno bene che nei prossimi cinque anni è prevista un'uscita del 47% del corpo docente (si contano sulle mani i ricercatori che hanno meno di 40 anni, 8% degli associati e 1% degli ordinari) e dunque che la promessa di assunzione di 4.000 nuovi ricercatori resta una goccia nell'oceano della carenza di personale che si verrà a determinare nel breve-medio periodo. Se ne fregano! Perché il loro scopo è proprio di dimezzare i corsi e gli iscritti, cominciando "a mettere un freno alla proliferazione di insegnamenti che non rispondono alle reali richieste del mercato del lavoro". Anche l'intenzione di abolire il contratto nazionale di lavoro risponde all'esigenza di piegare il mondo accademico alla logica di classe e aziendalistica fondata sulla subordinazione del sapere alle esigenze di profitto delle aziende, sulla meritocrazia, ed un nuovo e ancor più spregiudicato e legalizzato nepotismo. 23 settembre 2009 |