Nel discorso del Cairo Obama usa parole di miele per riacquistare l'amicizia dei musulmani di tutto il mondo verso l'imperialismo americano Il presidente Usa: Il legame con Israele è indistruttibile. Hamas deve riconoscere il diritto di Israele ad esistere Khamenei: i discorsi non bastano "Io sono qui oggi per cercare di dare il via a un nuovo inizio tra gli Stati Uniti e i musulmani di tutto il mondo; l'inizio di un rapporto che si basi sull'interesse reciproco e sul mutuo rispetto", ha affermato il presidente degli Stati Uniti Barack Obama quasi all'inizio del discorso tenuto il 4 giugno al Cairo, nell'aula magna dell'Università di fronte a una superselezionata platea che l'ha più volte applaudito. Un discorso infarcito di parole di miele, di riconoscimenti corretti al ruolo dell'Islam nella storia, allo scopo di riacquistare l'amicizia dei musulmani di tutto il mondo verso l'imperialismo americano, una volta messo alle spalle il concetto prevalente negli Usa con Bush, quello dello "scontro di civiltà", di cui però poco o nulla rinnega. Lo si capisce fin da subito, da quando ha sottolineato che "ci incontriamo qui in un periodo di forte tensione tra gli Stati Uniti e i musulmani in tutto il mondo" che a suo dire "ha le sue radici nelle forze storiche che prescindono da qualsiasi corrente dibattito politico", quasi fosse dovuto a un'inerzia della storia e non a responsabilità più o meno recenti della politica imperialista americana. Anzi, sottolineando che "i cambiamenti radicali prodotti dal processo di modernizzazione e dalla globalizzazione hanno indotto molti musulmani a considerare l'Occidente ostile nei confronti delle tradizioni dell'Islam", sembra voler dire che la colpa è nella resistenza dei musulmani a accettare il nuovo mondo globalizzato capitalista. Una situazione, ha accusato, nella quale "violenti estremisti hanno saputo sfruttare queste tensioni in una minoranza, esigua ma forte, di musulmani" che ha portato agli attentati dell'11 settembre 2001 e "ha di conseguenza indotto alcune persone nel mio Paese a considerare l'Islam come inevitabilmente ostile non soltanto nei confronti dell'America e dei Paesi occidentali in genere, ma anche dei diritti umani". Se si considera che in passaggi successivi ha affermato che "quando violenti estremisti operano in una remota zona di montagna, i popoli sono a rischio anche al di là degli oceani" e che "oltre sette anni fa gli Stati Uniti dettero la caccia ad Al Qaeda e ai Taliban (in Afghanistan, ndr) con un vasto sostegno internazionale. Non andammo per scelta, ma per necessità", ecco giustificata la prima aggressione e occupazione imperialista decisa da Bush e continuata da Obama. Che si dice ben lieto "di riportare a casa anche l'ultimo dei nostri soldati se solo potessimo essere fiduciosi che in Afghanistan e in Pakistan non ci sono estremisti violenti che si prefiggono di massacrare quanti più americani possibile. Ma non è ancora così". E con "dispiacere" aumenta il contingente di occupazione imperialista. Non è certo un bell'esordio per Obama che comunque ha insistito nel ripetere che "i nostri problemi devono essere affrontati collaborando, diventando partner". Fermo restando, come diceva Bush, che "in ogni caso, però, noi non daremo mai tregua agli estremisti violenti che costituiscono una grave minaccia per la nostra sicurezza". La differenza con l'ex inquilino della Casa Bianca sta solo nel fatto che Obama usa l'espressione "estremisti violenti" al posto di terroristi. Non rinnega nemmeno l'invasione e l'occupazione dell'Iraq, "una scelta che ha provocato molti forti dissidi nel mio Paese e in tutto il mondo", anzi è "convinto che in definitiva il popolo iracheno oggi viva molto meglio senza la tirannia di Saddam Hussein". Ha ripetuto che ritirerà solo le "brigate combattenti entro il prossimo mese di agosto' (gli altri nel 2012)" e che continuerà a "aiutare l'Iraq a plasmare un miglior futuro per se stesso", ovvero a cercare di tenerlo sotto il controllo Usa con altri strumenti: "daremo sostegno a un Iraq sicuro e unito da partner, non da dominatori", appunto. "L'America, in definitiva, si difenderà - ha sostenuto - rispettando la sovranità altrui e la legalità delle altre nazioni. Lo farà in partenariato con le comunità musulmane, anch'esse minacciate. Quanto prima gli estremisti saranno isolati e si sentiranno respinti dalle comunità musulmane, tanto prima saremo tutti più al sicuro", ha concluso la trattazione di questo punto chiamando soprattutto i musulmani a dare il loro contributo alla politica dell'imperialismo americano. Sulla questione palestinese è partito dal ricordare che "sono ben noti i solidi rapporti che legano Israele e Stati Uniti. Si tratta di un vincolo indistruttibile". Non ha detto ancora una parola di denuncia del recente massacro sionista a Gaza e l'unico invito che rivolge al regime di Tel Aviv è quello di non ampliare le colonie in Cisgiordania. I diritti dei palestinesi vengono dopo e comunque confinati nell'oramai improponibile soluzione dei due Stati. E condizionati soprattutto al fatto che "i palestinesi devono abbandonare la violenza", la lotta armata di resistenza all'occupazione sionista. A Hamas, che bontà sua "gode di sostegno tra alcuni palestinesi" ha dettato le sue condizioni: "per rivestire un ruolo determinante nelle aspirazioni dei palestinesi, per unire il popolo palestinese, Hamas deve porre fine alla violenza, deve riconoscere gli accordi intercorsi, deve riconoscere il diritto di Israele a esistere". Neanche una parola sul riconoscimento del legittimo governo guidato da Hamas, eppure in una parte successiva del discorso, nella "lezione" sulla democrazia concludeva con "noi accetteremo tutti i governi pacificamente eletti, purché governino rispettando i loro stessi popoli". Appunto. Passando a un'altra questione ha sottolineato che altra "causa di tensione è il nostro comune interesse nei diritti e nelle responsabilità delle nazioni nei confronti delle armi nucleari. Questo argomento è stato fonte di grande preoccupazione tra gli Stati Uniti e la Repubblica islamica iraniana". "Tutte le nazioni, Iran incluso, dovrebbero avere accesso all'energia nucleare a scopi pacifici se rispettano i loro obblighi e le loro responsabilità previste dal Trattato di Non Proliferazione", ha riconosciuto ma, al pari di Bush, ha mischiato ad arte la questione del nucleare civile e militare e proseguito con "si tratta qui di evitare una corsa agli armamenti nucleari in Medio Oriente che potrebbe portare questa regione e il mondo intero verso una china molto pericolosa". Il 19 maggio Obama ha firmato un accordo, impostato dall'amministrazione Bush in gennaio, per la costruzione di centrali nucleari negli Emirati arabi uniti, un accordo che, aveva garantito, "non comporterà alcun rischio irragionevole ma promuoverà la comune difesa e sicurezza". Alla faccia del suo sedicente nucleare civile. Nella parte iniziale dell'intervento Obama aveva affermato che "le parole da sole non possono dare risposte concrete ai bisogni dei nostri popoli" ma quanto a iniziative concrete sul "nuovo corso" della politica dell'imperialismo siamo pressoché a zero, con anzi alcuni atti significativi di continuità con la "vecchia" di Bush. "Con il nuovo linguaggio gli Usa vogliono dare una nuova immagine di sé stessi. Ma i cambiamenti devono essere nei fatti e non solo a parole. Altrimenti nemmeno cento discorsi basteranno", ha affermato da Teheran Alì Khamenei in un discorso pubblico tenuto sempre il 4 giugno in occasione del 20esimo anniversario della morte del fondatore della repubblica islamica, l'ayatollah Rouhollah Khomeini. Khamenei ha accusato gli Usa di offrire "un sostegno completo allo Stato usurpatore di Israele", di opporsi al programma nucleare pacifico di Teheran e di compiere violenze contro i civili in Iraq e Afghanistan, comportandosi "come i terroristi". "Le nazioni della regione detestano gli Stati Uniti dal profondo del cuore perché per anni hanno assistito a violenza, interventi militari e discriminazione", ha osservato l'ayatollah e "il nuovo governo cerca di cambiare questa immagine ma non si realizzerà con parole, discorsi e slogan". 10 giugno 2009 |