Lo denuncia l'Anmil Ogni 7 ore muore un operaio sul lavoro Le responsabilità dei padroni, del governo e delle istituzioni capitalistiche L'Italia ha il primato in Europa delle "morti bianche" Un lavoratore ucciso ogni 7 ore, oltre un milione di incidenti e più di mille morti l'anno: è il pesantissimo tributo di sangue che la classe operaia versa sull'altare del massimo profitto capitalista. Un autentico "bollettino di guerra" che, come denuncia l'Anmil (l'associazione dei mutilati ed invalidi del Lavoro) nel secondo rapporto sulla tutela del lavoro presentato il 4 febbraio al capo dello Stato Napolitano, ci colloca all'ultimo posto in Europa in termini di tutela e sicurezza sul posto di lavoro. Uno stillicidio quotidiano di lavoratori schiacciati sotto una lastra di marmo, stritolati da una pressa, bruciati vivi in fonderia, investiti da un'esplosione, precipitati dalle impalcature, uccisi sotto il trattore, soffocati nei silos o nelle cisterne delle navi, tanto per citare i casi più drammatici, le cui responsabilità sono da addossare sia ai padroni, che in nome del massimo profitto obbligano gli operai a turni di lavoro massacranti, in condizioni di grave pericolo e senza il minimo rispetto per le norme e i sistemi di sicurezza, ma anche al governo e alle istituzioni capitalistiche che non muovono un dito per contrastare questa autentica carneficina salvo poi, come ha fatto di recente il rinnegato Napolitano, piangere lacrime di coccodrillo sulle bare dei 7 operai morti bruciati alla ThyssenKrupp di Torino. Per questo, scrive l'Anmil nel suo rapporto: "Non si può dire che in Italia un fondamentale diritto della persona, ossia il diritto alla vita e alla sicurezza di ciascuno nel normale svolgimento della propria attività sia garantito". E sottolinea che: "Non si tratta di un fenomeno marginale e in via di estinzione, ma di un effetto perverso che sembra profondamente innervato nel modo di produzione e nello stesso modo di essere della modernità: in realtà, siamo in presenza di un fenomeno sociale di massa, sebbene la società non lo riconosca come tale. Di certo una vera e propria guerra a bassa intensità, che di regola si svolge nell'ombra e nel silenzio" denuncia il presidente, Piero Mercandelli, che parla di una "vergogna che macchia il Paese, che ignora il diritto al lavoro e alla sua sicurezza" e di una "contabilità spesso arida e anonima, persino controversa, che non ha sussulti neanche di fronte alla fine di una vita". Nel 2007 sono stati 832.037 gli infortunati sul lavoro regolarmente denunciati all'Inail. I casi di invalidità grave sono stati 208.588, quelli molto gravi 27.466 mentre 7.761 sono quelli di assoluta gravità e 588.222 i casi di media gravità. Più colpito è il settore dell'industria e dei servizi dove gli incidenti sono stati l'80% del totale, contro il 19% di quello agricolo e soltanto l'1% dei dipendenti pubblici. Ma a tutto ciò bisogna aggiungere il nero e il sommerso che l'Inail stima in circa 200 mila infortuni non denunciati a cui vanno ancora aggiunti gli infortuni fatti passare per malattie comuni e gli incidenti occorsi ai non assicurati. Le statistiche dimostrano che negli ultimi dieci anni gli infortuni mortali sono diminuiti sensibilmente: in Germania del 48,3%, in Spagna del 33,64%, nell'Unione Europea del 29,41%. "Il male dell'Italia - evidenzia l'Anmil - è che le leggi sembrano esistere solo sulla carta e la speranza è che la stessa sorte non tocchi anche a quella varata nell'agosto del 2007, particolarmente avanzata nei principi ispiratori e nelle previsioni normative, ma oggi a rischio di restare incompiuta a causa delle vicende politiche". Basti pensare che a 5 mesi dall'entrata in vigore della nuova legge sulla sicurezza e tutela del lavoro, i coordinamenti provinciali delle attività ispettive non sono ancora operativi. I fatti, dopo tanto parlare di prevenzione, dicono semplicemente che con il personale a disposizione impegnato a questo scopo, se si dovessero controllare tutte le aziende italiane, ognuna di esse riceverebbe, stima l'Anmil, un controllo ogni 23 anni. Mentre sul fronte penale i reati di omicidio colposo o lesioni conseguenti al mancato rispetto delle norme di sicurezza sul lavoro sono - dice ancora l'associazione - sostanzialmente impuniti, vuoi per i tempi della giustizia vuoi per l'indulto intervenuto nel frattempo. 13 febbraio 2008 |