Con l'astensione degli Usa e di altri 40 Paesi L'Onu riconosce che l'acqua è un diritto umano "È ormai tempo di considerare l'accesso all'acqua potabile e ai servizi sanitari nel novero dei diritti umani, definito come il diritto uguale per tutti, senza discriminazioni, all'accesso ad una sufficiente quantità di acqua potabile per uso personale e domestico - per bere, lavarsi, lavare i vestiti, cucinare e pulire se stessi e la casa - allo scopo di migliorare la qualità della vita e la salute. Gli Stati nazionali dovrebbero dare priorità all'uso personale e domestico dell'acqua al di sopra di ogni altro uso e dovrebbero fare i passi necessari per assicurare che questa quantità sufficiente di acqua sia di buona qualità, accessibile economicamente a tutti e che ciascuno la possa raccogliere ad una distanza ragionevole dalla propria casa...". Con queste parole la Risoluzione Onu del 29 luglio 2010, approvata dall'Assemblea Generale con 122 voti favorevoli, 41 astensioni (tra cui gli Usa guidati da Barack Obama), e nessun contrario, dichiara per la prima volta il diritto all'acqua un diritto umano universale e fondamentale, che risulta quale "estensione del diritto alla vita affermato dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani" e riflette "l'imprescindibilità di questa risorsa relativamente alla vita umana". "L'acqua potabile e per uso igienico, oltre ad essere un diritto di ogni uomo, più degli altri diritti umani, concerne la dignità della persona, è essenziale al pieno godimento della vita, è fondamentale per tutti gli altri diritti umani". Meglio tardi che mai! Fino a oggi infatti l'Onu aveva affermato il diritto all'acqua come diritto soltanto di alcune categorie di persone (minorenni, disabili), mai come diritto universale. Si tratta quindi di un'importante dichiarazione di principio a fronte di un ritardo colpevole e ingiustificabile, di un crimine di cui l'Organizzazione internazionale fin qui si era resa complice, se si pensa solo alla mole di dati che ha a disposizione circa la drammaticità della situazione a livello mondiale. All'inizio del terzo millennio, infatti, si calcolava che oltre un miliardo di persone non avesse accesso all'acqua potabile e che il 40% della popolazione mondiale non potesse permettersi il lusso dell'acqua dolce per una minima igiene. Nel 2004 l'organizzazione umanitaria britannica "WaterAid" calcolò la morte di un bambino ogni 15 secondi per via di malattie facilmente prevenibili, contratte a causa della scarsità di acqua pulita. Nel 2006 si sono contate trentamila morti ogni giorno nel mondo per cause riconducibili alla mancanza d'acqua pulita! Riteniamo molte grave che la risoluzione, ancorché tardiva, non sia vincolante, ovvero affermi un principio che ancora raccomanda (non obbliga) gli Stati a attuare iniziative per garantire a tutti un'acqua potabile di qualità, accessibile, a prezzi economici. Il perché è presto detto. L'Onu non osa toccare i grandi monopoli, come le grandi società miste, che nella privatizzazione dell'acqua hanno trovato la manna dal cielo per massimizzare i loro profitti, e non osa mettere i bastoni tra le ruote alle grandi potenze imperialiste, che usano l'acqua per ricattare i popoli sottomessi e quelli da sottomettere. Valga per tutte l'esempio del genocidio che è in atto in Palestina. L'imperialismo sionista si serve della privazione dell'acqua, allo stesso modo e per lo stesso scopo con il quale utilizza i missili, le bombe al fosforo e i carrarmati. Secondo un rapporto diffuso lo scorso ottobre dall'organizzazione non governativa "Amnesty International" in Israele è "una vera e propria appropriazione indebita" che insieme a una serie di criminali limitazioni "rende di fatto impossibile per un palestinese approvvigionarsi dell'acqua se non passando attraverso le autorità israeliane che la razionano a loro piacimento". In pratica i palestinesi sono costretti a comprare dallo Stato sionista a peso d'oro il principio della vita che sgorga nella sua terra. Essi infatti non hanno diritto ad approvvigionarsi dal bacino della valle del Giordano, non possono scavare pozzi, gli stessi serbatoi sui tetti delle case vengono regolarmente presi di mira dai coloni con colpi d'arma da fuoco. Per effetto di ciò un israeliano dispone di circa 300 litri al giorno grazie alle forniture che arrivano dalla Cisgiordania, mentre in molte aree i palestinesi sopravvivono con meno di 20 litri al giorno, al di sotto della quantità minima raccomandata per uso domestico in situazioni di emergenza, mentre circa 200.000 palestinesi che vivono in comunità rurali non hanno accesso all'acqua corrente. Come se non bastasse alla popolazione assetata l'esercito israeliano spesso impedisce anche di raccogliere l'acqua piovana. Complessivamente si calcola che i 450.000 coloni israeliani, che vivono in Cisgiordania in violazione del diritto internazionale e delle risoluzioni "fantoccio" dell'Onu, utilizzano una maggiore quantità d'acqua, rispetto a 2.300.000 palestinesi. La situazione è particolarmente raccapricciante in quel grande lager in cui è stata trasformata la striscia di Gaza dove si moltiplicano le denunce sull'operato nazista dell'esercito che non si sarebbe fatto scrupolo di inquinare deliberatamente le falde a monte per sterminare la popolazione. Il persistere di questa situazione, senza che venga mosso un dito, dimostra quanto ormai da tempo l'Onu sia stata trasformata in un orpello dell'imperialismo mondiale, nonostante non manchino mai gli imbroglioni politici che continuano a magnificarne il ruolo e a spargere illusioni sul suo operato. Tra questi citiamo il trotzkista neoliberale e anticomunista governatore della Puglia Nichi Vendola, che senza mai neanche citare il capitalismo e l'imperialismo, causa prima di tutti i mali del mondo, ha affermato: "Oggi è una giornata storica. Apprendere che l'accesso all'acqua potabile è diventato uno dei diritti fondamentali, un 'diritto umano e indispensabile per il godimento pieno del diritto alla vita', mi fa sperare in un mondo migliore dove morire ad una manciata di anni per le condizioni igienico/sanitarie insufficienti, potrà essere solo un brutto ricordo". Eppure proprio costui ha congelato la legge sulla ripubblicizzazione dell'Acquedotto pugliese. 29 settembre 2010 |