Contro i licenziamenti e per aumenti salariali Sciopero degli operai cinesi della Honda I 200 operai di una ditta di Foshan, che costruisce pezzi per la Honda sono scesi in sciopero il 12 luglio rivendicando salari più alti. La direzione dell'azienda ha minacciato di licenziare un centinaio fra i lavoratori più attivi nello sciopero se l'agitazione non fosse stata interrotta e gli operai hanno risposto con la prosecuzione dello sciopero. La mobilitazione degli operai della Atsumitec Auto Parts, nel distretto della città di Nanhai, che produce parti meccaniche per le fabbriche della Honda nella regione era iniziata dopo che la direzione aziendale aveva deciso di tagliare gli straordinari e aumentare i carichi di lavoro, oltre che togliere il servizio mensa per due giorni alla settimana. Una mazzata per gli operai che provengono in gran parte dalle campagne, il cui salario mensile è di 1000 yuan, circa 120 euro, dei quali quasi l'80% è necessario ai lavoratori per pagarsi trasporti, affitto e cibo. Il ricorso allo straordinario era una pratica normale per incrementare il salario e poter inviare soldi alle famiglie in campagna. I lavoratori migranti sono super sfruttati con paghe di circa la metà dello stipendio medio dei residenti. Nello scorso maggio la notizia di una serie di scioperi aveva bucato il silenzio imposto dalla cricca revisionista di Pechino sulle mobilitazioni dei lavoratori e le proteste dei contadini e delle masse popolari. Fatti che svelano il brutale volto capitalista della Cina del premier Wen Jiabao. Due mesi fa era esploso il caso della Foxxcon, l'azienda di proprietà taiwanese che produce per la maggior parte i-Pod e i-Phone per quasi tutte le multinazionali del settore, quando dieci operai si sono suicidati per l'impossibilità di continuare a vivere con le misere paghe. La denuncia dei suicidi e la mobilitazione dei lavoratori avevano costretto l'azienda a aumentare i salari di quasi il 70%. Sulla scia della lotta dei lavoratori della Foxxcon si erano mobilitati gli operai di altre fabbriche fra le quali quelle della Honda e della Toyota in Cina, lotte che si erano concluse una volta che i lavoratori avevano ottenuto aumenti salariali tra il 20 ed il 30%. Le mobilitazioni dei lavoratori erano proseguite in altri distretti industriali della Cina. Il 29 giugno scendevano in sciopero gli operai della Mitsumi Electric di Tianjin, la città portuale cento chilometri a est di Pechino; i tremila operai della fabbrica che è di proprietà giapponese e produce componenti elettronici, in particolare batterie per telefoni cellulari, chiedevano il raddoppio del loro misero salario che in media è di 700 yuan, circa 70 euro, al mese. 28 luglio 2010 |