In lotta contro la chiusura dello stabilimento Gli operai di Fiat e indotto di Termini protestano sotto la sede del governo siciliano Bloccate autostrade e ferrovia. Proclamato lo sciopero. L'unica soluzione è nazionalizzare tutto il gruppo Fiat Alemanno blocca la manifestazione a Roma e denuncia i lavoratori alla magistratura Dal nostro corrispondente della Sicilia È ripartita la dura lotta degli operai della Fiat di Termini Imerese, lo stabilimento in provincia di Palermo, contro i piani del nuovo Valletta, Marchionne, che vuole la fabbrica chiusa definitivamente il 31 dicembre prossimo. Dall'alba del 13 settembre gli operai hanno incrociato le braccia e dato vita a un sit-in davanti ai cancelli dello stabilimento, occupando poi simbolicamente il municipio, dove, al termine di un'infuocata assemblea hanno deciso che la protesta deve continuare a oltranza. La mattina del 14 settembre si è tenuta una marcia su Palermo, preceduta da un nuovo presidio. Nel capoluogo siciliano diverse centinaia di operai Fiat e indotto, con la presenza di Fiom, Fim e Uilm hanno manifestato sotto palazzo d'Orleans, sede del governo siciliano, portando un grande striscione con scritto ''La Fiat di Termini Imerese non si chiude''. Piazza Indipendenza è stata bloccata per ore. Non mollano gli operai del più grande stabilimento metalmeccanico della Sicilia, che conta 2.200 dipendenti, senza contare le diverse centinaia delle fabbriche dell'indotto. Il 15 e il 16 settembre le tute blu hanno occupato la Palermo-Messina e la Statale 113. La chiusura dello stabilimento, infatti, sarebbe un colpo mortale per l'economia del popoloso paese in provincia di Palermo, che conta circa 30.000 abitanti, di tutto il comprensorio, con ricadute a catena per tutta la Sicilia. In primo luogo per le famiglie operaie di Termini, già colpite da lunghi periodi di cassa integrazione. Come denuncia Renè Di Giacomo, operaio di Termini: "Se ti fai un giro nel centro di Termini vedi tutte le case con scritta vendesi, perché la gente non può più pagare il mutuo". I politicanti borghesi finora hanno prodotto solo chiacchiere e, a volte, non hanno prodotto proprio nulla. È il caso del governatore siciliano Lombardo, MPA, e del suo governo tenuto in piedi con i voti dei rinnegati del PD, che in tutti questi anni, ha lasciato che la situazione si incancrenisse. Oggi si parla di fondi pubblici per il rilancio di Termini. Solo la Regione siciliana promette di stanziare 200 milioni di euro per il "superamento della crisi dell'area industriale di Termini Imerese e per rilanciare i livelli occupazionali del dopo Fiat, attraverso un fondo di garanzia che integrerà le somme destinate dal Governo nazionale, oltre alle somme già previste in precedenza", dichiara Salvino Caputo, PDL, presidente della Commissione parlamentare Attività produttive primo firmatario di un decreto legge sugli impianti di Termini che porta anche le firme del del vice presidente della commissione Giuseppe Apprendi (PD) e del presidente della Commissione Bilancio Riccardo Savona, Alleati per la Sicilia. Da notare che, in primo luogo, gli stessi parlamentari siciliani che firmano il decreto che deve essere esaminato in parlamento hanno sentenziato la fine dell'era Fiat in Sicilia. In secondo luogo, almeno due dei soggetti firmatari del decreto Salvino Caputo e Riccardo Savona, hanno avuto problemi seri con la giustizia. I nomi dei due ricorrono proprio in inchieste che riguardano lo stanziamento di fondi pubblici a favore di aziende private, per lo più in odore di mafia. Indagini su appalti poco chiari hanno riguardato, ad esempio la metanizzazione della città di Palermo e la metropolitana di Palermo. Intanto, è dato per scontato che la Fiat andrà via dalla Sicilia. Soluzione possibile al governatore e ai parlamentari siciliani appare incredibilmente il gruppo molisano Dr Motor di Massimo De Risio. Contro il parere degli stessi operai che manifestano forti dubbi su De Risio per il piano industriale che prevede soltanto l'impiego di 1.300 lavoratori, nella migliore delle ipotesi, per Lombardo quella di De Risio è la migliore proposta arrivata. Circa 600 operai della Fiat di Termini Imerese, il 27 settembre sono andati a Roma a piazza Montecitorio con un treno speciale dalla Sicilia, in occasione dell'incontro al Ministero dello Sviluppo economico tra i rappresentanti dei lavoratori Fiat, l'advisor di Invitalia e la Regione Sicilia per chiedere risposte certe per il futuro dello stabilimento siciliano. Ma l'unica risposta certa che hanno ricevuto è la denuncia alla magistratura da parte del neopodestà fascista Alemanno per blocco stradale e manifestazione non autorizzata perché, a suo dire, "non si può tollerare" che si paralizzi la città! Non importa al gerarca romano che 2.200 lavoratori tra Fiat e indotto, non possono tollerare di essere gettati sul lastrico. Non vi è altra soluzione, il piano di Marchionne deve essere respinto con grande forza e determinazione, non solo per gli alti e intollerabili costi sociali, in termini di occupazione, che comporta, in Sicilia ma per la sua totale mancanza di prospettiva industriale per la nostra regione. La Fiat deve rimanere in Sicilia. In ogni caso gli eventuali imprenditori che rileveranno lo stabilimento devono garantire la piena occupazione di tutti gli operai, compresi quelli dell'indotto. In ogni caso bisogna avere il coraggio di fare una scelta più radicale: l'esproprio dell'intero gruppo Fiat senza indennizzo; anche perché lo Stato ha già pagato a sufficienza per attuare una sua profonda riconversione industriale che abbia al suo centro la produzione dei mezzi di trasporto collettivi pubblici su rotaia e via mare, comprendendo in questo contesto anche la ricerca e la costruzione dell'auto ecologica (metano e idrogeno). Solo così si può salvare lo stabilimento siciliano di Fiat, costruito col sudore e col sangue di numerose generazioni di operai che vi hanno lavorato. 28 settembre 2011 |