Tradita la promessa di sospendere la procedura di "mobilità" del personale dell'azienda lucana Gli operai della Lasme si battono contro la chiusura dello stabilimento e 174 licenziamenti È una vertenza dura e difficile quella in atto alla Lasme di Melfi (Potenza), una fabbrica dell'indotto della Fiat-Sata che produce alzacristalli elettrici e altre componenti auto. I lavoratori da oltre un mese si stanno battendo come leoni per impedire la chiusura dello stabilimento e il licenziamento di tutti e 174 gli addetti (il 40% sono donne), provvedimenti assunti dal padrone all'improvviso, senza alcuna "giustificazione" di mercato e produttiva, giacché l'azienda è sana, ha lavoro e commesse; provvedimenti che hanno chiaramente finalità speculative. Nata nel 1992 all'interno del Consorzio ACM anche grazie a un cospicuo finanziamento pubblico, conosce uno sviluppo costante, produttivo e occupazionale: l'organico passa dalle 80 unità di fine 1997 alle 180 di ottobre 2001, fino a 245 nel giugno 2005. Poi inizia un calo che porta gli addetti a 198 nel 2008, di cui 4 a tempo determinato e 16 interinali a somministrazione. "Una vera vigliaccata - l'ha definita il segretario generale della Fiom, Gianni Rinaldini, in una dichiarazione del 26 agosto scorso - operata da un'azienda fornitrice del Gruppo Fiat che non poteva non essere a conoscenza del piano della Lames (proprietaria della Lasme, ndr), considerando che si era premurato di costituire scorte di componenti prodotte dalla stessa Lames". Una vigliaccata perché: "Mentre la fabbrica sita a San Nicola di Melfi era chiusa per ferie, il gruppo Lames ha aperto la procedura di licenziamenti di tutti i 174 dipendenti. Licenziamento - ha aggiunto Rinaldini - motivato con la chiusura definitiva dello stabilimento". Insomma, un'azione progettata alle spalle dei lavoratori, in cui tutto era predisposto, dallo svuotamento del magazzino allo scorporo della fabbrica dal gruppo Lames spa, proprietaria di un altro stabilimento a Chiavari, e al suo conferimento a una nuova società costituita ad hoc, la Lasme srl. Il piano padronale di smobilitare la fabbrica alla chetichella non è andato in porto. I lavoratori pur essendo in ferie, avevano notato strani movimenti in azienda e non si sono fatti trovare impreparati. Sin dai primi giorni di agosto si sono riuniti in assemblea permanente che si è trasformata, al momento che sono giunte le lettere di licenziamento, in presidio davanti ai cancelli, giorno e notte, 24 ore su 24 ore per impedire il trasferimento delle merci e dei macchinari. La lotta cresce e prosegue per settimane con l'appoggio dei sindacati di categoria ("La Fiom non lascerà mai i lavoratori e le lavoratrici della Lasme di Melfi... perché noi condividiamo il senso di questa lotta" è scritto in un comunicato). All'ente locale, alla regione Basilicata e al governo centrale i lavoratori chiedono di intervenire per indurre la proprietà a ritirare i licenziamenti e ad aprire una trattativa sul futuro della fabbrica. Per sbloccare la vertenza, sull'esempio di quanto fatto alla Innse di Milano, 7 operai salgono sul tetto della fabbrica e vi rimangono per quattro giorni interi sotto il sole cocente e con rilevanti rischi per la salute. Interrompono la protesta solo quando il padrone firma con i sindacati, il 28 agosto nella prefettura di Potenza, un accordo che prevede il ritiro della procedura di mobilità per tutti gli operai, la riattivazione dei contratti di lavoro e un nuovo incontro a Roma presso il ministero dello Sviluppo economico fissato per il 4 settembre. Ma l'impegno di ritirare i licenziamenti sarà disatteso proditoriamente dal padrone agitando delle giustificazioni totalmente strumentali. La risposta sindacale è uno sciopero di 2 ore dei lavoratori delle fabbriche Fiat-Sata, indotto ACM e terziarizzazione, in solidarietà alla lotta dei lavoratori della Lasme, il 4 settembre, lo stesso giorno dell'incontro al ministero con la presenza, oltre che dei dirigenti aziendali e i sindacati e Rsu, della Regione e i sindaci di diversi comuni del comprensorio melfitano. Le richieste dei lavoratori sono chiare: ritirare le procedure avviate di licenziamento e aprire il confronto sulle prospettive dello stabilimento lucano della Lasme con il mantenimento dei livelli occupazionali e produttivi. C'è la preoccupazione vera e concreta che, se cade la Lasme, di seguito andranno giù tutte le altre aziende dell'indotto Fiat-Sata, con conseguenze economiche e sociali devastanti per una zona del Sud che già se la passa male per non dire malissimo. L'incontro poi c'è stato. Senza concludere nulla e con un aggiornamento al 16 settembre prossimo sempre presso il ministero. La lotta dunque non può fermarsi, deve anzi proseguire con forza, tenendo presente che i licenziamenti non sono stati ancora ritirati. 9 settembre 2009 |