150° anniversario dell'Unità d'Italia Un'orgia di nazionalismo reazionario, una consacrazione del regime neofascista e federalista Fischi e contestazioni a Berlusconi, La Russa e Alemanno Napolitano, il nuovo Vittorio Emanuele III, ne è stato il gran cerimoniere con l'elmetto Alla fine, grazie al nuovo Vittorio Emanuele III, Napolitano, che l'ha tenacemente voluta e alla "sinistra" borghese che l'ha convintamente sostenuta controbilanciando il boicottaggio tutto in chiave secessionista della Lega, il regime neofascista e federalista è riuscito a celebrare in pompa magna la sua "festa tricolore". Una "festa" che si è tradotta in un'orgia di nazionalismo reazionario in tutto il Paese, sfruttando ad arte la ricorrenza del 150° anniversario dell'Unità d'Italia, fissata storicamente al 17 marzo 1861, data in cui Vittorio Emanuele II di Savoia è stato proclamato primo re del nuovo Stato unitario. Una "festa" che per di più è venuta a coincidere sinistramente con l'entrata in guerra dell'Italia a fianco della coalizione imperialista e neocolonialista che ha aggredito la Libia, e che perciò non poteva rappresentare un'occasione migliore per tentare di compattare il popolo italiano intorno alle sue forze armate interventiste sfruttando l'ubriacatura patriottarda e nazionalista in cui è stato costantemente immerso in questi giorni: tra fanfare, fuochi artificiali, non stop televisive e un'alluvione di tricolori, tra cui ha fatto la comparsa a Milano anche una bandiera della cosiddetta "Repubblica sociale italiana" di Mussolini. Se con questo evento il regime neofascista, federalista e interventista ha celebrato la sua consacrazione, Napolitano ne è stato senz'altro il gran cerimoniere, non risparmiandosi nel presenziare alle numerose cerimonie ufficiali, a Roma come a Torino e Milano, e intervenendo a più riprese con discorsi ufficiali e con interviste, rubando la scena allo stesso neoduce Berlusconi, apparso piuttosto frastornato dal precipitare degli avvenimenti internazionali e oggetto per di più, a differenza del sempre applauditissimo inquilino del Quirinale, di sonore contestazioni dovunque si presentasse al suo fianco. Fin dal suo primo breve discorso ufficiale, tenuto in piazza del Quirinale in diretta televisiva in occasione della "notte tricolore" del 16 marzo che ha aperto le celebrazioni, si è visto subito il taglio nazionalista, interclassista e interventista che il nuovo Vittorio Emanuele III intendeva dare alle celebrazioni dell'Unità d'Italia: "La prima cosa importante - è che l'Unità la festeggiamo in tanti, e nemmeno solo nelle piazze d'Italia: la festeggiamo nei tanti paesi pieni di italiani che ci sono al mondo, e la festeggiano gli italiani in divisa in Afghanistan, nel Kosovo e nel Libano", ha esordito infatti istituendo subito un legame diretto tra il richiamo all'orgoglio nazionalista e l'espansionismo militare italiano travestito con le "missioni di pace" armate all'estero. E ha aggiunto in chiusura un vero e proprio appello interclassista e patriottardo, esortando ciascuno, al di là delle diverse "idee, problemi e interessi", a ricordarsi sempre che "è parte integrante di qualcosa di più grande che è la nostra nazione, la nostra patria, la nostra Italia". Conciliare nazionalismo e federalismo Nel successivo discorso tenuto il giorno dopo davanti alle Camere riunite solennemente a Montecitorio, che al termine del lungo sermone gli hanno tributato un'ovazione cantando in coro l'inno di Mameli, Napolitano ha particolarmente insistito sul tema del federalismo, puntando evidentemente al recupero della Lega neofascista, secessionista e razzista che aveva disertato in massa la cerimonia e che si era presentata solo con Bossi e gli altri due ministri Maroni e Calderoli, in chiaro segno di dissenso antiunitario. A questo proposito ha esaltato la revisione federalista del titolo V della Costituzione attuata dal "centro-sinistra" nel 2001 come "l'unica rilevante riforma della Costituzione che finora il Parlamento abbia approvato, il corpo elettorale abbia confermato e governi di diverso orientamento politico si siano impegnati ad applicare concretamente". Quella riforma grazie alla quale "è stata in definitiva recuperata l'ispirazione federalista che si presentò in varie forme ma non ebbe fortuna nello sviluppo e a conclusione del moto unitario", ha aggiunto con tono conciliante rivolto verso Bossi che assentiva senza applaudire come gli altri ma battendo il pugno sul tavolo in segno di gradimento. "E oggi - ha proseguito Napolitano - dell'unificazione celebriamo l'anniversario vedendo l'attenzione pubblica rivolta a verificare le condizioni alle quali un'evoluzione in senso federalistico - e non solo nel campo finanziario - potrà garantire maggiore autonomia e responsabilità alle istituzioni regionali e locali rinnovando e rafforzando le basi dell'unità nazionale. È tale rafforzamento, e non il suo contrario, l'autentico fine da perseguire". Alla fine il caporione leghista farà sapere di aver molto apprezzato il discorso conciliatorio del nuovo Vittorio Emanuele III che lo invitava a non mettere in contrapposizione il nazionalismo col federalismo: due cose che per lui possono evidentemente andare benissimo d'accordo nell'ambito dello stesso regime neofascista. Toni estremamente concilianti, al limite del servilismo, il capo dello Stato ha riservato anche al Vaticano, presente con i compiaciuti e plaudenti cardinali Bertone e Bagnasco, ignorando platealmente il lungo conflitto che oppose il nascente Stato unitario alla chiesa per esaltare invece tutti i compromessi e gli accordi che hanno ricreato l'alleanza della chiesa col potere politico dal 1870 in poi: la Legge delle guarentigie, il Concordato del 1929 con il fascismo, il suo recepimento nella Costituzione, grazie fra l'altro a Togliatti, e la sua più recente revisione craxiana, spingendosi perfino a osannare, con papa Ratzinger, "il contributo fondamentale del Cristianesimo alla formazione, nei secoli, dell'identità italiana". Particolarmente nauseante e servile è stato anche l'omaggio dell'inquilino del Quirinale ai Savoia, sia nel discorso alle Camere sia soprattutto con la visita alle tombe dei reali al Pantheon, meritandosi i ringraziamenti e il plauso entusiasti dell'"erede" Emanuele Filiberto, il quale ha così potuto dichiarare speranzoso e trionfante: "L'Italia oggi la sento mia e la sentono così anche tutti gli italiani". Napolitano indossa l'elmetto interventista Andando poi a Torino per proseguire i festeggiamenti in quella che fu la prima capitale d'Italia, il rinnegato del Quirinale si è messo addirittura l'elmetto di capo delle forze armate interventiste, allorché proprio in quel momento la crisi internazionale è precipitata nella guerra alla Libia con l'intervento anche dell'Italia da lui stesso voluto e sollecitato. E lo ha fatto nella maniera più sporca, sfruttando la sbornia patriottarda da lui stesso fomentata, creando addirittura un legame ideale tra il Risorgimento e l'interventismo imperialista travestito da "guerra umanitaria". Come quando, parlando al Teatro Regio delle "decisioni difficili" da prendere sulla Libia, ha subito aggiunto che "proprio se pensiamo a quello che è stato il Risorgimento, il movimento per l'Unità, innanzi tutto come grande movimento liberale e liberatore, non possiamo rimanere indifferenti alla sistematica repressione di fondamentali libertà e diritti umani in qualsiasi paese". In una successiva occasione, sempre a Torino, alla domanda di un giornalista che gli chiedeva se la decisione di andare a bombardare la Libia non richiedesse di "circumnavigare" l'articolo 11 della Costituzione, il nuovo Vittorio Emanuele III è sbottato con un irritato "guardi che in quell'articolo 11 si parla di interventi coordinati dalle organizzazioni internazionali preposte a garantire la pace e la giustizia... è tutto chiaro e non c'è niente da circumnavigare". Ricevendo poi il premio di "artigiano della pace" già concesso in passato anche a Pertini, il rinnegato del Quirinale ha avuto anche la sfrontatezza di chiosare: "Oggi servire la pace significa anche trovare il modo di andare incontro alle popolazioni perseguitate, portare aiuto (con i Tornado e i blindati Lince, ndr). È un impegno duro, ma, lo ripeto, è un impegno per la pace, per i diritti e la libertà dei popoli". Fischi al neoduce e ai suoi gerarchi Ma non tutto ha funzionato come da copione, nella sapiente orgia nazionalistica orchestrata dal governo e dal Quirinale, e con il sostegno entusiasta della rinnegata "sinistra" borghese con in testa il PD, dei fascisti ripuliti di Fini, dell'UDC di Casini. Fischi e contestazioni hanno costellato quasi tutte le cerimonie ufficiali, all'indirizzo soprattutto del neoduce Berlusconi, bersagliato di "dimettiti", "vergogna", "bunga-bunga" e altri appellativi del genere ovunque si presentasse: all'"Altare della patria" come al Gianicolo, alla messa in Santa Maria degli Angeli (dove è stato costretto ad uscire di nascosto dalla sacrestia) come al museo del Risorgimento. Per di più ricevendo un brutale "peggio per lui" invece dell'attesa solidarietà dal suo amicone Bossi. Ma anche il ministro della guerra La Russa e il neopodestà fascista Alemanno hanno avuto la loro bella dose di fischi e insulti in diretta televisiva quando hanno cercato di parlare alla "festa tricolore" in piazza Venezia. Segno che per fortuna la sbornia nazionalista e patriottarda, per quanto ben organizzata e diretta, non ha fatto del tutto presa sulle masse, che pur cadendo nel tranello dei festeggiamenti, anche per spirito di contrapposizione all'arroganza secessionista della Lega, e pur equivocando in pieno lo sporco ruolo di Napolitano, almeno non hanno abboccato al suo incitamento interclassista a dimenticare le divisioni e stringersi tutti alle istituzioni e al regime tricolore. Così come già si vedono le prime manifestazioni di antimperialisti e pacifisti che non si sono lasciati intossicare il cervello dall'interventismo "umanitario" propalato dal Quirinale, dal governo, dalla "sinistra" borghese e persino da certi trotzkisti alla Flores D'Arcais subito passati nel campo dei "liberatori" con l'elmetto. Mai come in questo momento è l'ora di rispondere invece con un nuovo 25 Aprile all'orgia tricolore, nazionalista, patriottarda e guerrafondaia calata sul Paese, scendendo in piazza per cacciare il nuovo Mussolini, Berlusconi, e per fermare l'aggressione imperialista alla Libia, lasciando che sia lo stesso popolo libico, senza ingerenze straniere, a liberarsi del corrotto e sanguinario dittatore fascista Gheddafi. 23 marzo 2011 |