Già col suo spettacolo teatrale "La bella utopia" Moni Ovadia tra verità e falsità sul comunismo "La storia del comunismo non è stata solo una storia di orrori come sostiene un certo revisionismo di stampo televisivo. È stata anche una storia di uomini, di sacrifici, di sangue, di ideali". È con queste parole che lo scrittore, cantante e attore Moni Ovadia presentava su "l'Unità" del 23 settembre 2007 il suo spettacolo teatrale La bella utopia, tratto dal suo libro Lavoratori di tutto il mondo, ridete. Una simile premessa potrebbe far pensare che con questo spettacolo l'autore si fosse proposto di controbattere, con la sua arte teatrale, l'alluvione di accuse, calunnie e falsità contro il comunismo che quotidianamente dilaga dai mass-media di regime, ma non è così. Il fatto stesso di definire il comunismo un'"utopia", cioè un sogno irrealizzabile, e quell'aggettivo "bella" dal chiaro tono ironico, fa già capire che non è questo l'intento di Ovadia, e che la sua satira è rivolta - con quello che lui chiama "disincanto", ma che assomiglia più ad una sorta di autoflagellazione in chiave umoristica - proprio contro l'ideale per cui hanno lottato e hanno versato il loro sangue milioni di proletari e di rivoluzionari e che ancora ispira tutti gli sfruttati e gli oppressi della terra. E questo a dispetto delle sue stesse parole di apparente esaltazione dell'"utopia comunista", da lui definita in apertura dell'intervista "il più grande ideale di liberazione mai partorito dalla mente umana senza ricorrere alla fede, alla religione, a qualsiasi forma di credenza". E infatti, non appena entra nel merito dei temi dello spettacolo, Ovadia si lancia subito in un attacco a Stalin, condannando con lui, di conseguenza, l'intera storia eroica della rivoluzione d'Ottobre, della costruzione del socialismo in Russia, della III Internazionale e della sconfitta del nazifascismo ad opera dell'Urss di Stalin, dell'aiuto decisivo dato da quest'ultima nel dopoguerra, e finché Stalin rimase in vita, alla rivoluzione cinese, alle lotte di liberazione dei popoli delle colonie e alla difesa della pace contro le mire aggressive dell'imperialismo americano e dei suoi alleati imperialisti europei. Di tutta questa gloriosa epopea si salverebbero solo, secondo lui, MajakovskiJ e Mejerchol'd, "il maestro teatrale di tutti noi". "Ma Stalin - aggiunge l'autore - che era un uomo e non un dio, è stato condannato da Kruschev prima a porte chiuse e poi pubblicamente. E anche da noi il comunismo ha avuto persone, a partire da Gramsci, che hanno onorato e onorano (quali? ndr) il nostro Paese... In questo mio spettacolo come nel mio libro voglio riprendere il filo di questa utopia con quel disincanto di cui dicevo prima. Lo faccio come so fare io, con lo sguardo urticante dell'umorismo ebraico ma anche con la consapevolezza che se fossi vissuto a quei tempi sarei stato fucilato". Rieccoci quindi agli "orrori del comunismo" che Ovadia attribuisce a "certo revisionismo di stampo televisivo", ma che anche lui alla fine avalla. Tant'è vero che subito dopo, sente il bisogno di precisare: "Sia chiaro non ho nessun rimpianto per quel sistema (l'Urss socialista, ndr), al contrario di quanto pensa Galli Della Loggia che mi ha attaccato più volte sul Corriere, ma rimpiango i molti uomini eroici che ci sono stati. So che la bandiera rossa, come dice il grande poeta Evtušenko, è stata allo stesso tempo sorella e assassina". Ma questi uomini eroici chi erano, e per cosa combattevano e morivano, se non sotto la bandiera rossa di Lenin e Stalin, per difendere la dittatura del proletariato in Urss e per far avanzare il socialismo nel mondo? A meno che Moni Ovadia non intenda restringere il campo ai soli trotzkisti, revisionisti e opportunisti che hanno agito non per far trionfare ma per sabotare il socialismo e la rivoluzione, come appunto i già da lui citati Kruschev e Gramsci e lo stesso Trotzki, del quale utilizza infatti una citazione per concludere l'intervista. "Vorrei dare un piccolo contributo, uno sguardo di pietas umana a questa grande e tragica vicenda che è stata il comunismo", dice il cantante, attore e scrittore ebreo, muovendosi come un equilibrista tra verità e menzogna sul comunismo, di cui in ultima analisi finisce per rappresentare solo la "tragedia" senza la "grandezza", e andando così a finire nello stesso calderone dei calunniatori del comunismo dai quali vorrebbe distinguersi. In fin dei conti il suo è lo stesso spirito opportunista in cui ricade inevitabilmente quando da ebreo di "sinistra" critica la politica nazista degli imperialisti sionisti e dice di solidarizzare con il popolo palestinese oppresso, ma poi finisce regolarmente per difendere come sacra e intoccabile l'esistenza dello Stato di Israele, che è all'origine di questa oppressione e il principale ostacolo alla pace in Palestina. 29 aprile 2009 |