I pacifisti della flottiglia umanitaria: "siamo stati picchiati, torturati e chiusi in isolamento" I circa 700 pacifisti di 42 paesi della flottiglia umanitaria sono stati sequestrati il 31 maggio in acque internazionali e condotti dalla marina sionista al porto di Ashdod, dove sono stati rinchiusi nel carcere di Beersheba. Un portavoce del ministero degli esteri sionista spiegava che sarebbero stati espulsi o rinviati a giudizio: chi avesse firmato una "dichiarazione di responsabilità", scritta in ebraico nella quale avrebbero dovuto esprimere il "pentimento per l'attacco contro lo stato israeliano", ossia una dicharazione di colpevolezza, sarebbe stato espulso mentre chi non lo avesse fatto sarebbe stato processato con l'accusa di ingresso illegale in Israele. Una farsa vergognosa che faceva da preludio al trattamento riservato agli arrestati, che una volta rilasciati hanno potuto denunciare: "siamo stati picchiati, torturati e chiusi in isolamento". "Abbiamo passato due giorni come se fossimo a Guantanamo", ha denunciato uno dei volontari kuwaitiani il 2 giugno, appena liberato. Due attivisti greci raccontavano di "una violenza inaudita subita nella prigione dove ci hanno rinchiuso. Non sapevamo dove eravamo. Giorno e notte 25-30 persone chiuse in celle senza finestre, con una luce bianca fortissima e senza la possibilità di comunicare con l'esterno, senza bere, senza niente. Ogni due ore le guardie militari battevano fortissimo le porte delle celle, entravano dentro e ci contavano. E quando alcuni di noi si sono opposti a dare loro le impronte digitali, hanno cominciato le torture, con pestaggi ed elettrochoc. Stessa sorte hanno avuto anche quelli che si sono opposti a firmare la 'dichiarazione di responsabilità'. Per ore e ore e ore ci hanno interrogati, dopo averci tolto i vestiti, per farci confessare che siamo dei terroristi. E quando qualcuno di noi chiedeva di comunicare con l'ambasciata del suo paese, gli ridevano in faccia". Testimonianze confermate anche dai sei pacifisti italiani: "Siamo stati picchiati dalla polizia, prima sulla nave dai militari e poi ancora all'aeroporto di Tel Aviv", prima di essere imbarcati su un volo per Istanbul. Hanno raccontato che "ci picchiavano ad esempio se non ci sedevamo, e dopo averci picchiati mandavano i medici a visitarci". Di fatto sequestrati senza "nessun tipo di diritto, non potevamo fare telefonate, chiamare i nostri avvocati". E abbandonati dal governo italiano che è stato l'unico dei paesi europei e della Nato coinvolti nella vicenda a non aver chiesto la liberazione immediata e senza condizioni dei propri connazionali. 9 giugno 2010 |