Cedendo alle pressioni del governo I "pacifisti" del Prc, Pdci e Verdi votano la missione di guerra in Afghanistan Con il doppio voto di fiducia imposto il 27 e 28 luglio scorsi al Senato alla fine il governo della "sinistra" borghese diretto da Prodi è riuscito a ottenere il via libera al disegno di legge che rifinanzia tutte le spedizioni militari all'estero, compresa la missione di guerra in Afghanistan. La prima fiducia, quella sull'articolo 2 riguardante specificamente l'Afghanistan, è stata ottenuta con 159 sì il 27 luglio. La seconda, sull'intero provvedimento, il giorno successivo con 161 sì. La Casa del fascio, dopo aver protestato e schiamazzato a lungo accusando la maggioranza di non avere il numero legale, come aveva preannunciato, ha abbandonato l'aula per non partecipare al voto. Non si è così potuta ripetere la convergenza nazionalista e interventista tra la destra e la "sinistra" del regime neofascista che si era verificata il 19 luglio alla Camera, ma solo perché il voto di fiducia messo dal governo ha impedito alla Casa del fascio di mettere anche il suo marchio su un provvedimento che condivide al cento per cento, dal momento che è il clone di quello a suo tempo varato e via via prorogato dal governo Berlusconi. D'altra parte per Prodi il voto di fiducia era stata una scelta obbligata, per non correre il rischio, data l'esiguità della sua maggioranza al Senato, di veder approvato il provvedimento con i voti decisivi dell'opposizione. Se infatti il governo non avesse messo la fiducia e gli otto senatori "pacifisti" appartenenti a PRC, PdCI e Verdi (a cui si era nel frattempo unito il diessino Villone, ed altri forse si sarebbero uniti al momento del voto) avessero mantenuto il proposito di votare no, il ddl sarebbe stato salvato dai voti della Casa del fascio, e sarebbe quindi apparso chiaro che Prodi non aveva i numeri per governare e che la sua sorte era nelle mani dell'opposizione. Una prospettiva politicamente disastrosa per il governo dell'economista borghese democristiano che, malgrado gli accorati appelli di Napolitano a ricercare, specie "su questioni di delicatezza e rilevanza nazionale", intese e convergenze con l'opposizione "ogni volta che questo è possibile", per scongiurarla si è visto costretto a sacrificare l'intesa "bipartisan" realizzata alla Camera per ricompattare la sua stessa maggioranza minacciata dall'apertura di una falla sul suo fianco sinistro. Non è stato facile prendere questa decisione, anche perché non solo il capo dello Stato, per non parlare del presidente del Senato Franco Marini, ma anche le segreterie dei DS e della Margherita, vedevano malvolentieri la prospettiva del voto di fiducia e della conseguente rottura del clima "bipartisan" appena instaurato con la Casa del fascio. Ma una volta che la decisione è stata presa, tutto si è svolto secondo copione: i senatori "pacifisti" si sono sottomessi docilmente al "dovere" di coalizione votando anche loro sì al rifinanziamento delle missioni militari, e Prodi ha potuto festeggiare "esultando come un bambino e alzando il braccio", come ha riferito un testimone presente a Palazzo Chigi al momento dell'approvazione. Lo stesso copione prevedeva anche una squallida manfrina tra il governo e la pattuglia dei "dissidenti" per cercare da una parte di rendere meno vergognosa la resa di questi ultimi, e dall'altra più "rispettosa" l'immagine del governo verso le perplessità e i dissensi dell'elettorato di sinistra. È in questo quadro che il governo ha accolto 7 degli 8 ordini del giorno proposti dai "dissidenti", del resto del tutto ininfluenti rispetto agli impegni militari reali in Afghanistan, come l'auspicio di un "superamento" della missione Enduring Freedom e l'invito a una "riflessione sulla strategia politica e diplomatica che deve accompagnare la presenza internazionale in Afghanistan". Mentre è stato accolto solo come "raccomandazione" (e ciò la dice lunga sulla copertura offerta dal governo ai rifornimenti di armi degli Usa a Israele) l'ordine del giorno del verde Bulgarelli che chiedeva al governo di istituire un organismo di monitoraggio sul transito di materiale bellico sul nostro territorio. Da parte loro i senatori "pacifisti" (Malabarba, Grassi, Turigliatto e Giannini del PRC, Rossi del PdCI, Bulgarelli, De Petris e Silvestri dei Verdi, Villone della corrente diessina di Salvi) hanno voluto accompagnare il loro sì con un paradossale documento in cui dichiaravano di votare la fiducia al governo ribadendo al tempo stesso il loro no alla missione militare in Afghanistan. E in cui si avvisava il governo che "la riproposizione tra qualche mese dello stesso scenario in Afghanistan con l'ennesima proroga della missione sarebbe un regresso negativo per noi inaccettabile". Un tentativo alquanto ridicolo di attenuare un'ingloriosa capitolazione facendo la voce grossa e "minacciando" il governo di fare in un ipotetico domani quello che non si è avuto il coraggio di fare oggi. Il documento è stato firmato da altri cinque senatori appartenenti ai gruppi di PRC, PdCI e Verdi, a cui si sono uniti il senatore della SVP Oskar Peterlini e la senatrice dell'Italia dei valori Franca Rame, che ha dichiarato di aver votato sì "con il sangue agli occhi". A coronamento della ridicola manfrina andata in scena attorno al documento dei "dissidenti" c'è solo da segnalare la bizza presa dalla senatrice del PRC Lidia Menapace, sostenitrice della missione di guerra in Afghanistan, che in una riunione del gruppo senatoriale del PRC si è rivolta loro inviperita con queste parole: "Volete giocare a chi è più pacifista e questo gioco lo volete fare proprio con me, che sono una pacifista storica. Sono scandalizzata del vostro comportamento". Ma la cosa ancor più grottesca è che non ci sarà certo bisogno di aspettare dei mesi per scoprire la truffa della "missione di pace" dietro la quale è stato fatto passare il rifinanziamento dell'intervento militare italiano in Afghanistan. Non erano passati infatti che pochi giorni dall'approvazione del provvedimento anche con i voti dei falsi pacifisti di PRC, PdCI e Verdi, che il ministro della difesa afghano ha scoperto gli altarini dichiarandosi contento, nel ricevere una delegazione di parlamentari italiani a Kabul, "che le forze italiane prenderanno parte all'operazione Isaf nel sud dell'Afghanistan e dopo quattro mesi prenderanno il comando di quella regione". 30 agosto 2006 |