Gli elenchi erano stati scoperti il 17 marzo di quell'anno da due magistrati, Gherardo Colombo e Giuliano Turone, che indagando sulla bancarotta di Sindona e sull'omicidio di Giorgio Ambrosoli li avevano rinvenuti durante una perquisizione negli uffici di un'azienda di Gelli ad Arezzo, un personaggio misterioso quanto potente, di cui si sapeva che era amico di politici e capi di Stato, tra cui Craxi e Andreotti, e che era implicato nelle trame golpiste più oscure, ma senza che su di lui fossero mai state aperte delle serie inchieste. La scoperta successiva del "piano di rinascita democratica" e dello "schema R" di Gelli, elaborato probabilmente alla metà degli anni '70, confermò la vastità e la pericolosità del disegno politico neofascista e presidenzialista della P2. Forlani fu costretto a dimettersi travolto dallo scandalo che aveva cercato di occultare, e dopo di lui fu nominato presidente del Consiglio Spadolini, con l'intento di pilotare nella maniera più "indolore" possibile per l'establishment l'uscita dalla crisi politica, istituzionale e morale che da quello scandalo era scaturita. Cosa che avvenne puntualmente nei mesi e negli anni successivi, nonostante che i lavori e le conclusioni della Commissione d'inchiesta Anselmi confermassero la natura eversiva e golpista della loggia di Gelli e l'ampiezza del coinvolgimento delle forze politiche nel suo disegno. Infatti con la salita al potere di Craxi e i governi di pentapartito fondati sull'asse DC-PSI non solo tutte le inchieste sulla P2 e su Gelli finirono gradualmente per esaurirsi in un nulla di fatto e i principali esponenti coinvolti riabilitati o riciclati al potere, ma il suo disegno politico venne realizzato silenziosamente e pezzo per pezzo nel nascente regime neofascista, prima dal leader del PSI, e poi dopo la sua caduta con tangentopoli, fu ripreso e portato avanti nell'attuale regime di seconda repubblica dal nuovo Mussolini già designato per succedergli, Berlusconi. Le campagne di denuncia del PMLI Il PMLI non fu sorpreso dall'esplosione dello scandalo P2. Fin dal rapporto del compagno Giovanni Scuderi all'8ª Sessione plenaria del 1° CC del PMLI (settembre 1979), nel capitolo "Il PSI nel gioco dei golpisti", era stato individuato nella sostanza quello che sarebbe di lì a poco emerso come il progetto di "Grande riforma istituzionale" di Craxi, mutuato chiaramente dal "Piano" di Gelli. Legame che il nostro Partito denuncerà con ancor più autorevolezza nell'ottobre del 1980, quando appare la famosa intervista di Gelli al Corriere della Sera fattagli da Maurizio Costanzo, in cui il "venerabile" indica Craxi come futuro presidente del Consiglio. Pur essendo la P2 ancora sconosciuta (lo scandalo scoppierà solo diversi mesi dopo), Il Bolscevico n. 44 del 31/10/1980 titolava infatti: "La massoneria trama per la seconda repubblica". Dopo lo scandalo il nostro giornale pubblicò integralmente gli elenchi della P2, il "piano di rinascita democratica" e lo "schema R" di Gelli e svolse sempre una costante e circostanziata campagna di denuncia della loggia segreta e di tutti i suoi collegamenti politici. Eppure a tutt'oggi nessuno parla più della P2, né sui mass-media né da parte dei partiti borghesi, tanto della destra quanto della "sinistra" borghese, per i quali la loggia di Gelli è già stata declassata a un innocuo "comitato d'affari", se non al livello di una "bocciofila". E se non fosse stato per il convegno svoltosi il 12 maggio a Parma per iniziativa di alcuni magistrati e giornalisti che vissero da vicino quella vicenda, anche questo 30° anniversario della scoperta della P2 sarebbe passato totalmente sotto silenzio. Tra i partecipanti al convegno lo stesso giudice Turone, l'ex senatore membro della Commissione Anselmi, Sergio Flamigni, l'allora giornalista de La Repubblica e oggi presidente dell'associazione Libertà e giustizia, Sandra Bonsanti, gli allora giornalisti del Corriere della Sera in mano alla P2, Raffaele Fiengo e Antonio Padellaro, oggi direttore de Il Fatto Quotidiano. "Capimmo che il giornale c'era dentro fino al collo e cominciammo a rielaborare tante cose accadute dal 1976 in poi", ha detto Fiengo rievocando la sua esperienza nel giornale controllato dalla P2 tramite lo stesso proprietario Angelo Rizzoli, il suo manager Tassan Din e il suo direttore Di Bella, tutti affiliati alla loggia di Gelli. E ha spiegato: "Ho curato per la Commissione Anselmi un dossier di 374 pagine, che a rileggerlo ora mette i brividi: titoli come 'Bisogno di pulizia', 'Giustizia umiliata', 'Scuola rotta', 'Piaga sanità', 'Polizia liquefatta', l'esaltazione al limite del parossismo delle forze armate durante il terremoto dell'Irpinia del 1980 e l'incredibile intervista preconfezionata di Maurizio Costanzo (tessera P2 n. 1819, ndr) a Licio Gelli dal titolo 'il fascino discreto del potere nascosto' erano chiari segnali per preparare l'opinione pubblica a una svolta autoritaria". "L'attualità del potere occulto - ha aggiunto a sua volta Padellaro - è il cuore del problema italiano, di quella lotta tra Stato e 'antistato' che, a fasi alterne, va avanti dal 1946 e che nel 1981 sembrava vinta definitivamente dalla parte che si rifà alla Costituzione. La differenza tra ieri e oggi, per usare un'espressione di Gherardo Colombo, è che oggi c'è meno ipocrisia: nel senso che l'antistato non ha più bisogno di nascondersi, si è fatto Stato e ti ripete in continuazione 'non c'è niente da fare, abbiamo vinto noi'. Come ben ripete ogni sera dopo il Tg1, Giuliano Ferrara". Le responsabilità della "sinistra" borghese Su questo problema cruciale, cioè in che cosa rivive oggi la P2, si interroga anche Sandra Bonsanti in un articolo su La Repubblica del 19 maggio, dal titolo "Cosa resta del complotto di Gelli trent'anni dopo", in cui distingue due fasi nella strategia piduista: la prima, fino al 1974, basata su tentativi diretti di colpo di Stato; la seconda, dopo di allora, attraverso il controllo e la conquista dall'interno delle istituzioni: "Ed è in questa seconda fase - scrive la presidente di Libertà e giustizia - che si dispiega l'azione più insidiosa della P2, quella che appare ancora oggi vincente e che ha avuto tre obiettivi di fondo: il controllo della comunicazione (giornali e tv); il controllo della magistratura; il controllo delle forze politiche. Tutte, di qualunque colore. Quanto al PCI, che non aveva iscritti alla P2, fu però incline a una sorta di 'rispetto istituzionale' per la loggia che vantava l'amicizia di Giulio Andreotti. Ricevere, ad esempio, finanziamenti da Calvi e dall'Ambrosiano non sembrò disdicevole, dal momento che si diceva, 'tutti i banchieri sono uguali'". Nel concludere la sua rievocazione Bonsanti osserva che "i motivi veri per i quali agli italiani siano toccati in dote Michele Sindona e Roberto Calvi, Licio Gelli e Silvio Berlusconi, le stragi e i complotti e perché facciano tanta fatica a liberarsene sono tuttora abbastanza inesplorati". In realtà dovrebbero risultarle già chiarissimi, a meno di non voler nascondere a questo proposito le gravi responsabilità e complicità della "sinistra" borghese, da lei stessa solo accennate riguardo all'allora PCI revisionista diretto da Berlinguer. Intendiamo responsabilità nell'aver prima sottovalutato, poi coperto e infine partecipato attivamente, man mano che procedeva la sua trasformazione da "sinistra" revisionista a liberale e verso la piena integrazione nel sistema capitalista, al processo di progressiva instaurazione del regime neofascista e della seconda repubblica neofascista, presidenzialista, federalista e interventista come previsto dal "piano di rinascita democratica" e dallo "schema R" di Gelli. Forse la Bonsanti si è già dimenticata della Bicamerale golpista di D'Alema? Forse non si è accorta che il PD liberale, dopo aver già accettato e digerito il federalismo bossiano, le limitazioni al diritto di sciopero, l'istituzionalizzazione del sindacato e l'interventismo imperialista, nonché aver subito passivamente il controllo dell'informazione da parte del neoduce, è pronto anch'esso - sia pure in forme più "democratiche" e "condivise" rispetto ai metodi unilaterali e fascisti di Berlusconi e Bossi e sotto l'egida del nuovo Vittorio Emanuele III, Napolitano - a discutere anche della controriforma della giustizia e di quella della Costituzione in senso presidenzialista ancora mancanti al pieno completamento del progetto piduista? Eppure non serviva avere la palla di cristallo per capire a cosa saremmo arrivati non contrastando adeguatamente il disegno della P2. Bastava aver raccolto quantomeno il chiaro e forte allarme antifascista che il nostro Partito aveva lanciato pubblicamente e ufficialmente già nel gennaio del 1989. Bastava scorrere anche solo i titoli de Il Bolscevico n.1 del 6 gennaio 1989 che conteneva quell'appello e che ripubblicava fra l'altro il "Piano" di Gelli, gli elenchi della P2 ed altra documentazione essenziale sull'argomento, per capire in che direzione stava andando il Paese. A cominciare dal titolo a tutta pagina con cui si apriva quello storico numero: "Si sta attuando il 'Piano di rinascita democratica'". Che continuava all'interno con altri titoli inequivocabili come: "Imbavagliare e irreggimentare la magistratura, ecco il piano di Gelli e di Craxi"; "Craxi e Gelli spingono per la repubblica presidenziale"; "Le mani di Gelli e della P2 su mass-media e stampa"; "La legge antisciopero era nel 'piano' di Gelli e della P2"; "Il disegno piduista prevedeva l'istituzionalizzazione del sindacato"; "L''autonomia' della scuola e dell'Università fulcro della privatizzazione: il governo riforma l'istruzione secondo il dettato di Gelli"; "Riarmismo, espansionismo e egemonismo: la seconda repubblica di Craxi e di Gelli mostra i muscoli". Tutte cose che, come ben sappiamo, o sono già state attuate nella seconda repubblica dai governi di "centro-destra" e di "centro-sinistra", o stanno per essere completate oggi dal neoduce Berlusconi, nell'impotenza o con la complicità della "sinistra" borghese. E che possono essere fermate solo con un nuovo 25 Aprile per buttare giù il nuovo Mussolini con la lotta di piazza delle masse, che devono ritornare ad essere le vere protagoniste della lotta politica. 25 maggio 2011 |