Il 66% dei palestinesi chiede ad Abbas di lasciare i "colloqui beffa" Partita in pompa magna lo scorso 2 settembre, con la benedizione diretta del presidente americano Obama, l'ennesima tornata di colloqui tra il premier sionista Netanyahu e il presidente palestinese Mahmoud Abbas si è già fermata il 26 settembre a causa dei contrasti dovuti alla fine della moratoria sulla costruzione delle colonie in Cisgiordania, decisa dal governo di Tel Aviv e osteggiata dall'Autorità nazionale palestinese (Anp). L'11 ottobre Abbas ha sostenuto che "Israele ha seppellito l'accordo di Oslo (del 1993, ndr) e gli altri firmati con l'Olp" e ha accusato Israele di aver spogliato l'Autorità palestinese di molti dei suoi già limitati poteri nei territori occupati con "intrusioni quotidiane" nelle aree governate dall'Anp. Però è sempre pronto a rispondere ai richiami dei padrini imperialisti e sionisti e a ripresentarsi col cappello in mano all'ennesimo inconcludente giro di negoziati farsa. Non la pensano allo stesso modo le organizzazioni della resistenza all'occupazione né il legittimo governo palestinese diretto da Hamas; né la maggioranza del popolo palestinese, una posizione confermata da un sondaggio pubblicato dal Palestinian Center for Policy and Survey Research, che ha rilevato come il 66% dei palestinesi vorrebbe che Abbas lasciasse i "colloqui beffa", smettendo anche il tira e molla sugli insediamenti. D'altra parte l'ultimo rilancio del sionista Netanyahu è veramente indigesto anche per il pur arrendevole presidente palestinese. Nel discorso di apertura della sessione invernale della Knesset, il parlamento di Tel Aviv, Netanyahu lo scorso 11 ottobre ha ricordato i gesti compiuti dal suo governo per riportare i palestinesi al tavolo delle trattative, una breve e ridicola lista che comprende la revoca di centinaia di posti di blocco, delle migliaia che ci sono, in Cisgiordania e i dieci mesi di moratoria degli insediamenti. Moratoria, e non definitiva cessazione delle costruzioni abusive sui terittori palestinesi, che potrebbe essere prorogata per altri due mesi "se la dirigenza palestinese dirà in modo inequivoco al suo popolo che riconosce Israele come stato del popolo ebraico". I sionisti vogliono anche il riconscimento di uno Stato confessionale, come riaffermato nella recente legge varata dal governo per la quale i nuovi cittadini non ebrei dovranno giurare fedeltà allo "Stato ebraico e democratico d'Israele" e non più solamente allo "Stato d'Israele". Una legge che rappresenta una "flagrante contraddizione, una cosa non logica, contraria ai principi democratici che si dice di voler affermare", anche secondo monsignor Antonio Naguib, patriarca della Chiesa copto-cattolica d'Egitto e relatore generale del sinodo speciale sul Medio Oriente indetto da Benedetto XVI. Al regime sionista tutto è permesso, grazie alla protezione e alle coperture dei paesi imperialisti, a partire dagli Usa sia che alla Casa Bianca vi sia un Bush o un Obama e tirare a suo piacimento la farsa dei "negoziati di pace". Così come può impudentemente fregarsene delle condanne della comunità internazionale, non ultima quella del Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite che il 23 settembre scorso ha condannato il raid del 31 maggio 2010 da parte delle forze di sicurezza israeliane contro la Mavi Marmara, la nave di pacifisti turchi della Freedom Flottilla che voleva forzare il blocco illegale attuato da Israele a Gaza a partire dal 2007; un atto di pirateria compiuto in acque internazionali e che causò la morte di almeno nove pacifisti turchi. Per l'organismo Onu, Israele è colpevole di "omicidio intenzionale, tortura o trattamenti inumani, grandi sofferenze o ferite gravi inferte intenzionalmente". 13 ottobre 2010 |