Parere sul discorso di Monica Martenghi alla commemorazione di Mao L'emancipazione femminile e il femminismo Con la pubblicazione qui di seguito dell'intervento del compagno Federico Del Veneto, uno studente 18enne della provincia di Belluno, completiamo la rappresentatività dei pareri espressi sul discorso della compagna Monica Martenghi, tenuto a nome del CC del PMLI, da parte di militanti del Partito che non hanno potuto partecipare alla commemorazione di Mao del 9 settembre. Il discorso della compagna Monica Martenghi alla commemorazione di Mao è un potente strumento nelle mani di tutto il Partito per combattere la concezione borghese, idealista e metafisica della famiglia, assimilare la concezione proletaria, materialista e dialettica, e denunciare il carattere reazionario del governo Prodi anche dal punto di vista dell'emancipazione femminile. Dopo un breve preambolo sul rapporto particolare che ci lega a Mao, sugli attacchi furiosi che la borghesia gli riserva, come è normale di una classe sociale in declino che deve riversare la rabbia per il proprio tramonto sul nuovo che la spodesta, Martenghi passa ad illustrare le due opposte concezioni del mondo, quella borghese e quella proletaria, sulla donna e sulla famiglia. Innanzitutto, citando alcuni dei numerosi discorsi e provvedimenti di Mao e dei comunisti cinesi a favore della donna, smaschera le menzogne rabbiose degli intellettuali borghesi sul presunto disprezzo di Mao per le donne. Anche molti liberali, democratici e progressisti sono schierati in difesa delle donne. Ma, come appare ben chiaro dal discorso, il femminismo borghese non ha niente a che vedere con la lotta per l'emancipazione femminile propria del proletariato. La massima uguaglianza che la democrazia borghese è in grado di raggiungere fra uomo e donna è l'uguaglianza formale, giuridica. La massima emancipazione della donna che riesce a raggiungere è l'emancipazione civile, ideale, nel cielo della politica e dello stato. Ma, nella realtà mondana, nella "valle di lacrime" terrena della società civile, la donna proletaria resta subalterna all'uomo e oppressa due volte. L'uguaglianza tra uomo e donna in regime capitalistico è una mistificazione non minore dell'uguaglianza fra operaio e padrone, vera solo nel mondo ultraterreno del diritto. La libertà individuale della donna propagandata dal femminismo è la libertà borghese dell'individuo estesa alle donne, è la libertà del citoyen e non la libertà dell'homme. La base economica del capitalismo che trova nella donna una forza lavoro di riserva e un mero strumento per la riproduzione della merce forza-lavoro stessa, e non già la sovrastruttura politica, determina il reale ruolo delle donne nell'attuale società. Per questo la Cina socialista non si limitò al riconoscimento formale dell'uguaglianza fra uomo e donna, alla piena realizzazione della democrazia borghese (per altro con 40 anni di anticipo rispetto all'Italia), ma le donne vennero chiamate a "sostenere lo sviluppo dell'economia socialista, a partecipare al lavoro nelle campagne e nelle fabbriche", "vengono costruite piccole fabbriche e laboratori (...) asili, mense e nidi" tanto che "negli anni '70 la stragrande maggioranza delle donne partecipa al lavoro sociale produttivo con percentuali mai raggiunte in nessun altro paese al mondo". Nel capitalismo solo una minoranza di donne borghesi è realmente emancipata tramite la carriera professionale; ma lo stesso sistema che garantisce l'emancipazione a questa minoranza privilegiata si basa sull'oppressione della gran massa delle donne, che o non lavorano o lavorano per farsi sfruttare due volte, al lavoro e in famiglia. Con la Grande rivoluzione culturale proletaria cinese vennero poi scagliati colpi fortissimi sulla sovrastruttura ideologica e culturale antifemminile, risultato di millenni di discriminazioni. Giammai però questa cristallizzazione mentale venne concepita come il presupposto fondamentale dell'oppressione della donna, come invece fa il femminismo borghese da cui Mao si allontanò ancor giovane. L'emancipazione della donna nel socialismo è, come si vede, un fatto reale, non l'astrazione nel linguaggio del diritto dell'oppressione effettiva. Martenghi sottolinea con le parole di Mao che non solo una "vera uguaglianza tra i sessi si può realizzare solo nel processo di trasformazione socialista dell'intera società", ma anche "senza l'emancipazione della donna, il socialismo non può essere realizzato". Cioè assegna alle donne un ruolo essenzialmente attivo, e non meramente ricettivo, o limitato alla sfera femminile, nel processo generale di emancipazione del proletariato di ambo i sessi e di tutta l'umanità. E qui sta l'altra differenza essenziale, politica, tra lotta proletaria per l'emancipazione femminile e femminismo borghese. Per il femminismo borghese esiste solo un'astratta contraddizione interclassista tra uomo in generale e donna in generale, e spinge le donne proletarie a unirsi con le donne borghesi e a contrapporsi insieme agli uomini in generale. Per dirla con Lenin, "I problemi sessuali matrimoniali, non sono visti come una parte della principale questione sociale (...), al contrario, la grande questione sociale stessa appare come una parte, una appendice del problema sessuale". Il marxismo-leninismo invita invece le donne proletarie e popolari a risolvere la loro lotta nella più generale lotta per il socialismo. Martenghi passa poi ad illustrare la situazione odierna italiana nei riguardi della famiglia e i compiti del PMLI. Partendo dal denunciare le offensive vaticane volte ad imporre la famiglia cattolica quale modello più reazionario di famiglia borghese, mette a nudo la vera natura economica e storica di questa istituzione. Non una presunta "coscienza cattolica" dei politici borghesi, né semplicemente il loro servilismo, bensì una convergenza concreta tra la morale cattolica e gli interessi della classe borghese nel suo complesso è alla base delle sempre più frequenti ingerenze del Papa in materia. Il bisogno di assicurarsi la riproduzione della forza-lavoro al minor costo (specie in questa fase), e la necessità di un così potente ammortizzatore sociale, spingono il capitalismo alle odierne offensive familiste. Martenghi mette in luce una delle contraddizioni insanabili del capitalismo, che da un lato, con il suo stesso sviluppo, disgrega e pone in crisi l'esistenza della famiglia borghese, dall'altra ne ha crescente bisogno e tenta in ogni modo di tenerla in piedi. Su questo punto destra e "sinistra" borghese concordano in pieno, e, a benedizione delle loro politiche, richiamano dal "regno dei morti" la talora divina Costituzione del '48 da loro stessi affossata, col suo famigerato articolo 29. Da qui passa alla chiara esposizione delle due concezioni opposte: la borghesia, come ogni classe dominante, si raffigura il suo dominio e il suo sistema come eterni, immutabili, metafisici, e così la sua famiglia "naturale". Per il materialismo storico invece "la famiglia nasce, si sviluppa e si trasforma storicamente in base agli sviluppi e alle trasformazioni sociali e, in ultima istanza, essa è il riflesso della base economica di una determinata epoca storica". E così, con un breve excursus storico, Martenghi mostra la nascita della famiglia cattolica sotto Giustiniano, la sua cristallizzazione nel XVI secolo, la sua moderna combinazione con il modo di produzione capitalistico. Una famiglia che scomparirà solo in seguito alla scomparsa di questo suo presupposto fondamentale, e che non scomparirà d'un tratto, né artificialmente né senza il contributo del Partito. I compiti attuali tuttavia sul fronte della famiglia sono quelli di ampliare le conquiste pur dovendo rimanere nel quadro della democrazia e del diritto borghesi. Le due leve sono la battaglia per il lavoro e per la socializzazione del lavoro domestico. Dopo questo discorso generale e centrale, Martenghi riepiloga brevemente l'operato del governo Prodi citando alcune delle sue principali nefandezze su tutti i piani - interno, esterno, istituzionale - collegando così, concretamente, la "questione femminile" alla più generale questione sociale. Per rispondere alla crisi di credibilità di fronte ai propri elettori, e per garantire una più efficace governabilità al sistema capitalista, la "sinistra" borghese tenta l'ennesima operazione politica creando il Partito democratico, spostandosi ancora più a destra, e all'insegna del presidenzialismo e del federalismo, con lo scopo di completare anche formalmente la seconda repubblica. Una deriva a cui, accusa Martenghi, sono destinati a non sfuggire nemmeno PRC e PdCI, i quali, trascinandosi al carro del PD, rischiano concretamente la morte elettorale, politica e organizzativa, nello stesso tempo in cui si acuisce sempre più la contraddizione tra la loro base e la loro politica. Si apre così uno spazio vuoto sempre più grande che può e deve essere riempito dal PMLI, poiché "Se si vuol far la rivoluzione, vi deve essere un partito rivoluzionario". Tanto più la "sinistra" borghese si sposta sul terreno della destra e crederà sconfitto il comunismo, tanto più le masse si avvicineranno al PMLI e si distaccheranno da essa. Studiare, concentrarsi sulle priorità, radicarsi; radicarsi, concentrarsi sulle priorità, studiare: sotto queste parole d'ordine il PMLI marcia verso il suo 5° Congresso. 17 ottobre 2007 |