Presentando la parata militarista del 2 giugno Parisi rilancia l'interventismo dell'Italia nel mondo Il nuovo ministro della Difesa scavalca a destra il suo predecessore Martino Il passaggio di consegne avvenuto il 18 maggio al ministero della Difesa, tra l'ex ministro neofascista Antonio Martino e il neo ministro della Margherita Arturo Parisi, non solo non ha prodotto alcun mutamento, né visibile né sostanziale, alla politica guerrafondaia dell'Italia, ma tutto lascia pensare che il nuovo titolare abbia intenzione di superare a destra il suo stesso predecessore, in fatto di politica militarista e interventista. Non basta infatti il solo ritiro dall'Iraq (peraltro solo annunciato, per ora, e carico di ambiguità e continui ripensamenti) per poter affermare che la politica militare del governo di "centro-sinistra" sarà radicalmente diversa da quella del governo neofascista di Berlusconi. Bisogna considerare l'intera politica estera e di difesa del nuovo esecutivo, come risulta dai suoi primi atti e dichiarazioni ma anche nelle sue linee programmatiche, per poter esprimere un giudizio obiettivo e completo al riguardo. Se si fa ciò, si vedrà che non c'è affatto discontinuità nella politica di difesa da molti anni a questa parte a prescindere dai governi che si sono succeduti, compreso l'ultimo avvicendamento tra la destra e la "sinistra" borghese a Palazzo Chigi. Nell'annunciare, per esempio, la riproposizione anche quest'anno della "tradizionale parata" militarista del 2 giugno, il ministero della Difesa, cioè Parisi, ha voluto cogliere l'occasione per sottolineare che proseguirà l'opera di adeguamento delle Forze armate per trasformarle in "uno strumento militare totalmente professionale, proiettabile, pienamente interforze e interoperabile con i nostri alleati", e il cui scopo dichiarato è quello di "sostenere e valorizzare l'immagine e il ruolo internazionale dell'Italia". Cosa significa questo passaggio del comunicato, se non rassicurare i comandi militari e la grande borghesia imperialista italiana (vedi in proposito anche il recente monito di Montezemolo a non mettere "neanche lontanamente in discussione" il ruolo delle nostre forze armate, foss'anche "solo con qualche battuta sulle Frecce tricolore") che il nuovo governo di "centro-sinistra" continuerà a sviluppare il "nuovo modello di difesa" interventista basato sull'esercito professionale mercenario in grado di operare in tutte le aree "calde" del mondo? Un modello di difesa, del resto, progettato e avviato proprio dai primi governi di "centro-sinistra" negli anni '90, ripreso e sviluppato dal governo neofascista Berlusconi, e ora ripreso di nuovo in consegna dal nuovo esecutivo del democristiano Prodi per portarlo ulteriormente avanti. Già con il primo governo Prodi, infatti, la politica di difesa era stata promossa a strumento di affermazione del ruolo politico ed economico dell'Italia nel mondo, in quanto quinta o sesta potenza industriale reclamante di nuovo il suo "posto al sole" tra le grandi potenze, come ai tempi di Mussolini. Con il governo del rinnegato D'Alema questo "nuovo modello di difesa" aveva avuto anche il suo battesimo del fuoco con la partecipazione alla guerra imperialista alla Jugoslavia e all'occupazione militare del Kosovo, per poi sfociare nella nascita per legge di un vero e proprio esercito professionale interventista, dotato di armi sempre più moderne ed efficaci e con tanto di ingaggi milionari, privilegi e facilitazioni di ogni genere per attrarre i volontari. Col governo Berlusconi questa politica subisce un'ulteriore accelerazione, sia con l'introduzione di sistemi d'arma più potenti e idonei ad operare in teatri lontani, come la portaerei Cavour e i 130 cacciabombardieri JSF prenotati dalla Lockheed per 5 miliardi di dollari, sia con la partecipazione attiva dell'Italia alle occupazioni imperialiste dell'Afghanistan e dell'Iraq. Tanto che attualmente l'Italia è al settimo posto mondiale per le spese militari, con 28 miliardi di dollari l'anno, ed è presente con sue truppe in ben 19 paesi, per un totale di 8.514 militari inquadrati in 28 missioni di guerra, il terzo paese al mondo per impegno militare all'estero dopo Stati Uniti e Gran Bretagna. Che Parisi non abbia intenzione di cambiare rotta, rispetto a tutto ciò, soltanto i ciechi o chi non vuol vedere può non essersene già reso conto, sia pure a poche settimane dal suo insediamento. Che altro significa, infatti, la sua immediata visita a Nassiriya per riaffermare ufficialmente e solennemente che il contingente italiano è lì "in missione di pace", una cosa sempre proclamata dal governo del neoduce Berlusconi, ma su cui finora il "centro-sinistra" si era mantenuto ambiguo e reticente? E che dire del suo messaggio indirizzato alle Forze armate in occasione della festa del 2 giugno, in cui invitava i cittadini a stringersi ad esse "nel ricordo dei più recenti caduti, vittime del dovere e testimoni della volontà del nostro Paese di portare pace, stabilità e sicurezza anche nelle zone più martoriate del pianeta"? Un messaggio chiaramente interventista e a sostegno delle missioni di guerra mascherate da interventi di pace, come del resto anche quello rivolto il 5 giugno all'arma dei carabinieri, in cui ha tra l'altro esaltato il "grande apprezzamento della comunità internazionale per i reparti dei carabinieri che operano in aree di crisi all'estero". Insomma, in poche settimane dalla presa in consegna dell'importante dicastero, Parisi ha già dato un'impronta fortemente militarista, patriottarda e interventista alla politica di difesa del governo Prodi, tanto da guadagnarsi l'ammirazione dichiarata del suo predecessore neofascista. Ciò conferma l'estrema oculatezza con cui Prodi ha piazzato i suoi uomini più fidati in quei ministeri che occupano posti chiave nel suo disegno politico neodemocristiano, come l'Istruzione e la Difesa, praticamente da sempre controllati da ministri di provata fede scudocrociata. In particolare non è certo un caso che per il ministero che fu di Andreotti il presidente del Consiglio abbia scelto uno come Parisi, che ha avuto una formazione cattolica e militare assieme, avendo compiuto gli studi liceali alla scuola militare della "Nunziatella" di Napoli ed essendo poi stato dirigente nazionale dell'Azione cattolica, nonché, negli anni cruciali del passaggio alla seconda Repubblica, promotore del "Movimento per le riforme istituzionali". 14 giugno 2006 |