Pateracchio democristiano tra Letta e Alfano pilotato da Napolitano, benedetto dalla Chiesa cattolica e sostenuto dalla Ue e da Confindustria Letta ottiene la fiducia rilanciando il vecchio programma concordato con Berlusconi Al primo posto c'è la controriforma costituzionale. Il neoduce, a sorpresa, vota la fiducia al governo. Il premier e il PD non la rifiutano. Il PDL spaccato Solo il socialismo e il potere del proletariato possono cambiare l'Italia Mercoledì 2 ottobre, con una maggioranza plebiscitaria di 235 voti al Senato e di 435 alla Camera, Enrico Letta ha riottenuto la fiducia in parlamento, dopo che il suo governo era stato messo virtualmente in crisi dalla mossa improvvisa di Berlusconi di far dimettere tutti i suoi ministri per provocare traumaticamente la fine della legislatura e le elezioni anticipate. Una mossa paradossale e spericolata, trattandosi del governo da lui stesso voluto, sostenuto e pilotato, ma praticamente obbligata, terrorizzato com'è dall'idea che non appena decaduto da senatore e privato dello scudo parlamentare qualche procura non aspetti altro per farlo arrestare. Ma Letta è riuscito invece a restare in piedi, grazie a un pateracchio tra democristiani con il suo vice e segretario del PDL Alfano, pilotato da Napolitano, benedetto dalla Chiesa cattolica e sostenuto dalla Ue e da Confindustria in nome della "stabilità" e della continuità di governo a tutti i costi. Un'operazione che ha provocato una spaccatura nel PDL e che alla fine ha costretto il neoduce, dopo aver cambiato decisione più volte, a votare anche lui la fiducia a Letta, quando si è reso conto che con le tante e impreviste defezioni tra le sue truppe il premier l'avrebbe ottenuta comunque, e che non votandola rischiava di restare sconfitto e per giunta clamorosamente in minoranza nel suo stesso partito. Ma è vero anche che con questa mossa il neoduce è riuscito all'ultimo minuto a rientrare nella maggioranza delle "larghe intese" e rimettere il suo cappello sul governo. Che è e resta a tutti gli effetti il governo delle "larghe intese" e dell'inciucio, visto che né il premier né il PD hanno avuto il coraggio di rifiutare i suoi voti, pur avendo accarezzato per un attimo l'illusione di essersi liberati di lui. Visto che Alfano e la sua accolita di "dissidenti" democristiani, ciellini, cattolici di destra, ex craxiani e piduisti, si autoproclamano solo "diversamente berlusconiani" e continuano a giurare fedeltà al neoduce di Arcore e a rivendicare l'impunità per lui. E soprattutto visto che il programma su cui Letta ha chiesto e ottenuto la fiducia in parlamento è esattamente lo stesso di prima, a cominciare dalla controriforma costituzionale neofascista e presidenzialista, con in più anzi la promessa di una "riforma" della giustizia che, secondo quanto rivelato dallo stesso fogliaccio della famiglia Berlusconi, Il Giornale, Napolitano in persona gli avrebbe suggerito di inserire nel suo discorso per rabbonire il neoduce e incoraggiare l'operazione di sganciamento di Alfano. Lo dimostrano chiaramente in ogni caso le motivazioni dello stesso Berlusconi con cui alle 13,30 in Senato ha annunciato a sorpresa il capovolgimento di posizioni e il sì alla fiducia: "Abbiamo deciso, non senza interno travaglio, di esprimere un voto di fiducia a questo governo che con Letta si è impegnato a ridurre le tasse, per la responsabilità civile dei giudici e per riforme strutturali e istituzionali di cui il Paese ha bisogno per modernizzarsi", ha detto infatti come ad apporre il suo marchio sulla rinnovata fiducia al governo. Un crescendo di minacce e atti di forza Questa la conclusione di una vicenda iniziata una decina di giorni prima, quando il 18 settembre, con un ennesimo video rilanciato a ciclo continuo da tutte le reti possibili, Berlusconi tornava a tuonare contro il presunto "uso politico della giustizia" ai suoi danni e a lanciare proclami golpisti, aizzando i suoi elettori a "reagire, protestare, fare qualcosa di forte" contro la "sinistra" (con la quale governa) e i magistrati. Un proclama che, pur senza neanche nominare il governo, suonava come una chiara minaccia alla sua stabilità. Così, mentre Letta era ancora in missione in Canada e in Usa, avvalendosi di nuovo dei poteri presidenzialisti che ormai si è di fatto assegnato, Napolitano si sostituiva a lui per convocare "per consultazioni" al Quirinale i segretari dei partiti della maggioranza, e perfino - non si sa a che titolo - il presidente di Mediaset Confalonieri, per avere rassicurazioni sulla stabilità dell'esecutivo, ricevendone segnali "abbastanza confortanti" da Alfano. Ma il neoduce, ormai convinto dal suo avvocato Ghedini e dai cosiddetti "falchi" del PDL, i suoi sempre più stretti consiglieri Santanché, Verdini, Bondi e Capezzone, che un provvedimento di arresto per lui era già pronto e che le manette sarebbero scattate appena decaduto da parlamentare, non poteva contentarsi solo di segnali e promesse da parte del capo dello Stato. E così ha rotto gli indugi e ha deciso di rovesciare il tavolo. L'intento era quello di bloccare il voto sulla sua decadenza facendo saltare la legislatura, per andare alle elezioni anticipate utilizzando la finestra di novembre non ancora chiusa. A tale scopo, il 25 settembre, per prima cosa il neoduce chiedeva e otteneva "per acclamazione" l'impegno dei suoi parlamentari e dei suoi ministri a dimettersi in massa non appena la Giunta per le elezioni del Senato avesse votato la sua decadenza. L'offerta in extremis di Napolitano Pochi giorni dopo, il 28 settembre, Berlusconi alzava ancora la posta, e prendendo a pretesto il mancato decreto sull'Iva per accusare Letta di non aver rispettato i patti di governo aumentando le tasse ai cittadini anziché ridurle, dichiarava ufficialmente la caduta del governo invitando Alfano e i suoi ministri Lupi, Quagliariello, Lorenzin e De Girolamo a dare le dimissioni. Cosa che sia pure a malincuore costoro facevano, mentre un trionfante Bondi invitava tutti a "prendere atto della fine del governo e della legislatura". Non era bastato a far recedere il neoduce neanche l'estrema ciambella di salvataggio lanciatagli da Napolitano durante la visita al carcere di Poggioreale, quando aveva detto che era già pronta una sua lettera da inviare al parlamento, appena il clima si sarebbe "svelenito", per sollecitare "un provvedimento di clemenza, un provvedimento di indulto e di amnistia" (lettera che poi il nuovo Vittorio Emanuele III invierà effettivamente al parlamento subito dopo la soluzione della crisi di governo) Ed è così che ha preso corpo allora l'operazione concordata tra Napolitano e Letta di sfidare Berlusconi in parlamento con un voto di fiducia. Operazione a cui hanno dato mano, con pressioni dirette su Berlusconi e il PDL per non compromettere la "stabilità" politica ed economica dell'Italia, la Commissione europea tramite interventi di Barroso, Rehn e Van Rompuy, la Confindustria di Squinzi e la Confcommercio di Sangalli. Anche la Chiesa cattolica, con interventi dei cardinali Crociata e Bagnasco, e i centristi Monti, Casini e Mauro, hanno lavorato alacremente fuori e dentro il parlamento per convincere i cattolici e i ciellini del PDL a mettersi sotto l'ala di Alfano per votare la fiducia a Letta e puntare a formare un nuovo gruppo parlamentare separato da Forza Italia e collegato al Partito popolare europeo (PPE). Sapendo di essere destinato ad avere un ruolo marginale nella nuova Forza Italia egemonizzata dai "falchi", Alfano si è deciso a cogliere questa occasione per regolare i conti con loro e conquistare un suo spazio, e ha giocato il tutto per tutto per coalizzare i democristiani del PDL a sostegno del democristiano Letta. Dalla sua parte sono così passati non solo i quattro ministri dimissionari, ma via via diversi altri esponenti cattolici come i destri Giovanardi e Roccella, il ciellino inquisito Formigoni, il relatore pro Berlusconi nella Giunta, Augello, il cossighiano Naccarato, l'ex ministro antioperaio Sacconi, e perfino il socialista piduista Cicchitto. I quali si sono tirati dietro le rispettive consorterie, in particolare molti senatori siciliani e calabresi. Una diaspora che nel giorno del voto di fiducia ha assunto le dimensioni di una slavina, tanto che a un certo punto Berlusconi si è reso conto che tra chi era intenzionato a votare la fiducia, chi ad uscire dall'aula, e chi si era dato assente o malato, solo un terzo dei suoi senatori l'avrebbe seguito nel votare no alla fiducia. Il discorso di Letta in parlamento Informato di tutto ciò da Alfano, al quale lo lega una lunga amicizia tra democristiani, e consapevole di avere alle spalle non solo Napolitano e il tutto il PD (anche Renzi lo aveva rassicurato sul suo appoggio al governo, almeno ufficialmente), ma anche i "poteri forti" nazionali e internazionali, la Ue e la Chiesa, perfino tutti e tre i segretari sindacali, la volpe democristiana Letta si è presentata al Senato con un discorso che è stato tutta un'esaltazione dell'operato del suo governo e della necessità di continuare il suo programma concordato con il PDL di Berlusconi, a cominciare dalle "riforme" costituzionali ("la cui direzione è già tracciata, in anticipo sul cronoprogramma che ci eravamo imposti"), e condito abbondantemente di proposizioni demagogiche sul lavoro ai giovani, il sostegno all'economia, alla scuola, ai precari, ai diritti delle donne ecc., per assicurare l'indispensabile "stabilità" del quadro economico e politico del Paese, come ai "bei tempi" dei governi DC dal 1946 al 1948. Un discorso fatto per piacere ai "poteri forti" nazionali e internazionali, aperto e chiuso non a caso con le citazioni di due campioni storici del liberalismo italiano come rispettivamente Luigi Einaudi e Benedetto Croce. E fatto per incoraggiare Alfano e la sua pattuglia di democristiani a unirsi agli altri democristiani del centro e del PD, trasgredendo gli ordini di Berlusconi senza doverlo per questo rinnegare e pur continuando a difenderlo. Cosa che ha fatto concedendo al neoduce, quando ancora tutti sapevano che non avrebbe votato la fiducia, una chiara apertura sul tema della giustizia, in particolare sulla responsabilità civile dei giudici, come ha fatto sottolineando il suo "diritto intangibile a una difesa efficace, senza leggi o trattamenti né ad personam, né contra personam" e col richiamo alle indicazioni sulla "riforma" della giustizia suggerite dalla relazione dei "saggi" di Napolitano. Anche se non si aspettava certo il voltafaccia finale di Berlusconi, e sperava invece di liberarsi di lui, Letta non ha rifiutato i suoi voti ma ha fatto buon viso a cattivo gioco dichiarando che "la maggioranza ci sarebbe stata comunque", e che d'ora in avanti la sua maggioranza sarà "più coesa", anche se questa è diversa dalla maggioranza numerica". In un'intervista a Sky Tg 24 si è spinto a dire che con la giornata del 2 ottobre "si è chiuso un ventennio". E se La Repubblica del magnate De Benedetti e del liberale ex fascista ed ex monarchico Scalfari è arrivata a titolare trionfalmente sulla "disfatta di Berlusconi", il rinnegato D'Alema ha dichiarato che per il governo "Berlusconi è quasi come se non ci fosse più". L'unica alternativa è il socialismo Ma davvero Berlusconi è stato sconfitto? Intanto Alfano e gli altri "dissidenti" hanno subito rinviato la formazione dei nuovi gruppi parlamentari, preferendo trattare con il neoduce per avere più spazio e più potere in Forza Italia. E il neoduce li tiene sulla corda, esponendoli alla controffensiva dei "falchi" capeggiati ora da Fitto e alternando sapientemente le promesse di cariche e prebende alle minacce di vendetta contro i "traditori". Anche gli scontri col PD che si sono già riaccesi nel governo sul problema dell'Imu confermano che non è cambiato nulla nel suo potere di condizionamento e di interdizione sul governo. E anche se le elezioni anticipate per ora si allontanano, il governo continuerà a traballare ogni volta che lui si sentirà in pericolo. Quanto al PD ha dovuto ingoiare il rospo di trovarselo ancora nella maggioranza, e per di più ha scoperto di colpo di essere caduto in mano ai democristiani, di essere anzi diventato con Letta e con Renzi ora ancor più forti un partito democristiano a tutti gli effetti. Questo governo non potrà perciò che proseguire con il suo programma che scarica la crisi del capitalismo sui lavoratori e sulle masse popolari e che mira a realizzare, sotto la regia di Napolitano e i diktat del neoduce Berlusconi, la controriforma neofascista e presidenzialista della Costituzione, oltre a quella della giustizia reclamata dal neoduce e a quella elettorale per favorire i partiti borghesi più forti e tagliare le gambe a quelli più piccoli. È la conferma che ora più che mai non si può cambiare l'Italia attraverso i governi borghesi, qualunque sia la percentuale di "sinistra" borghese che contengano, ma c'è bisogno del socialismo e del potere del proletariato. Solo il socialismo, come la storia dimostra, è l'unica vera alternativa al capitalismo e alla dittatura della borghesia. La via maestra capace di creare una nuova società senza più sfruttamento, miseria e ingiustizia sociale per gli operai, i giovani, le donne, gli anziani, i migranti e tutte le masse lavoratrici e popolari. 9 ottobre 2013 |