Il governo preme sui sindacati per ottenere più produttività Un incontro perditempo a Palazzo Chigi Non è il momento del confronto col governo ma dello scontro in piazza per spazzare via il governo Monti No al "patto per la produttività" Dal punto di vista degli interessi dei lavoratori, dei giovani e delle masse popolari ha rappresentato una semplice perdita di tempo la riunione convocata dal governo a Palazzo Chigi l'11 settembre a cui hanno partecipato il presidente del Consiglio, Mario Monti, accompagnato dai ministri Passera, Grilli, Fornero e Barca e per parte sindacale i segretari di CGIL, CISL e UIL Susanna Camusso, Raffaele Bonanni e (in sostituzione di Angeletti) Antonio Fucillo. Di più, una presa di giro, una provocazione. Non si è parlato, infatti, com'era logico e necessario fare di come rilanciare l'economia tuttora immersa in una profonda crisi e in una rovinosa recessione, di come affrontare il problema occupazione e dare lavoro alla massa ampissima di giovani disoccupati o inoccupati, di come dare una soluzione che salvi produzione e posti di lavoro alle tante aziende in crisi come l'Alcoa, di misure finalizzate a stimolare la domanda interna, a cominciare da una cospicua detassazione dei salari e delle pensioni medio-basse. Monti ha parlato invece di produttività da aumentare e di costo del lavoro da ridurre attraverso un famigerato patto tra associazioni padronali e sindacati, senza che il governo ci metta un euro, o quasi. Il tecnocrate liberista borghese Monti, proseguendo su questo terreno fuorviante, ha affermato che: "Siamo in fondo alla classifica europea per produttività di ore lavorate e abbiamo un costo del lavoro per unità prodotta ben oltre la media dei paesi della moneta unica". E assai curioso che come esempio indichi i paesi che stanno peggio dell'Italia. "Mentre la Grecia, la Spagna, l'Irlanda e il Portogallo - ha detto - hanno aumentato la produttività e diminuito il costo orario del lavoro invertendo il trend negativo l'Italia non ha migliorato la produttività e il costo del lavoro". Ammesso e non concesso che ciò abbia un barlume di verità, il governo della grande finanza, della UE e della macelleria sociale nasconde le sue gravi responsabilità che si concretano in una politica economica e sociale e del lavoro ferocemente neoliberista interamente indirizzata alla riduzione del debito pubblico attraverso pesanti stangate finanziarie, peraltro tutte a carico dei lavoratori e dei pensionati, con un marcato segno recessivo che invece di superare la crisi l'hanno aggravata; scontando anche l'assenza di uno straccio di politica industriale, energetica, di investimenti pubblici in favore dell'occupazione. È su questa linea, dettata dalla BCE e dalla UE, che Monti intende proseguire a testa bassa. Lo si comprende bene quando sostiene che l'Italia deve fare come la Grecia, Spagna, l'Irlanda e il Portogallo: e cioè fare tabula rasa dei diritti dei lavoratori, assumere provvedimenti che riducano i salari, aumentino le ore lavorate e i ritmi, moltiplichino le flessibilità del lavoro in entrata e in uscita, senza protestare, sull'esempio del modello Marchionne imposto negli stabilimenti Fiat. Come dire, portare ancora più avanti il processo di distruzione dei diritti dei lavoratori già in uno stato avanzato con la controriforma delle pensioni e del "mercato del lavoro". Di cui la manomissione dell'articolo 18, che liberalizza i licenziamenti, è parte integrante. I primi licenziamenti per "motivi economici", senza diritto di reintegro, sono già iniziati, guarda caso, tutti con tessera FIOM. Ed è proprio lo Statuto dei lavoratori che torna sotto attacco del governo. In un videomessaggio inviato al convegno di scienza politica tenutosi all'università di Roma il 14 settembre, Monti rilascia questa dichiarazione menzognera: "Certe disposizioni dello Statuto dei lavoratori, ispirate all'intento nobile di difendere i lavoratori, hanno determinato insufficiente creazione di posti di lavoro". Insomma, nello stesso momento in cui la disoccupazione, specie quella giovanile ha raggiunto livelli record, la cassa integrazione coinvolge 500 mila lavoratori, a causa delle crisi aziendali ci sono 200 mila posti di lavoro in bilico, il potere d'acquisto dei ceti popolari cade a picco e la povertà cresce la ricetta del governo Monti si risolve nell'aumento (illusorio) della produttività e nella riduzione del costo del lavoro attraverso la deregolazione del diritto del lavoro e l'intensificazione dello sfruttamento della forza lavoro. Critiche, ma blande, le reazioni dei segretari di CGIL e di UIL. Addirittura entusiasta quella del segretario CISL Raffaele Bonanni solo per il fatto di essere stati convocati dal governo. "Oggi sono stati sconfitti - ha detto - tutti i gufi che sono contro la concertazione"; nonostante Monti avesse detto in apertura dell'incontro che esso non doveva essere inteso come una riapertura della concertazione. "Un incontro interlocutorio e deludente. In tanti anni di incontri col governo - è il giudizio del segretario UIL Fucillo - non mi era mai capitato sentire dire: voi discutete con le imprese poi fateci avere le vostre proposte" senza che il governo dica se quante risorse è disponibile a mettere in campo. Per la segretaria CGIL Camusso la crescita non dipende dalle "parti sociali" e da quello che esse possono fare in termini di produttività aziendale. Ci vogliono "interventi di produttività di sistema, politiche industriali ed energetiche". "Il governo continua a dire che le risorse non ci sono - ha aggiunto - questo dimostra la debolezza di una politica che propone la crescita senza mettere a disposizione provvedimenti e risorse". Se il quadro è questo, stupisce la disponibilità, o per meglio dire l'arrendevolezza della Camusso quando dice che: "Le parti sociali possono fare la loro parte ripartendo dall'accordo del 28 giugno 2011 (quello che in buona sostanza recepisce la controriforma contrattuale realizzata dal precedente governo Berlusconi, ndr), estendendolo e applicandolo nei rinnovi contrattuali". Il che stona con quanto affermato appena qualche giorno prima al direttivo CGIL: "Se non ci saranno risposte positive da parte del governo su redditi e lavoro metteremo in campo una grande iniziativa di mobilitazione che unifichi le tante vertenze aperte". In assenza di risultati, aveva aggiunto, la CGIL potrebbe anche proclamare lo sciopero generale. Basta con gli annunci. Si prenda atto che con questo governo non ci sono margini per una trattativa positiva, non ci sono disponibilità per ottenere risultati. Si rifiuti il patto con Confindustria per la produttività che si tradurrebbe inevitabilmente in un diretto incremento dello sfruttamento dei lavoratori. La strada da battere è quella della lotta di piazza, degli scioperi e delle manifestazioni. La protesta degli operai dell'Alcoa è un esempio da seguire per tutte le altre realtà aziendali che si trovano ad affrontare problemi analoghi. Va bene la mobilitazione degli statali fissata dalla CGIL per il 28 settembre e la mobilitazione dei lavoratori della conoscenza programmata per il 20 ottobre prossimo. Ma non basta. Si impone l'indizione dello sciopero generale di 8 ore con manifestazione nazionale a Roma per fermare l'offensiva del governo Monti, per farlo cadere da sinistra sui temi cari ai lavoratori, ai giovani e alle masse popolari. 19 settembre 2012 |