Il Pd smascherato ritira il superscudo per Napolitano L'emendamento al Lodo Alfano ritirato stabiliva l'immunità dai reati penali per il presidente della Repubblica Smascherato dalle rivelazioni sulla stampa e lasciato col cerino in mano anche da Napolitano, che con una nota molto risentita aveva proclamato la sua "rigorosa estraneità" alla vicenda, il PD ha dovuto ritirare precipitosamente l'emendamento al nuovo Lodo Alfano costituzionale in discussione al Senato, che assegnava al capo dello Stato un'immunità totale da qualsiasi reato penale. L'emendamento in questione, presentato col numero 1.5 alla commissione Affari costituzionali dal senatore del PD Stefano Ceccanti, e firmato da altri suoi colleghi tra cui lo stesso vicepresidente del gruppo piddino al Senato Felice Casson, recitava infatti così: "Al di fuori dei casi previsti dall'art. 90 della Costituzione, il Presidente della Repubblica, durante il suo mandato, non può essere perseguito per violazioni alla legge penale". Si trattava di uno stravolgimento incredibile della Costituzione che se approvato avrebbe concesso al capo dello Stato un superscudo da ogni reato penale, di qualsiasi tipo e gravità, inquantoché l'articolo 90 della Carta del 1948 stabilisce solo che egli "non è responsabile degli atti compiuti nell'esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per attentato alla Costituzione. In tali casi è messo in stato di accusa dal Parlamento in seduta comune a maggioranza assoluta dei suoi membri". A parte questi due casi l'emendamento del PD avrebbe dunque garantito all'inquilino del Quirinale un'impunità totale e assoluta, anche per esempio in caso di omicidio o altri reati gravi, il che è una palese assurdità. Eppure il fattaccio stava per passare alla chetichella, se Il Fatto Quotidiano del 6 luglio non l'avesse rivelato in un articolo in cui, pur riportando le motivazioni addotte dai proponenti, Ceccanti e Casson, secondo i quali l'emendamento si inseriva in una logica di "riduzione del danno" rispetto a certe possibili conseguenze del nuovo Lodo Alfano, se ne sottolineava tuttavia la gravità e i rischi, e si concludeva con questa frase: "Dal Quirinale nessun commento ufficiale. Nessuna conoscenza del provvedimento". Una sorta di "garbato richiamo" a Napolitano a uscire allo scoperto e prendere posizione per dissipare ogni possibile sospetto su un suo eventuale coinvolgimento nella decisione di presentare un simile obbrobrio di emendamento. Cosa che Napolitano poi ha fatto, ma soltanto il giorno dopo, quando la notizia è stata ripresa e sfruttata da Il Giornale della famiglia Berlusconi per adombrare un'inconfessabile interesse del Quirinale al superscudo: "Vogliono sottrarlo alla legge - Ma che ha combinato Napolitano?", sparava infatti a tutta prima pagina il quotidiano milanese il 7 luglio, con tanto di articolo al vetriolo del vicedirettore Sallusti, ben felice della ghiotta occasione per ribaltare una volta tanto su qualcun altro lo scandalo delle leggi vergogna che il neoduce si fa da solo per sfuggire ai processi: nella fattispecie sul PD e su Napolitano. Il quale a questo punto non poteva più tacere senza prestare il fianco a ulteriori insinuazioni, e così ha preso carta e penna e ha scritto una veemente nota ufficiale in cui, ribadendo che "la Presidenza della Repubblica resta sempre rigorosamente estranea alla discussione, nell'una o nell'altra Camera, di proposte di legge di iniziativa governativa", quale appunto quella sul nuovo Lodo Alfano in corso al Senato, stigmatizzava il "sensazionalistico titolo e articolo di prima pagina" de Il Giornale, "dopo che già ieri Il Foglio Quotidiano era intervenuto ambiguamente sull'argomento" (sic). Titolo e articolo, proseguiva la nota, "destituiti di qualsiasi fondamento, la cui natura ridicolmente ma provocatoriamente calunniosa nei confronti del Presidente della Repubblica non può essere dissimulata da qualche accorgimento ipocrita". Dopodiché la nota si concludeva sconfessando anche l'iniziativa del PD, col rimarcare che "il Presidente della Repubblica non ha comunque nessun motivo, né personale né istituzionale, per sollecitare innovazioni alla normativa vigente, quale è sancita dalla Costituzione, sulle prerogative del Capo dello Stato". Vista la brutta piega presa dalla vicenda al PD non restava che fare precipitosamente marcia indietro e ritirare l'emendamento, con tante scuse al Quirinale della capogruppo Finocchiaro, la quale giurava che la presidenza "non ne sapeva nulla" perché Ceccanti non lo aveva concordato con il gruppo. Da parte sua, pur sconfessato da tutti e lasciato col cerino in mano, Ceccanti non demorde e continua a sostenere imperterrito la bontà dell'emendamento che ha dovuto ritirare. A suo dire esso doveva servire a mettere al riparo il capo dello Stato da possibili iniziative giudiziarie di "magistrati politicizzati" al servizio della maggioranza parlamentare. E questo in risposta ad un emendamento governativo all'art. 1 del nuovo Lodo Alfano che consentirebbe al parlamento in seduta congiunta di dare via libera con un semplice voto a maggioranza ad eventuali inchieste della magistratura sul presidente della Repubblica. Ma a parte il fatto che con ciò si avalla proprio la tesi principe che Berlusconi adduce a sostegno del nuovo lodo costituzionale che dovrebbe garantire a lui e ai suoi ministri l'impunità per tutti i reati, anche commessi prima della nomina, cioè quella della "politicizzazione" della magistratura, che senso ha rispondere ad una legge vergogna con un'altra legge altrettanto vergogna? Senza contare che se oggi il superscudo vale per Napolitano, domani potrebbe valere per Berlusconi, se gli riuscisse di insediarsi al Quirinale, cosa per ora non affatto escludibile. E il PD questo lo sapeva benissimo. In ogni caso, ancora a monte dell'assurdità e dell'ambiguità assai sospetta della proposta, c'è una questione di principio da ribadire, che è quella dell'inemendabilità di una legge tanto scandalosa, reazionaria e anticostituzionale come il nuovo Lodo Alfano, che dovrebbe essere respinto in blocco invece che mercanteggiare modifiche e aggiustamenti in nome di una pretestuosa "riduzione del danno". Insomma, per chi lavora il PD? A giudicare da questa sconclusionata e ambigua vicenda sembra fare in pieno il gioco del nuovo Mussolini, sia emulando (e quindi legittimando) la sua logica perversa, sia puntando a rendere "migliore" la nuova infame legge pro Berlusconi. A che scopo, se poi spergiura che alla fine voterà contro? Qualcosa non quadra, e anche questo non fa che confermare l'urgenza di un nuovo 25 Aprile per buttare giù il nuovo Mussolini con la lotta di piazza, mentre gli intrallazzi del parlamento nero non fanno che legittimarlo e rafforzarlo. 14 luglio 2010 |