La camera nera fa quadrato attorno alla Marchionne del governo Monti Il PD salva la Fornero Monti: "Sfiduciare la Fornero significa sfiduciare me" Il 4 luglio la Camera nera ha respinto con 435 voti contrari e solo 88 a favore e 18 astensioni la mozione di sfiducia al ministro Elsa Fornero presentata da IDV e Lega. La mozione esprimeva sfiducia nei confronti del ministro del Lavoro e ne chiedeva le dimissioni essenzialmente per come ha gestito il problema degli "esodati", le sue numerose dichiarazioni contraddittorie e ambigue sulle reali dimensioni del fenomeno e il tentativo di nascondere il loro numero effettivo rivelato poi dall'Inps. Oltre a ciò nella mozione si faceva riferimento anche ad una dichiarazione altrettanto censurabile della Fornero in cui aveva detto che la sua "riforma del mercato del lavoro" rischia di aumentare il sommerso ma che vale la pena di correre questo rischio. Una mozione, quindi, che non chiedeva le dimissioni del ministro per quello che ha fatto contro i pensionati e i lavoratori, cioè per i contenuti delle sue controriforme da massacro sociale che hanno tagliato le pensioni e i diritti dei lavoratori e istituito la libertà di licenziamento, ma soltanto per le falsità dette sul problema degli "esodati". Quindi, anche se per pura ipotesi fosse passata, sarebbe stata comunque una farsa, perché con ciò il parlamento nero non avrebbe affatto sconfessato e condannato quanto fatto e disfatto dalla Marchionne del governo Monti, ma soltanto alcuni aspetti del suo comportamento che la rendono ancor più odiosa e invisa ai lavoratori e alle masse popolari. Comunque sia la Camera nera ha fatto massicciamente quadrato attorno al ministro, e come avrebbe potuto essere diversamente, dopo che pochi giorni prima aveva votato diligentemente tutte le fiducie richieste dal governo sulla sua controriforma del lavoro? Del resto era intervenuto anche Monti, alla vigilia della votazione, a mettere in riga i partiti della maggioranza avvertendoli che sfiduciare la Fornero equivaleva a sfiduciare lui stesso. Il premier aveva convocato infatti tutti i capigruppo della maggioranza per chiarire che "ogni critica al ministro Fornero" sarebbe equivalsa a "una critica a me e all'intero governo: tutto quello che ha fatto il ministro è stato da me condiviso passo dopo passo. I suoi provvedimenti sono il fiore all'occhiello del governo". Ancora una volta, cioè, il tecnocrate liberista calava sul tavolo il ricatto delle sue ventilate dimissioni, e del conseguente caos politico che ne deriverebbe mentre il Paese è sotto l'attacco della speculazione finanziaria internazionale, nel caso che i leader dei partiti della maggioranza, nella fattispecie il PDL e il PD, non fossero riusciti a tenere al guinzaglio le loro rispettive fronde interne. Ma forse non ce n'era neanche bisogno. É vero che circa una trentina di deputati del PDL si sono dati assenti non giustificati e non hanno partecipato al voto, tra cui lo stesso Berlusconi, l'ex ministro Tremonti e altri nomi di peso come i coordinatori La Russa e Verdini, l'ex sottosegretario Crosetto, ecc., a rimarcare la "freddezza" di larghi strati del partito e dello stesso neoduce nei confronti della Fornero e di Monti. Ma alla fine i voti del PDL a favore della mozione sono stati solo 4, e meglio ancora per la Fornero è andata col PD, tra le cui file c'è stato un solo voto a favore e 5 assenze non giustificate. Anche in questa occasione, quindi, il PD si è dimostrato essere il più "leale" e sicuro puntello del governo Monti della grande finanza, della Ue e del massacro sociale. Ciò è stato rivendicato addirittura con orgoglio in dichiarazione di voto dal deputato PD Alessandro Maran, il quale in difesa della Fornero ha evocato addirittura lo spettro del terrorismo, perché attaccare lei vorrebbe dire, come per Ichino, esporla al pericolo attentati, come è successo a Ruffilli, Bachelet, D'Antona e Biagi. Poi ha evocato la Resistenza e la "solidarietà nazionale" negli "anni di piombo" per proclamare che questo è uno di quei momenti storici in cui il suo partito ha accettato di rinunciare ai suoi interessi di parte per salvare il Paese in crisi, perché "come ha sottolineato il Presidente Napolitano, aver dato fiducia a questo Governo è segno di consapevolezza della estrema difficoltà del momento ed è - per i partiti che lo hanno deciso - titolo di merito e non di imbarazzo. Non abbiamo cambiato idea e anche per questo non voteremo la mozione". Infine il rappresentante del PD liberale si è lanciato in un'arringa difensiva d'ufficio della Fornero e delle sue "esternazioni", compresa l'ultima sul lavoro che non è un diritto, più appassionata e sfacciata di quanto avrebbe potuto fare lo stesso governo, sostenendo che il ministro più odiato dai pensionati, dai lavoratori e dai precari sbaglia talvolta le dichiarazioni perché "ha un compito difficile": "Un politico - ha detto infatti Maran - sarebbe molto più attento alle parole che usa. Ma ha un compito difficile anche perché si è presa la briga e l'onere di ricordare che l'attitudine della gente deve cambiare, che bisogna cambiare molte cose nel modo di governare, nel modo di produrre e di lavorare, nel modo di vivere e di comportarsi di tutti noi e che saranno indispensabili spirito di sacrificio, ma anche slancio innovativo". È significativo che questa sperticata esaltazione dell'ideologia ultraliberista e antioperaia della Fornero sia stata in tutto e per tutto simile a quella con cui ha concluso il suo intervento a favore del salvataggio della Fornero, ottenendo anche gli applausi bipartisan del PD, il rappresentante del PDL, Giuliano Cazzola, che le si è così rivolto: "Signora Ministro, visto anche alcune disavventure in cui è incorsa in questi mesi e rispetto a dichiarazioni che sono state spesso strumentalizzate come è capitato a tante persone prima di lei, io la prego, e la prego caldamente di continuare con quelle sue dichiarazioni, apparentemente estemporanee, male interpretate, ma dichiarazioni che sono capaci di tirare sassate nella piccionaia dei luoghi comuni e dei miti di un Paese come il nostro, malato di retorica". E molto significativo è anche il fatto che dopo la votazione siano andate a stringerle la mano e a congratularsi con lei, in segno di solidarietà ostentatamente "femminista", deputate come la berlusconiana Anna Maria Bernini e diverse altre, quasi tutte del PD, tra cui Giovanna Melandri e Anna Paola Concia. Il leader dell'IDV l'aveva infatti accusata in aula di aver commesso "un imbroglio gravissimo, nel momento in cui lei ha affermato il falso, mentendo sapendo di mentire" sul numero reale degli "esodati". E dai banchi del PD erano partite indignate proteste all'indirizzo di Di Pietro, mentre l'accusata gli rispondeva dandogli del "bugiardo". 11 luglio 2012 |