La cricca revisionista e fascista di Pechino soffoca nel sangue la rivolta degli uiguri 156 morti, oltre 900 feriti, oltre 1.400 gli arrestati Il pomeriggio del 5 luglio alcune centinaia di giovani della minoranza uiguri manifestavano a Urumqi, la capitale della regione autonoma dello Xinjiang, per l'uccisione di due membri dell'etnia in una fabbrica di giocattoli a Shaoguan, nel sud della Cina, sospettati ingiustamente di aver violentato una giovane. I protagonisti della spedizione punitiva contro i due uiguri erano appartenenti alla maggioranza etnica Han, il ceppo maggioritario in Cina. La polizia attaccava la manifestazione di Urumqi e i dimostranti si difendevano dando origine a violenti scontri. L'episodio innescava la rivolta degli Uiguri, alcune migliaia di persone scendevano in piazza e affrontavano gli agenti; la rivolta era soffocata nel sangue dalla cricca revisionista e fascista di Pechino. Stando a quanto reso noto dall'agenzia di Stato cinese Xinhua, il bilancio degli scontri è di 156 morti, oltre 900 feriti e più di 1.400 dimostranti arrestati. Fra i morti e i feriti anche diversi di etnia Han e solo di loro erano le immagini diffuse dalla televisione statale, quasi a sollecitare una vendetta della maggioranza cinese. Il 6 luglio nella città di Kashagar, alcune centinaia di uiguri tentavano di manifestare nella piazza centrale ma erano disperse dalla polizia. Il 7 luglio mentre almeno 200 dimostranti uiguri, in maggioranza donne, manifestavano nel capoluogo di provincia chiedendo la liberazione degli arrestati, in un'altra parte della città alcune centinaia di manifestanti di etnia Han armati di bastoni e coltelli, una volta bloccati dalla polizia nel tentativo di raggiungere la piazza centrale si dirigevano verso i quartieri uiguri, distruggendo alcuni negozi. Il governo regionale proclamava il coprifuoco. A Urumqi, grazie alla migrazione favorita dal governo di Pechino negli ultimi anni che ha rapidamente modificato gli equilibri demografici con la popolazione di origine etnica locale, quasi il 70% della popolazione è di etnia Han cosiccome il 40% dei 20 milioni di abitanti della regione, nella quale la minoranza degli 8 milioni di uiguri, turcofoni e di religione musulmana, rischia di diventare minoranza anche nella sua terra. La Regione Autonoma del Xinjiang è la più grande regione della Cina, una vasta regione montuosa e desertica ma che possiede, nel bacino del Tarim, la principale riserva di idrocarburi del paese. Una ricchezza sfruttata dal governo centrale a sostegno del vorticoso sviluppo economico capitalista della Cina e con nessuna ricaduta sulla popolazione locale. Di pari passo con la repressione delle spinte autonomiste regionali nate a partire dal 1990, ulteriormente rafforzata dopo gli attentati terroristici dell'11 settembre 2001 negli Usa, in nome della "lotta al terrorismo". Repressione delle minoranze etniche e sollecitazione del nazionalismo Han, l'etnia che rappresenta il 95% della popolazione cinese, sono fra le armi usate per creare la confuciana "società armoniosa" capitalista e imperialista dalla cricca revisionista e fascista di Pechino. Che rischia di vedersi scoppiare tra le mani la questione delle minoranze nazionali, risolta nella Cina socialista di Mao. Da registrare che mentre Pechino reprimeva nel sangue la rivolta degli uiguri a Roma, il 6 luglio, il presidente cinese Hu Jintao, in visita di Stato in Italia, riceveva un semplice buffetto da Giorgio Napolitano che si limitava a sottolineare come "lo sviluppo e il progresso economico e sociale che si stanno realizzando in Cina (sic!) pongono nuove esigenze in materia di diritti umani". La delegazione guidata da Hu Jintao era composta anche da 300 capitalisti che incontravano i colleghi italiani, fra i quali quelli della Fiat, e firmavano accordi economici del valore di due miliardi di dollari. 8 luglio 2009 |