Pepino annuncia le dimissioni se il Csm non mette in discussione le risoluzioni che coinvolgono Berlusconi Il consigliere del Csm accusa Mancino per aver impedito fin qui l'esame dei pareri riguardanti il premier e il suo governo I lavori del Consiglio superiore della magistratura (CSM) si sono conclusi tra arroventate e aspre polemiche che hanno animato i dibattiti di fine luglio e del mese di agosto. Non sterili polemiche, ma interventi ben precisi offerti da diversi giudici del CSM sempre più critici nei confronti della doppia direzione dell'organo di "autogoverno" della magistratura, e cioè del vicepresidente del CSM Mancino (PD) e di Vittorio Emanuele Napolitano. Ne è dimostrazione l'intervento continuo, che più volte si è trasformato in vera e propria interferenza da parte del presidente della Repubblica, sul CSM, velato opportunamente dalla solita scusa scolpita nella ridondante frase "bisogna abbassare i toni della polemica", infarcita dal monito di collaborazione interistituzionale tra magistratura e governo del neoduce Berlusconi; tradotto: cari giudici non disturbate il manovratore. Monito cui fortunatamente sono stati allergici i magistrati del CSM che, dopo aver espresso una sonora bocciatura dell'impianto e dei contenuti della controriforma Alfano del processo penale, dichiarandola alfine incostituzionale, hanno espresso forti dubbi sul rimandare in continuazione la trattazione di importanti e delicate risoluzioni che coinvolgono il governo e in particolare il suo premier nero. A scatenare l'ultima bagarre è stata proprio la sortita di Napolitano (che per la Costituzione è anche presidente del CSM) all'organizzazione interna del Consiglio, imbrigliata, a suo dire, nelle troppe pratiche a tutela dei magistrati aperte dalla Prima Commissione: una situazione che ha costretto il CSM a modificare il proprio regolamento, istituendo un filtro per tali pratiche che consentirà di portare in plenum solo quelle meritevoli di attenzione. Un argomento che ha creato malumori tra i giudici tanto che un consigliere, il togato Livio Pepino (Magistratura Democratica), ha addirittura minacciato le dimissioni. Difatti, secondo il giudice vi sono sei di quelle pratiche, tra le quali quelle riguardanti gli attacchi ai giudici della Cassazione alle prese con il caso Englaro o a tutela dei giudici del processo Mills attaccati dal premier, che dovevano essere trattate prima della pausa estiva, ma per una serie di situazioni, complice proprio il nuovo regolamento voluto dall'alto da Napolitano, sono slittate a settembre. Pepino ha criticato questo tipo di svolgimento dei lavori annunciando che, alla ripresa dopo la pausa estiva, non parteciperà più alle sedute fino a quando le pratiche non saranno poste all'ordine del giorno: "pur in questo chiaro quadro normativo - ha affermato il consigliere togato -, da oltre un anno non vengono poste all'ordine del giorno del plenum le risoluzioni predisposte dall'apposita commissione "a tutela" del pubblico ministero milanese titolare delle indagini sul sequestro dell'imam Abu Omar e dei magistrati preposti al processo a carico dell'avvocato Mills per corruzione in atti giudiziari (in cui, prima dello stralcio imposto dal 'lodo Alfano', era imputato anche il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi), sottoposti a pesanti campagne mediatiche tese a mettere in dubbio la neutralità e l'integrità professionale. E da mesi subiscono la stessa sorte altre analoghe pratiche tra le quali quelle a tutela dei magistrati della Corte di cassazione chiamati a decidere sul fine vita di Eluana Englaro definiti, alla vigilia della decisione, 'potenziali assassini'". In particolar modo Pepino concentra la sua critica sull'atteggiamento poco collaborativo di Mancino che anzi sembrerebbe ostacolare il normale prosieguo dei lavori del CSM: "La sottrazione di tali pratiche alla doverosa discussione è stata motivata dal vicepresidente dapprima con ragioni di 'opportunità temporale' (dovendosi evitare interferenze con i procedimenti ancora in corso), poi con l'esigenza di attendere la modifica del regolamento in corso di approvazione, infine con la necessità di una 'rimeditazione' all'esito della modifica regolamentare". Il consigliere minaccia le sue dimissioni alla ripresa autunnale dei lavori affermando che è a rischio l'indipendenza della magistratura e dello stesso CSM. La forma di protesta sta via via prendendo forma tra i consiglieri, in un clima sempre più rovente a Palazzo dei Marescialli, sede del CSM. Il togato Mario Fresa (Movimento per la Giustizia), ha sottolineato come "l'autonomia e l'indipendenza della magistratura siano messe in pericolo da dichiarazioni improvvide, a maggior ragione se provengono da politici importanti". Prima di lui, a giugno, tre consiglieri (i togati Ezia Maccora e Giuseppe Maria Berruti e il laico Vincenzo Siniscalchi (PD) si erano dimessi dalla Commissione per gli incarichi direttivi in polemica con Alfano che in un'intervista aveva parlato di una pianificazione di nomine lottizzate ai vertici degli uffici giudiziari da parte del CSM, cioè di una spartizione dei ruoli chiave tra le correnti della magistratura; con quelle parole il Ministro ci ha accusato di condotte illecite, avevano spiegato motivando il loro gesto. Con loro si erano schierati la gran parte dei consiglieri (che in una nota avevano accusato Alfano di grave scorrettezza istituzionale), e numerosi capi di uffici giudiziari che avevano stigmatizzato l'intervento del ministro di Giustizia di delegittimare gli stessi magistrati nominati dal CSM (le dimissioni furono poi respinte da Napolitano). 9 settembre 2009 |