Crollano gli occupati a tempo pieno e a tempo indeterminato Più di tre milioni i disoccupati Nella seconda metà del 2013 585 mila occupati in meno, di cui 335 mila al Sud Senza lavoro 4 giovani su 10 Altro che "crescita anemica" come l'ha definita il premier Letta; altro che "economia in ripresa" di cui ciancia il ministro dell'Economia Saccomannni; i numeri e le statistiche elaborate dai maggiori istituti di ricerca dicono esattamente il contrario, ossia che le condizioni di lavoro e di vita della stragrande maggioranza delle famiglie sono ulteriormente peggiorate e che la crisi economica e finanziaria capitalistica continua a picchiare duro e a mietere nuove vittime soprattutto tra le file delle masse popolari e operaie. L'Istat ha certificato il nuovo record di disoccupazione schizzato nel mese di luglio al 12% con un aumento su base annua di 1,3: tradotto in termini assoluti, vuol dire che il numero dei disoccupati ufficialmente censiti sono oltre 3 milioni e 76 mila e nel corso dell'ultimo semestre sono aumentati di ben 585 mila unità. I più colpiti sono i giovani e in particolare le ragazze del Sud dove risultano essere senza lavoro 4 giovani su 10 mentre gli altri sei "fortunati" tirano a campare con lavoretti precari, malpagati, supersfruttati e senza nessuna tutela sindacale e sanitaria. Cifre e condizioni di vita e di lavoro insostenibili che tra l'altro sono ampiamente sottostimate e che quindi rispecchiano solo parzialmente la drammatica situazione economica italiana sistematicamente edulcorata dalle statistiche ufficiali che usano criteri di calcolo e parametri di valutazione del tasso di disoccupazione rigidamente fissati su standard europei e che non permettono di mettere a fuoco la vera realtà. Basti pensare che oltre il 55,7% dei disoccupati sta cercando lavoro da almeno un anno e molti altri, non trovandolo, hanno già lasciato perdere, sono i cosiddetti "scoraggiati" che le statistiche non prendono nemmeno in considerazione. Non a caso l'Istat calcola che in quasi otto casi su dieci la crescita della disoccupazione riguarda le persone in cerca di lavoro da almeno 12 mesi. L'incidenza della disoccupazione di lunga durata (dodici mesi o più) sale dal 53,1% del secondo trimestre 2012 all'attuale 55,7%. Ancora peggio il tasso di disoccupazione giovanile: 39,5% (4,3 punti in più rispetto al 2012). Nel secondo trimestre sale al 37,3% tra i 15-24enni, con un picco del 51% tra le ragazze del Mezzogiorno dove il tasso di disoccupazione sfiora il 20% (in tre regioni è sopra al 21: Campania, Sicilia e Calabria). In Calabria, nella fascia tra i 15 e i 64 anni, lavorano meno di 4 persone su 10 (in Italia il tasso di occupazione è al 55,9%, lavorano 22 milioni 509 mila persone). Crolla di conseguenza anche il numero complessivo degli occupati, soprattutto nel Sud: nel secondo trimestre del 2013 in Italia sono diminuiti di 585 mila unità, tra cui 335 mila nel mezzogiorno. La riduzione riguarda soprattutto gli uomini (401 mila posti di lavoro in meno), un po' meno le donne (184 mila posti di lavoro in meno). Il calo di lavoro interessa tutti i settori. Industria: meno 2,4% (111 mila operai). Edilizia: meno 12,7% (230 mila edili). Terziario: meno 1% (154 mila impiegati). A farne le spese sono anche molti lavoratori immigrati per i quali continua la tendenza avviata nel 2009 che vede diminuire anche il tasso d'occupazione di manodopera straniera, passata dal 61,5% del secondo trimestre 2012 all'attuale 58,1%. Il tasso di disoccupazione degli stranieri ha ormai raggiunto il 17,9%. Interessante anche lo studio inerente le tipologie contrattuali. Crolla il numero degli occupati a tempo pieno (meno 3,4%, pari a 644 mila persone), e tra questi la metà avevano un contratto a tempo indeterminato. Sono sempre in aumento gli occupati a tempo parziale, anche se meno che in passato (più 59 mila), ma lo stesso Istat sottolinea che questo è un dato poco rassicurante dal momento che si tratta di lavoratori a cui è stato imposto il part time "involontario", cioè la riduzione dello stipendio. Si tratta dei cosiddetti "lavoratori sottoccupati part time", coloro che accettano di lavorare meno ore (16) in mancanza di posti a tempo pieno (in media 35 ore). Una condizione che riguarda il 2,4% della forza lavoro in Italia e che negli ultimi 5 anni ha raggiunto le 605 mila unità. Di questo passo il posto di dipendente a tempo pieno e indeterminato e che fino a pochi anni fa era la norma contrattuale più diffusa, sarà presto soppiantato da posizioni contrattuali totalmente precarie che l'Istat definisce "atipici", "non standard" o "parzialmente standard". I dati diffusi dall'Istituto rivelano infatti che gli abitanti in Italia con contratti a tempo indeterminato e a pieno compenso sono dodici milioni, cioè un residente su cinque e il 53,6% degli occupati. È un gruppo che si restringe: erano il 57% nel 2005, da allora non hanno mai smesso di diminuire e nell' ultimo hanno perso più di circa 300 mila unità. Intorno a loro crescono i part-time, spesso involontari, e i contratti cosiddetti "atipici", mentre l' esplosione da quattro a cinque milioni nel numero di partite Iva dal 2007 al 2012 spesso maschera forme di lavoro dipendente senza assunzione. In molte aziende private non è raro che a un lavoratore venga imposto il licenziamento da dipendente per poi riutilizzarlo con le stesse mansioni come artigiano con partita Iva. Lo stesso Isfol, una struttura del ministero del Lavoro, ammette che oggi solo il 16% dei nuovi contratti firmati sono a tempo indeterminato e molti non lo diventeranno mai. 2 ottobre 2013 |