In linea con l'attacco del governo all'art. 41 della Costituzione e al diritto del lavoro L'accordo di Pomigliano introduce le relazioni industriali del regime neofascista I padroni vogliono avere completa mano libera per sfruttare i lavoratori. Il PD è d'accordo La Fiom non firma e programma 8 ore di sciopero La Fiom non si è piegata. Ha respinto il brutale e vigliacco ricatto dell'amministratore delegato Sergio Marchionne: o firmate questo piano industriale con tutti gli obblighi e le imposizioni in esso contenute, senza cambiare una virgola o chiudo lo stabilimento della Fiat di Pomigliano, porto la produzione in Polonia e metto sulla strada 5 mila lavoratori (senza contare gli altri 10 mila dell'indotto). Ha resistito alle pesantissime minacce rivolte dal governo, con in testa i ministri Sacconi e Tremonti e dalla Confindustria di Emma Marcegaglia: o firmate la proposta del vertice della Fiat o sarete fuori gioco, isolati, emarginati. Non si è fatta influenzare nemmeno dal fatto che gli altri sindacati (complici e collaborazionisti Cisl, Uil, Ugl, Fismic) hanno sottoscritto tutto senza battere ciglio. La Fiom, nella riunione del Comitato centrale del 14 giugno, ha detto no al piano della Fiat. Lo ha fatto con un documento articolato, approvato all'unanimità, dove sono spiegati motivi di questo rifiuto e dove sono avanzate delle proposte per riaprire la trattativa. La Fiom contesta anzitutto il metodo ricattatorio e autoritario della Fiat: cioè l'aver condizionato l'investimento di 700 milioni di euro per produrre la nuova Panda nel 2012 a Pomigliano all'accettazione di una proposta non negoziabile. Proposta che delinea un nuovo sistema di utilizzo degli impianti e di organizzazione del lavoro in stridente deroga al contratto nazionale di lavoro. Eccone una sintesi: si lavora 24 ore su 24 per sei giorni alla settimana; i turni passano a 18 settimanali con l'utilizzo fisso del sabato; lo straordinario obbligatorio passa da 40 a 120 ore annue con possibilità per l'azienda di comandarlo come 18° turno, nella mezz'ora di pausa mensa, nei giorni di riposo, per recuperi produttivi anche dovuti a non consegne delle forniture; le pause sui montaggi si riducono da 40 a 30 minuti giornalieri; si può derogare al riposo di almeno 11 ore previste per legge da un turno all'altro per il singolo lavoratore; l'azienda può decidere di non pagare il trattamento di malattia contrattualmente previsto a suo carico; l'azienda può modificare le mansioni del lavoratore senza rispettare il principio dell'equivalenza delle mansioni; l'azienda ricorre per 2 anni alla Cigs per ristrutturare senza rotazione, con l'obbligo del lavoratore alla formazione senza integrazione al reddito. E non è tutto. Il piano della Fiat contiene un sistema di abnormi e inaccettabili sanzioni nei confronti delle organizzazioni sindacali, delle Rsu e dei singoli lavoratori che cancella il diritto alla contrattazione collettiva "fino a violare la nostra Costituzione in materia di diritto di sciopero e licenziabilità". "La scelta della Fiat - si legge nel testo - segna un passaggio di fase radicale nel sistema delle relazioni industriali affermando il superamento dell'esistenza del Contratto nazionale e assume una valenza generale che coinvolge l'intera categoria". Se si afferma il principio che per investire è necessario derogare al Contratto collettivo nazionale di lavoro (Ccnl) e alle leggi, sostiene in sostanza la Fiom, si apre una voragine che indica quale uscita dalla crisi la riduzione dei diritti e "una modifica di fatto della Costituzione sociale e materiale". Le deroghe richieste al Ccnl e alle leggi del lavoro che toccano persino garanzie costituzionali, la messa in discussione di diritti fondamentali individuali e collettivi dei lavoratori, come il diritto di sciopero e la tutela da licenziamenti "illegittimi", il diritto al riposo e alla salute, non possono essere materia di contrattazione di una vertenza aziendale. Ecco perché il Comitato centrale Fiom ha approvato la scelta della segreteria di non firmare il testo proposto dalla Fiat. L'incontro dell'11 giugno Facendo un passo indietro, venerdì 11 giugno c'era stato l'incontro tra vertice Fiat e le rappresentanze dei sindacati metalmeccanici. In tale incontro non c'è stata alcuna trattativa. Marchionne ha presentato il suo documento, un testo di 8 pagine e preteso semplicemente un sì o un no, sotto il ricatto di chiudere Pomigliano (come ha già deciso di fare con Termini Imerese) e portare all'estero la produzione. I sindacati filogovernativi e filopadronali Cisl, Uil, Fismic e Ugl sono scattati sull'attenti e hanno firmato, magnificando le prospettive dell'accordo e nascondendo i sacrifici imposti ai lavoratori. La Fiom si era presentata a questo appuntamento con questa posizione: l'investimento promesso dalla Fiat per Pomigliano deve essere fatto, la produzione deve essere rilanciata, l'occupazione salvaguardata; il piano di Marchionne così come è stato presentato non può essere accettato perché prevede inaccettabili deroghe al contratto nazionale e alle leggi sul lavoro; la Fiom è però disponibile, nell'ambito delle norme del Ccnl, a trattare di flessibilità oraria e di utilizzo degli impianti per ottenere l'aumento della produzione delle auto che l'azienda intende realizzare. Una posizione questa, di cui non si conoscono i particolari, di compromesso particolarmente scivolosa che inevitabilmente comporta sacrifici e rinunce da parte dei lavoratori, che non è certo dove possa portare; comunque totalmente ignorata da Marchionne. Il quale "stranamente" ha scartato la via dell'accordo separato con i sindacati che ci stanno (negli ultimi anni ne sono stati firmati a bizzeffe) e pretende l'adesione anche della Fiom per procedere nel piano stabilito. Se la Fiom non firma, ha detto, su di essa ricade la responsabilità della chiusura di Pomigliano. No, se Pomigliano chiude la responsabilità è della Fiat e di nessun altro. Il piano fascista di Marchionne Che avverrà nel nuovo incontro del 15 giugno promosso dalla Fiat? Riuscirà la Fiom a tenere la posizione assunta dal Comitato centrale? La Cgil di Epifani si barcamena ma in definitiva è per firmare il documento Marchionne, magari chiedendo il referendum tra i lavoratori interessati che sotto ricatto occupazione non potranno che ingoiare il rospo e dire sì. Il PD di Bersani in modo più esplicito afferma che la chiusura di Pomigliano va evitata a qualsiasi costo e a qualsiasi prezzo, che la competitività deve avere la priorità sui diritti dei lavoratori. Dunque va bene il piano Marchionne. Il nostro auspicio è invece che la Fiom non ceda. Perché la posta in gioco è troppo alta e va ben al di là di quella, pur importante, che si sta giocando a Pomigliano. Coinvolge tutti i lavoratori del gruppo Fiat, tutti i metalmeccanici, tutti i lavoratori delle altre categorie. Coinvolge principi di libertà e di democrazia già ridotti a lumicino nel nostro Paese. Il rischio è un ritorno indietro di 80 anni, al tempo del fascismo mussoliniano, se non a fine '800 quando non esisteva nessuna legislazione del lavoro. "Siamo convinti che le condizioni dettate dalla Fiat - ha commentato un operaio di Pomigliano - ci azzerino i diritti. Diventeremo schiavi senza catene: Vogliamo lavorare, ma a condizioni che rispettino i nostri diritti". C'è in gioco quella "svolta storica", ovviamente in senso negativo, di cui va cianciando il ministro berlusconiano Sacconi nel campo delle relazioni sindacali, che passerebbero, come ama dire dal conflitto alla complicità tra capitale e lavoro, dalla lotta di classe alla collaborazione tra le classi, in nome degli interessi nazionali supremi, leggi della classe dominante borghese. Le deroghe contenute nel piano della Fiat, se ne sono contate ben otto: con un solo colpo mettono in mora il contratto nazionale collettivo di lavoro, lo "Statuto dei lavoratori", il diritto del lavoro e parti della Costituzione. E non vanno viste come un episodio isolato, si inseriscono all'interno di un piano che fa tabula rasa dei diritti dei lavoratori, delle relazioni sindacali e dell'agibilità dei sindacati così come sono conosciuti sinora. Fanno parte di esso il nuovo modello contrattuale padronale e corporativo, la legge sull'arbitrato che aggira l'art. 18 e facilita i licenziamenti, il progetto di legge che Tremonti si appresta a presentare per modificare l'art. 41 della Costituzione per cancellare qualsiasi vincolo legato "alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana", è scritto nel suddetto articolo, anche formale alla libertà d'impresa. Dare ai capitalisti piena mano libera di sfruttare i lavoratori, senza "lacci e lacciuoli" è il senso della proposta di Tremonti. Marchionne vuole imporre il modello contrattuale e sindacale liberista operante negli Usa? Non è esatto. In Italia si tratta di relazioni industriali e sindacali da regime neofascista, che si formano in coincidenza col piano del neoduce Berlusconi di realizzare la terza repubblica capitalista, neofascista, presidenzialista, federalista, interventista, razzista e xenofoba. Intanto va registrata con favore la decisione della Fiom di proclamare 8 ore di sciopero il 25 giugno per tutta la categoria nell'ambito dello sciopero generale Cgil "per i diritti e la democrazia", contro la scelta della Fiat di imporre le deroghe al contratto nazionale; le misure inique del governo che scarica la crisi su lavoratori e pensionati, l'attacco all'art. 41 in nome della piena libertà d'impresa; l'attacco generalizzato ai diritti dei lavoratori, alla libertà stampa, all'autonomia della magistratura. Non bisogna lasciare la piazza. Occorre un nuovo 25 Aprile per liberarsi del nuovo Mussolini. L'unico modo per arrestare la macelleria sociale e lo spostamento ancora più a destra dell'Italia in camicia nera. 16 giugno 2010 |