La posizione del PMLI sul "reddito di cittadinanza"
(la sua matrice liberal-riformista) Noi marxisti-leninisti siamo contrari alla proposta del governatore della regione Campania, il Bossi del Sud Antonio Bassolino, per l'introduzione di un "reddito di cittadinanza". Così come nel passato abbiamo rifiutato proposte simili come il "reddito minimo garantito" nella versione più di destra, o al "salario sociale" nella versione più di "sinistra". A questo proposito, nell'appello dell'8 Marzo 1989 dell'Ufficio politico del PMLI che aveva come titolo "Ragazze e ragazzi siate gli alfieri della lotta per il socialismo", stava scritto: "Per tutti i disoccupati, compresi i giovani in cerca di prima occupazione, occorre rivendicare un'indennità di disoccupazione pari al salario medio degli operai dell'industria indicizzato. Ciò - proseguiva - non ha niente a che vedere col `reddito minimo garantito', ultimamente rispolverato dai riformisti di destra e di `sinistra', poiché esso si risolve nell'istituzionalizzazione del mercato della disoccupazione, nel sabotaggio del movimento del lavoro, in assistenzialismo e, comunque, in sottosalario". Siamo i primi a denunciare la disoccupazione endemica, il "lavoro nero" a livello di massa e l'espansione abnorme del lavoro precario e supersfruttato; fenomeni che hanno conosciuto un aggravamento sia con i governi di "centro-sinistra" che con quelli del neoduce Berlusconi. Siamo i primi a condannare la privatizzazione dei servizi previdenziali, sanitari, assistenziali e sociali, ivi compresa la scuola e l'università, con il conseguente abbattimento di ciò che è rimasto dello "Stato sociale". Siamo i primi a rilevare un ulteriore peggioramento delle condizioni economiche e sociali del Mezzogiorno. Lo stesso facciamo riguardo all'incremento del caro vita e alla perdita del potere di acquisto dei salari e delle pensioni. Il tutto con una crescita delle povertà vecchie e nuove per i senza lavoro, per i soggetti a basso reddito per i giovani che studiano, o sono in cerca di occupazione, per gli anziani bisognosi di assistenza e cure. Noi però non pensiamo affatto che la strada da battere sia quella del "reddito di cittadinanza" e delle sue varianti ("reddito minimo d'inserimento", "salario sociale"). La natura di questa proposta è riformista borghese, con un taglio liberale o socialdemocratico. Consideriamo ingannatorie e per certi versi demagogiche le teorizzazioni che fanno loro da sfondo elaborate dai DS e dal PRC in particolare. Che stringi stringi, concretamente, si riducono a un mero sussidio di povertà, a una semplice elemosina di Stato incapace di garantire il lavoro a tutti e sono conseguenza di una più generale controriforma sociale e del "mercato del lavoro" neoliberista. Il caso della Campania salta agli occhi: nonostante che alla Regione ci sia un governo di "centro-sinistra" le condizioni di vita e di lavoro della masse popolari sono rimaste drammatiche. Come si fa a sostenere che il "minimo vitale" va considerato un "diritto di cittadinanza" in più da aggiungere al diritto al lavoro, alla salute, all'istruzione, alla pensione, quando questi non sono affatto garantiti a tutti? E che dire della tesi: "redistribuire la ricchezza per cambiare la vita"? Fermo restando il capitalismo, il suo modo di produzione borghese, le "leggi del mercato", non si può che strappare delle briciole ai profitti, in ogni caso non si può cambiare qualitativamente il rapporto tra sfruttatori e sfruttati. Mettere l'accento sul "reddito minimo", di fatto, come una indennità alla povertà e/o come strumento all'avviamento di un lavoro precario (vedi tutta la vicenda dei "lavori socialmente utili", "dei "lavori di pubblica utilità", ma anche i "contratti formazione-lavoro" possono rientrare in questa logica) è fuorviante. Si tratta di una posizione capitolazionista e rinunciataria rispetto alla lotta che si deve fare per il lavoro, il salario, la pensione, la formazione, i diritti sociali e assistenziali e contro gli squilibri territoriali. Non per caso, la suddetta proposta non proviene dalla tradizione del movimento operaio e comunista (vedi l'articolo a parte sulla storia del Reddito di cittadinanza). Persino il PCI revisionista e la Cgil, fino a metà degli anni '80 lo rifiutavano. Rinunciare alla prospettiva del socialismo come hanno fatto i DS (in maniera aperta), il PRC e il PdCI (in maniera contorta e mascherata) comporta inevitabilmente il rientro in una logica riformista e parlamentarista più o meno moderata, più o meno economicista e movimentista. Con i suoi riflessi sulla piattaforma rivendicativa che essi portano avanti. Viceversa, il PMLI nella strategia e nella lotta per il socialismo inquadra le rivendicazioni immediate e sintetizzate nel suo Programma d'azione. Rivendicazioni che, per restare in tema, chiedono il lavoro per tutti i disoccupati e i lavoratori stabile, a salario intero, a tempo pieno e sindacalmente tutelato, l'opposizione strenua al lavoro precario, l'abrogazione della legge n.30/2003, lo sviluppo del Mezzogiorno almeno al pari degli standard raggiunti al Centro-Nord del Paese, piani straordinari per l'occupazione per i giovani, le donne, i disabili e i disoccupati di lunga data, un servizio sanitario pubblico e gratuito in tutto il territorio nazionale, una scuola e una università pubbliche, gratuite e governate dalle studentesse e dagli studenti, un sistema previdenziale nazionale pubblico, universale, unificato, a ripartizione, fondato sulla contribuzione obbligatoria e con una tassa sui profitti dei capitalisti, pensioni alte sia da lavoro, sociali che di invalidità, case e affitti a prezzi popolari. Inoltre, forti aumenti salariali, sganciati dalla "politica dei redditi" e dalle compatibilità economiche capitalistiche, ripristino della scala mobile, un fisco che, salvaguardando il principio della progressività, alleggerisca le tasse ai lavoratori dipendenti e le aumenti ai possessori di rendite e patrimoni, la riduzione dell'orario di lavoro settimanale a 35 ore a parità di salario. In seconda battuta, e solo in seconda battuta, si chiede una indennità di disoccupazione pari al salario medio degli operai dell'industria per un periodo non inferiore a tre anni. Indennità che deve essere estesa anche ai giovani in cerca di prima occupazione. Così come chiediamo per le casalinghe senza reddito la pensione sociale, debitamente innalzata, a partire dai 55 anni. Questo comporta una lotta dura e prolungata e di massa contro il neoliberismo economico, il federalismo, le privatizzazioni, il disimpegno dello Stato dal sociale. Basta con teorie del tipo: "meno Stato e più mercato"; basta con slogan del tipo "privato è meglio del pubblico". Questo comporta una politica finanziaria, economica e sociale con al centro il soddisfacimento dei bisogni economici, sociali, previdenziali, assistenziali e formativi della classe operaia e delle masse lavoratrici, disoccupate e popolari.
10 marzo 2004 |