Richiesta della Procura di Palermo per la trattativa Stato-mafia "Processate Mancino e Dell'Utri" Coinvolti anche i boss Riina, Provenzano e Bagarella, Brusca e Cinà, oltre agli alti ufficiali Mori, Subranni e De Donno e l'ex ministro Mannino Nonostante gli intollerabili attacchi e i ripetuti tentativi di insabbiare l'inchiesta orchestrati dal Quirinale, il 24 luglio la Procura di Palermo ha chiesto il rinvio a giudizio per le 12 persone iscritte nel registro degli indagati nell'ambito dell'inchiesta sulla trattativa Stato-mafia che tra il 1992 e il 1993 vide i massimi vertici delle istituzioni scendere a patti e sedere allo stesso tavolo della mafia. Tra gli imputati spicca l'ex ministro degli Interni, il democristiano Nicola Mancino, che deve rispondere di falsa testimonianza in ordine alla sua audizione al processo Mori-Obinu del 24 febbraio scorso. Mancino tra l'altro è l'istigatore principale del violento attacco mosso dal rinnegato Napolitano contro la procura di Palermo rea di aver intercettato le inconfessabili conversazioni del capo dello Stato che, tramite il suo consigliere giuridico Loris D'Ambrosio deceduto improvvisamente nei giorni scorsi, cerca in tutti i modi di sottrarre Nicola Mancino dalle grinfie dei Pubblici ministeri (Pm) palermitani. Mancino, sottolineano tra l'altro i Pm nella richiesta di rinvio a giudizio: "Deponendo al processo Mori anche al fine di assicurare ad altri esponenti delle istituzioni l'impunità ha affermato il falso e comunque taciuto in tutto o in parte ciò che sapeva". Per tutti gli altri imputati l'accusa è di attentato a corpo politico dello Stato a cominciare dall'altro ex ministro democristiano e tutt'ora senatore, Calogero Mannino, dal cofondatore insieme a Berlusconi di Forza Italia, Marcello Dell'Utri, dagli alti ufficiali del Ros Mario Mori, Giuseppe De Donno e Antonio Subranni fino ai boss di Cosa Nostra Salvatore-Totò Riina, Nino Cinà, Bernardo Provenzano, Leoluca Bagarella e Giovanni Brusca. Mentre Massimo Ciancimino, figlio di don Vito, è accusato di concorso in associazione mafiosa e calunnia all'ex capo della polizia Gianni De Gennaro. Nella richiesta di rinvio a giudizio si legge fra l'altro che tutti coloro che parteciparono alla trattativa "hanno agito per turbare la regolare attività dei corpi politici dello Stato" e "in concorso con l'allora capo della polizia Parisi e il vice direttore del Dap Di Maggio, deceduti" per ammorbidire la lotta dello Stato contro la mafia revocando centinaia di 41 bis. I Pm sono altresì convinti che la trattativa è stata avviata da Mannino, poi dai carabinieri del Ros e infine dal senatore Dell'Utri anello di congiunzione fra i boss e il capo del governo Berlusconi. La richiesta di rinvio a giudizio è stata controfirmata anche dal procuratore capo Francesco Messineo, che invece non aveva firmato l'avviso di conclusione delle indagini. Secondo la ricostruzione del procuratore aggiunto Antonio Ingroia e dei sostituti Antonino Di Matteo, Lia Sava e Francesco Del Bene, il primo contatto con Cosa Nostra è stato cercato da Mannino, il quale, subito dopo l'omicidio di Salvo Lima (l'europarlamentare siciliano, luogotenente di Andreotti assassinato il 12 marzo del 1992) era impaurito dall'offensiva mafiosa nei confronti dei politici rei di non aver saputo bloccare le sentenze del maxi processo. La trattativa è stata poi portata avanti da Mori e De Donno che incontrarono più volte l'ex sindaco democristiano di Palermo, Vito Ciancimino, per arrivare a Riina. Mentre sul versante politico-istituzionale la trattativa tra Stato e mafia è proseguita fino al novembre del 1993, quando l'allora guardasigilli Giovanni Conso non rinnovó oltre 300 provvedimenti di 41 bis per detenuti mafiosi, e ha raggiunto l'apice nel 1994 quando Bagarella e Brusca, luogotenenti di Riina (arrestato un anno prima) "prospettarono al nuovo capo del governo in carica Silvio Berlusconi, per il tramite di Dell'Utri e Vittorio Mangano (il famigerato stalliere di Arcore, ndr) una serie di richieste finalizzate ad ottenere benefici di varia natura". Per questi motivi i magistrati considerano reticenti anche le dichiarazioni Conso e dell'ex capo del Dap Adalberto Capriotti, accusati di false informazioni al Pm. Per loro però il codice prevede che il reato contestato rimanga "congelato" fino al primo grado di giudizio dell'indagine principale. Mentre un altro fascicolo di indagini è aperto a carico di altri ufficiali dell'Arma ed esponenti dei servizi segreti, accusati a vario titolo di avere avuto un ruolo nella trattativa. Si tratta dello stesso fascicolo in cui si trovano le intercettazioni delle conversazioni tra Mancino e il capo dello Stato in ordine alle quali Napolitano ha incaricato l'Avvocatura dello Stato di promuovere il conflitto di attribuzione tra poteri davanti alla Consulta, bacchettando la Procura per avere intercettato chi, come il presidente della Repubblica, non può essere ascoltato, se non nei casi previsti dalla Costituzione e solo dopo essere stato rimosso dalle Camere; e per non avere ancora distrutto le conversazioni indebitamente intercettate. L'intervento di Napolitano insomma oggettivamente si propone di mandare in fumo quattro anni di faticose indagini e la possibilità di scoprire finalmente un pezzo importante di verità su una delle pagine più sanguinose della storia recente del nostro Paese . Altro che garante dei "diritti democratici e costituzionali", il nuovo Vittorio Emanuele III che siede al Quirinale deve dimettersi e raccontare tutto ciò che sa su questo scellerato connubio Stato-mafia, sulle stragi di Capaci, Via D'Amelio, Firenze, Roma e Milano e sulle conseguenze che tale strategia ebbe a livello politico e istituzionale. Parallelamente al sabotaggio istituzionale messo in atto dalla Presidenza della Repubblica che ha sollevato un "conflitto di attribuzione dinanzi alla Corte Costituzionale nei confronti della Procura di Palermo"; registriamo frattanto che il sinistro presagio di Ingroia: "Sono diventato un bersaglio. Seguo gli insegnamenti di Borsellino" si è puntualmente materializzato dal momento che a settembre partirà per il Guatemala, "costretto" ad accettare l'offerta delle Nazioni Unite per un incarico annuale di capo dell'unità di investigazione e analisi criminale contro l'impunità nello Stato centramericano. In una intervista a la Repubblica del 29 luglio Ingroia aveva detto che, se "Sulla vicenda della trattativa c'è una ragione di Stato che impedisce l'accertamento della verità sulla base delle ragioni del diritto penale" allora "dalla politica devono venire parole chiare: se si ritiene che debbano essere sottratte alla verifica della magistratura temi o territori coperti dalla ragione di Stato, lo si dica". Evidentemente l'oramai ex procuratore aggiunto di Palermo è stato di fatto minacciato di fare la stessa fine di altri suoi colleghi saltati in aria col tritolo o assassinati a colpi di lupara e si è ritirato in Guatemala. In una intervista a Il Fatto del 29 luglio il "pentito" Gaspare Mutolo, ex autista di Riina, dice: "Adesso a Ingroia lo mandano in Guatemala: lui dice che ha accettato e ci vuole andare. Ma secondo me lui sa che è meglio così, perché ormai è un grande conoscitore della mafia: che deve fare, deve diventare un altro Borsellino o un altro Falcone? Speriamo che le cose cambino, anche se finché ci sono uomini come Dell'Utri e Mannino (assolto per concorso esterno, di nuovo indagato per trattativa) a decidere le cose politiche, non ci sono speranze". 1 agosto 2012 |