Quasi tremila le vittime dell'amianto. Ma fino al 2020 ne moriranno ancora tanti Sotto processo i padroni di Eternit, la fabbrica della morte L'accusa: disastro colposo e omissione colposa di cautele contro gli infortuni sul lavoro. Numerosissime le parti civili che si sono costituite. Il magnate Schmidheiny tenta di cavarsela con un misero indennizzo Una severa condanna aiuterebbe la lotta per ottenere benefici previdenziali e pensionistici per i lavoratori che sono stati a contatto con l'amianto Davvero in tanti sono venuti a questo appuntamento che non è esagerato definire storico. Sono venuti dal Piemonte e dalla Campania, più esattamente dalle località dove per molti anni hanno operato le fabbriche della multinazionale Eternit produttrici amianto: Casale Monferrato (Alessandria), Cavagnolo (Torino), Rubiera (Reggio Emilia), Bagnoli (Napoli), sono venuti da altri paesi europei, Belgio, Francia, Svizzera dove c'erano aziende analoghe e insieme a loro rappresentanti delle istituzioni regionali, provinciali e dei comuni interessati al problema, della Cgil e di associazioni ambientalistiche e legate alla salvaguardia della salute, molte di queste costituitesi parte civile. Si sono dati appuntamento il 6 aprile scorso davanti al Palazzo di giustizia di Torino per partecipare a un presidio di lotta proprio nel giorno di inizio del processo ai padroni della suddetta fabbrica, il miliardario svizzero Stephan Schmidheiny di 61 anni e il barone belga Jean Luis De Cartier, 88 anni. Sono accusati di disastro doloso e omissione colposa di cautele contro gli infortuni sul lavoro. Al presidio c'era anche lo striscione dei lavoratori della ThyssenKrupp. Assente invece il governo del neoduce Berlusconi. Non il ministro Sacconi, né un suo rappresentante. Troppo impegnati a varare la controriforma in materia di sicurezza sul posto di lavoro. Il primo processo in Europa Questo processo penale su questa materia, è il primo in assoluto che si celebra in Europa. Un processo dunque sul quale sono riposte molte attese e che potrebbe fare scuola per il futuro. L'iter per istruirlo è stato lungo e faticoso. Per quattro anni il pm Raffaele Guariniello e i suoi colleghi Sara Panelli e Gianfranco Colace hanno lavorato duramente per sentire tutte le parti interessate, per investigare su eventuali infrazioni di legge e raccogliere tutti gli elementi di prova per istruire il processo che alla fine hanno composto documenti per un totale di 200 mila pagine. Non sarà solo il primo processo del genere ma anche uno dei più grossi mai fatti. Basti dire che per contenere tutte le parti lese interessate al processo il tribunale ha chiesto l'aiuto della protezione civile per allestire tre maxi-aule (una da 700 posti e due di 300 posti ciascuna); basti dire che le parti civili che si sono costituite contro la fabbrica-killer sono 736 le "persone fisiche" e 29 gli enti con in testa le associazioni delle vittime e poi le regioni Piemonte e Campania, le province e i comuni dove erano collocati gli stabilimenti, alcuni sindacati, L'Inail e altri; basti dire che i due imputati si sono portati dietro ben 25 avvocati. La maxi-inchiesta condotta dal tenace e scrupoloso Guariniello per il periodo che va dal 1973 al 1986, anno in cui gli stabilimenti Eternit hanno cessato di produrre amianto, ha portato ad appurare che ben 2.056 persone sono morte di cancro e altre 830 sono affette dello stesso male per aver respirato il micidiale pulviscolo lasciato nell'aria dall'amianto, per un totale di 2.886; ha appurato che questa vera e propria strage non è frutto di fatalità ma vi sono precise e pesanti responsabilità da parte dei proprietari e, sotto di loro dei dirigenti, che sapevano bene la dannosità dei materiali lavorati per gli operai ma anche per la popolazione circostante gli stabilimenti ma non hanno fatto nulla per porci riparo in tempo e in modo efficace. "Gli imputati hanno omesso - scrive Guariniello - di adottare i provvedimenti per contenere l'esposizione all'amianto... Non hanno informato i lavoratori sui rischi di esposizione incontrollata... continuativa e tutt'oggi perdurante". C'è poi l'aggravante di aver venduto, quando non regalato, gli scarti delle lavorazioni, altamente inquinanti e dannosi per la salute, alle persone che li chiedevano per piccoli lavori edilizi, come la coibentazione del tetto e lavori simili. I danni economici richiesti agli imputati si aggirano sui 400 milioni di euro di cui 246 da parte dell'Inail spesi per l'assistenza ai lavoratori che si sono via via ammalati. Un'ecatombe di lavoratori e tra la popolazione La zona più colpita da questa tragedia è senza dubbio Casale Monferrato con le sue 1.378 vittime su una popolazione di 35mila abitanti. Qui si continua a morire di amianto con una media di 55 casi all'anno. Ogni famiglia ha un morto, quando non di più, di amianto da piangere: il marito, il padre, il fratello, la sorella oppure la moglie o la madre solo per avere lavato le tute di lavoro inzuppate di polveri micidiali. Era noto fin dai primi anni '60 che l'utilizzo dell'amianto era altamente cancerogeno, lo confermano alcune sentenze della Corte di Cassazione. Eppure fino a che è stato messo al bando in Italia (legge 257/1992), le fabbriche della morte hanno continuato a produrre amianto in nome del profitto, procurando la strage succitata e quella che proseguirà nei prossimi anni fino al 2020 secondo le stime degli esperti. Questo perché la malattia da esposizione di amianto può rivelarsi, è accertato, anche 10-15-20 anni dopo. La fibra di amianto utilizzata per un infinità di situazioni è stata considerata la sostanza più cancerogena del '900. Essendo molto friabile ed essendo le sue polveri estremamente fini (meno di mezzo millesimo di millimetro di diametro), per coloro che le inalano attraverso la respirazione è probabile, per non dire certo, contrarre malattie croniche come l'asbestosi, oppure il tumore pleurico, o il carcinoma ai bronchi o ai polmoni. Agghiaccianti i dati dell'Ispel (Istituto superiore prevenzione e sicurezza sul lavoro). L'Italia è stata fino alla fine degli anni '80 uno dei maggiori Paesi produttori e importatori di amianto. Dal secondo dopoguerra alla messa al bando del 1992, nel nostro Paese sono state utilizzate più di 20 milioni di tonnellate di amianto, soprattuto nelle attività di coibentazione e produzione di manufatti in cemento-amianto. Ecco perché, sottolinea L'Ispel, tra i paesi occidentali l'Italia è oggi tra i più colpiti dall'epidemia di malattie asbesto-correlate e di casi di tumori al polmone, alla laringe, all'esofago. I tumori da amianto (mesoteliomi) colpiscono 1.350 italiani ogni anno, con un'incidenza pari a circa 3,5 casi ogni 100 mila abitanti negli uomini e a un caso per 100 mila donne. L'uso così massiccio dell'amianto e per tantissime lavorazione pone il problema enorme della bonifica e dello smaltimento su cui si è fatto poco. Cosicché capita ancora di viaggiare in un treno imbottito di amianto oppure di mandare il figlio in una scuola costruita con materiali impastati di amianto. Finalmente i padroni alla sbarra L'Eternit era già andata sotto processo a Casale Monferrato, su denuncia dei sindacati sostenuti dal comune. In quella circostanza però furono processati soli i dirigenti, non i proprietari. Una sentenza del 1993 li condannò a pene che andavano da 6 mesi a 3 anni e mezzo di carcere, ridotti però a pochi mesi con la sentenza di Cassazione. Questo secondo processo, di ben altra portata, porta alla sbarra i potentissimi proprietari della multinazionale dell'amianto. In particolare lo svizzero Stephan Schmidheiny il quale, furbescamente nel frattempo si è messo fuori da Eternit e si è riciclato come ambientalista, promotore e produttore di energie pulite e rinnovabili fino a diventare un consigliere di Clinton quando era alla Casa Bianca e presentarsi come relatore in conferenze organizzate dal Vaticano. Sarà anche per difendere questa nuova immagine che si è costruita addosso, che per ben due volte, ha cercato di trovare un accordo economico con le parti lese per ridurre le dimensioni e così depotenziare il processo istruito da Guariniello. L'ultima offerta, proprio alla vigilia per un totale di 50-70 milioni di euro complessivi. In pratica una somma modesta di 30 mila euro più un ulteriore versamento a favore della ricerca scientifica. In cambio il ritiro della denuncia. "Si tratta di una mano tesa - ha detto senza vergogna un legale del magnate svizzero - l'espressione di un sentimento di solidarietà, come già avvenuto per le vittime dell'amianto in altre parti del mondo, ma che non è affatto - ha aggiunto cinicamente - un'ammissione di responsabilità da parte di Sthepan Schmidheiny, che respinge tutte le accuse". Sembra che ve ne siano di persone interessate ad accettare l'offerta dell'indennizzo. Pensano ai tempi lunghi della giustizia, alla possibilità che i colpevoli trovino comunque la strada per evitare la condanna, magari per prescrizione. Perciò si stanno convincendo che è meglio prendere questi soldi e chiudere la questione. Ma ce ne sono tanti altri che tengono duro, nel senso che non intendono ritirarsi dal processo perché la morte dei loro cari non ha prezzo. Con loro si schierano le associazioni delle vittime e gli enti che si sono dichiarati parti in causa. Nell'esprimere la nostra piena solidarietà a tutti i lavoratori e alle vittime dell'amianto il nostro auspicio è che il processo si faccia, il pm Guariniello possa andare avanti, la verità dei fatti quanto mai evidenti trionfi e i colpevoli siano condannati. Una giusta e severa sentenza di condanna deve rappresentare un doveroso riconoscimento, sia giudiziario che economico, a tutti (lavoratori e non) morti o ammalati sino ad ora e per quelli futuri a causa dell'amianto. Inoltre rappresenterebbe un segnale importante per la ripresa della lotta verso il governo per ottenere adeguati benefici previdenziali e pensionistici ai lavoratori che sono stati a contatto con questo materiale. Rappresenterebbe una spinta poderosa per sviluppare i progetti di bonifica degli ambienti inquinati e di smaltimento dell'amianto eliminato. 29 aprile 2009 |