La diminuzione del fondo sanitario nazionale coperta con altre tasse sul lavoro dipendente Il governo Prodi impone alle regioni in deficit l'aumento dell'addizionale Irpef Il federalismo fiscale annuncia spaventosi tagli sulla sanità in Campania Applicare il federalismo fiscale contenuto nella controriforma costituzionale del titolo V, per non apparire taglieggiatore della sanità e tartassatore dei lavoratori, è uno degli obiettivi a breve termine dell'esecutivo guidato da Romano Prodi. Il concetto alle orecchie dei governatori regionali suona più o meno così: volete mantenere lo stesso livello di prestazioni sanitarie? Non avete altra scelta per sanare il debito pubblico che aumentare le tasse federali, perché il governo non ha alcuna intenzione di aumentare il fondo sanitario nazionale per garantire i cosiddetti livelli minimi ed essenziali di assistenza. La stessa identica litania di Tremonti e Berlusconi che dal 2002 al 2005, secondo la Corte dei conti, ha costretto gli enti locali ad un vero e proprio salasso dei lavoratori del pubblico impiego con il "boom" dell'addizionale Irpef, quella comunale, che ha segnato un + 41,9% con un gettito che è salito a 1.555 milioni di euro, e quella regionale che è aumentata del 29,2% toccando quota 6.430 milioni di euro. All'inizio di giugno, con uno dei primi provvedimenti firmati dal neoministro Padoa Schioppa, il governo ha imposto alle regioni che hanno un deficit nel settore sanitario "fuori controllo", ossia Campania, Lazio, Sicilia, Liguria, Abruzzo e Molise, l'ulteriore aumento dell'addizionale Irpef regionale e dell'Irap (imposta regionale sulle attività produttive), le cui aliquote passano rispettivamente al 1,4% per tutti i redditi (senza progressività dell'imposta) ed al 5,25% per tutte le imprese. Tale aumento sarà congelato soltanto se il governo nell'incontro del prossimo 4 luglio giudicherà "adeguato" il piano dei tagli alle spesa sanitaria predisposto dalle Regioni sotto osservazione. È bene precisare che queste imposte federali, che secondo il governo dovrebbero garantire la tenuta dei sistemi sanitari regionali, permetterebbero alla Campania di rastrellare da imprese e lavoratori circa 150 milioni di euro, pari ad appena 80 euro per abitante. Nel Lazio invece l'aumento di un punto dell'Irap vale da solo 147 euro per abitante mentre circa 79 euro il ritocco Irpef per un totale di 229 euro. Così a conti fatti il Lazio ricaverebbe fondi per la sanità pari a quasi il triplo della Campania! Questo perché a parità di aumento delle aliquote, nelle regioni del centro-nord ci sono molte più imprese, minore è l'incidenza dell'evasione fiscale legata al lavoro nero, e il reddito medio della popolazione è molto più alto che in Campania. Un divario che si accentua esponenzialmente se si considera la situazione della Lombardia o del Veneto, rivelando in tutta la sua crudezza l'intollerabile ingiustizia insita nel federalismo: il beneficio fiscale destinato a finanziare il sistema sanitario diminuisce decisamente dalle regioni più industrializzate a quelle più povere del mezzogiorno, e ciò significa cancellare il principio su cui si fonda il sistema sanitario nazionale, ossia l'universalità e l'uniformità del diritto alla salute e all'assistenza sanitaria in termini di servizi, di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione. Per questo sulla scia della schiacciante vittoria referendaria che ha detto no alla Costituzione del regime neofascista, presidenzialista e federalista occorre dire no anche al federalismo fiscale e battersi per l'abrogazione della controriforma costituzionale del titolo V varata nel 2001 dal "centro-sinistra", rivendicare l'aumento del Fondo sanitario nazionale almeno fino alla media europea, nonché la modifica dei criteri di assegnazione alle regioni delle risorse per la sanità, oggi tarate soltanto sull'età anagrafica della popolazione, affinché si tenga in debito conto l'abisso che divide il Nord dal Sud del paese in campo economico, infrastrutturale, socio-sanitario, eccetera. 12 luglio 2006 |