Non basta definanziarlo Il progetto del Ponte sullo Stretto va cancellato Chiudere la Ponte sullo Stretto Spa. Non pagare alcuna cauzione. Investire i soldi in mobilità pubblica e risanamento idrogeologico Dal nostro corrispondente della Sicilia La recente delibera del CIPE (Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica) del 20 gennaio 2012 ha definanziato il progetto del Ponte sullo Stretto, sottraendogli quel miliardo e 624 milioni assegnatigli nel 2009 dal Berlusconi IV. Una valutazione politica di questo atto del governo Monti va fatta alla luce della storia recente dell'iter burocratico dell'opera, del suo attuale stato e dei recenti decreti di liberalizzazione, riguardanti anche la costruzione e la gestione di opere di interesse pubblico. Va ricordato, anzitutto, che non è la prima volta che il progetto della mostruosa ed inutile opera viene definanziato. È già successo durante il governo del democristiano Prodi, quando il CIPE con delibera del 10 aprile 2006 stabilì in tal senso. Fu l'allora ministro dei Trasporti, Antonio Di Pietro (IdV), insieme all'opposizione di "centro-destra", a battersi in prima persona per mantenere in piedi l'intero apparato della Società Stretto di Messina Spa e il progetto. Inoltre, è presto per abbassar la guardia. Bisogna attendere le prossime tappe dell'iter burocratico che prevede, entro febbraio 2012, il parere del CIPE sul progetto definitivo presentato dalla Stretto di Messina SpA. Il CIPE, dunque, dovrà pronunciarsi e nulla vieta che esprima parere favorevole. Se il megaprogetto speculativo verrà approvato ci sarà il contestuale avvio della gara per il reperimento dei finanziamenti, la stesura del progetto esecutivo e l'apertura dei cantieri principali, ancora prevista a partire dalla metà del 2012. C'è un terzo indizio che ci induce a pensare che il Ponte possa essere un affare lucroso per molti, nonostante il definanziamento pubblico. Basta andare a dare un'occhiata al Decreto legge 24 gennaio 2012, n. 1, "Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività", con cui il governo Monti ha messo in campo una serie di misure per incrementare il project financing e project bond nella costruzione e gestione delle infrastrutture di interesse pubblico. Il project financing, esiste già da oltre un decennio in Italia. Le pubbliche amministrazioni ricorrono a capitali privati per la realizzazione di progetti e infrastrutture ad uso della collettività, concedendo all'investitore privato lo sfruttamento economico dell'opera realizzata. Ora già da tempo le società private in project financing potevano emettere obbligazioni (project bond). Monti rilancia lo strumento di finanza creativa, in due modi: si consente di derogare, ma solo nel caso in cui le obbligazioni siano destinate alla sottoscrizione solo da parte di "investitori qualificati", cioè autorizzati a operare sui mercati finanziari, come banche, assicurazioni, fondi pensione, alla regola dell'articolo 2412 del codice civile, il quale impone di garantire le obbligazioni tramite ipoteca se il loro importo supera il doppio del capitale sociale, della riserva legale e delle riserve disponibili. Inoltre, le obbligazioni possono essere garantite anche durante la fase di costruzione dell'opera, e non solo da quando l'opera entra in esercizio. Gli strumenti per finanziare il Ponte e anche velocemente con fondi privati, trasformando il progetto in una delle più grandi speculazioni finanziarie degli ultimi decenni ci sono tutti. Intanto al pubblico rimangono i 500 milioni di fondi già spesi, il mutuo di 12 milioni acceso poche settimane fa per spostare un chilometro di binari a Cannitello (Reggio Calabria). Noi chiediamo che il megaprogetto speculativo del Ponte non venga approvato, che la Società dello Stretto Spa venga sciolta e che lo Stato non paghi alcuna penale alle imprese aggiudicatrici dell'appalto. Inoltre chiediamo che i 1.624 milioni di euro vengano destinati a risolvere la crisi idrica che affligge la Sicilia e anche la Calabria, a potenziare e modernizzare i trasporti ferroviari e marittimi della Sicilia e della Calabria, ad incentivare gli interventi contro il dissesto idrogeologico, (sono troppo pochi i 670 milioni stanziati il 20 gennaio dal CIPE su questo fronte). Si tratta di rivendicazioni che noi avanziamo da anni e che si sono levate anche dai recenti movimenti di protesta che agitano il Mezzogiorno, troppe volte scippato dei fondi ad esso destinati. Il governo Monti non è diverso da quelli che lo hanno preceduto e sta riducendo all'osso le regioni del Sud. Liberiamoci dal governo della grande finanza della UE e della macelleria, nella consapevolezza che i problemi del Mezzogiorno potranno essere risolti solo nel socialismo. 8 febbraio 2012 |