L'opposizione ancora in piazza a più di un anno dall'inizio delle manifestazioni per le riforme e la libertà 100 mila protestano in Bahrain contro il regime di re Hamad "Il popolo vuole la caduta del regime". "Libertà non formula uno" Almeno 100 mila manifestanti, secondo gli organizzatori, sono scesi in piazza il 20 aprile nella capitale del Bahrain chiedendo "riforme e libertà". La manifestazione si è svolta nel quartiere di Budaya, nella zona ovest di Manama, tenuta sotto stretto controllo dalla polizia che ha sparato granate assordanti e candelotti lacrimogeni sui dimostranti quando uno spezzone del corteo ha tentato di raggiungere Pearl Roundabout, la piazza delle Perle, il luogo nel quale si erano concentrate le proteste iniziate il 14 febbraio 2011 dall'opposizione sciita al regime dittatoriale del re Hamad bin Isa al Khalifa. Il vento delle rivolte arabe era arrivato anche nel Bahrain e aveva alimentato una protesta stroncata dalla repressione del regime di Manama con la collaborazione dei carri armati inviati dall'Arabia Saudita. Hamad bin Isa al Khalifa è alla guida di una monarchia assoluta protetta dall'Arabia saudita e dall'imperialismo americano cui il regime del Bahrain ha concesso a Juffair, alla periferia della capitale Manama, la base navale dalla quale la V Flotta Usa pattuglia e controlla il Golfo Persico e tiene costantemente sotto tiro l'Iran. Molto attenti a denunciare la repressione della rivolta popolare in Siria da parte del regime di Assad, a foraggiare una parte dell'opposizione che faccia loro da sponda per preparare un inammissibile intervento nel paese, Riyadh e Washington non dicono invece una parola sulla repressione in Bahrain, coprono la dittatura della dinastia sunnita degli Al-Khalifa alla guida del paese a maggioranza sciita. "La comunità internazionale per un anno intero ha chiuso gli occhi di fronte all'ansia di libertà e democrazia dei bahraniti", tanto che ha ignorato anche la grande manifestazione dello scorso 14 febbraio, in occasione del primo anniversario della rivolta, denunciava una giornalista del Bahrain che annunciava una settimana di proteste organizzate dall'opposizione in occasione del Gran premio di Formula 1 per rilanciare la protesta contro re Hamad. Lo svolgimento della corsa automobilistica sul circuito di Sakhir che lo scorso anno era stata annullata per la rivolta popolare avrebbe dovuto dare al mondo, nelle intenzioni della monarchia, l'idea di un Bahrain normalizzato. Un massiccio schieramento poliziesco a Manama, l'arresto preventivo di alcune decine di oppositori, il respingimento di diversi giornalisti "indesiderati" tra i quali un italiano, non hanno invece fermato la protesta e messo la sordina alle manifestazioni che giù a metà aprile erano ripartite in diversi villaggi abitati da sciiti intorno a Manama. I manifestanti chiedevano anche la liberazione degli oppositori incarcerati dalla monarchia tra i quali un attivista per i diritti umani che in segno di protesta era da due mesi in sciopero della fame. Il regime di re Hamad aveva piazzato nella capitale dei giganteschi cartelloni pubblicitari che esaltavano la corsa automobilistica; l'opposizione aveva risposto issando nelle strade di Sanabis e degli altri villaggi sciiti teatro delle proteste e degli scontri con la polizia grandi striscioni con la scritta "Il popolo vuole la caduta del regime". E migliaia di bahraniti avevamo accolto il 17 aprile col grido di "Libertà non Formula Uno" gli arrivi dei primi team diretti al circuito di Sakhir. Proteste e scontri si registravano dal 20 al 22 aprile nei villaggi di Damistan, Karzakkan, Malkiya e Sadad durante i quali un ragazzo era ucciso dalla polizia. Amnesty International denunciava che "le autorità stanno cercando di mostrare un paese avviato sul cammino delle riforme ma continuiamo a ricevere notizie di torture e di uso eccessivo e non necessario della forza contro i manifestanti". Altre associazioni umanitarie hanno denunciato omicidi e arresti di migliaia di attivisti dell'opposizione oltre che la detenzione e la tortura sistematica in almeno un centinaio di casi avvenuta nelle carceri speciali di Manama nell'ultimo anno. Fra i quali anche alcune decine di medici che in occasione delle proteste avevano prestato soccorso negli ospedali a manifestanti feriti. L'organizzazione Reporter Senza Frontiere (Rsf) ha infine attaccato la monarchia bahranita per il trattamento che riserva ai giornalisti, a cominciare da quelli locali: "il Bahrain è uno dei posti più pericolosi al mondo per i giornalisti. Reporter Senza Frontiere considera il re di Bahrain come uno dei nemici della libertà di stampa". Nel comunicato Rsf denunciava che nelle manifestazioni i giornalisti e i fotografi sono minacciati sistematicamente e aggrediti, "molti sono stati fermati e condannati al carcere dai tribunali militari. Nelle prigioni la tortura è all'ordine del giorno". 26 aprile 2012 |