46° rapporto del Censis sulla situazione sociale del Paese "Aumenta la paura di non farcela. La distanza tra popolo e politica è ormai siderale" "Cresce l'indignazione e la mobilitazione". Più giovani abbandonano l'Università Un'Italia con l'acqua alla gola, dove la popolazione mette in atto strategie di sopravvivenza e cerca nuove strade per rimanere a galla. È questa la cruda fotografia che ci consegna il 46° Rapporto del Censis (Centro Studi Investimenti Sociali) sulla situazione sociale del Paese/2012. L'aumento della povertà e la sua diffusione sempre più ampia va a braccetto all'aumento della disoccupazione, generando una condizione di precarietà che costringe le famiglie a vendere i propri beni per poter arrivare a fine mese, facendo sempre più ricorso al monte dei pegni o alle numerose strutture private che acquistano oro o altri beni. L'erosione del patrimonio delle famiglie ha fatto sì che siano diminuite dal 66,4% al 48,3% le famiglie con un patrimonio, tra immobili e beni mobili, compreso tra 50.000 e 500.000 euro. Alla paura di non farcela gli italiani reagiscono con strategie di sopravvivenza. Ad esempio, nonostante si sia affievolita la capacità delle famiglie di produrre reddito e accumulare risparmi, sono esse e non certo lo Stato in questa fase di crisi avanzata ad assumere un ruolo sempre più rilevante nello scambio "di risorse e forme molteplici di sostegno" per aiutare i propri membri. Il consolidamento della solidarietà familiare prodotto dalla crisi del capitalismo e dagli interventi antipopolari degli ultimi governi italiani ha delle percentuali: sono ben il 59,4% le famiglie italiane che hanno dato o ricevuto nell'ultimo anno almeno una forma di aiuto, come tenere i bambini o assistere persone sole o malate. Tra le strategie di sopravvivenza messe in atto dagli italiani per fronteggiare la paura del fallimento familiare, oltre alla riduzione delle spese per gli spostamenti in auto e scooter, la coltivazione di ortaggi per il consumo quotidiano (2,7 milioni di italiani) e chi si prepara regolarmente cibi in casa, come pane e conserve (11 milioni di italiani). Più giovani abbandonano l'università Con il prolungarsi della crisi e dei suoi disastrosi effetti sui tassi di occupazione e sul benessere delle famiglie, cominciano a emergere forti segnali di "riposizionamento" dei giovani rispetto alle scelte di studio e di lavoro. Nel corrente anno scolastico, è aumentato del 19% rispetto all'anno precedente il peso delle preiscrizioni agli istituti tecnici e professionali che garantiscono una più veloce acquisizione di un titolo professionale. Le famiglie con maggiori difficoltà economiche, dal momento che la laurea non costituisce più un valido scudo contro la disoccupazione giovanile, preferiscono indirizzare i propri figli verso studi che garantirebbero una più veloce occupabilità. Le immatricolazioni all'università sono infatti diminuite del 6,3% e i dati provvisori relativi al 2011-2012 segnano un'ulteriore contrazione del 3%. La separazione "tra popolo e politica" Il rapporto Censis dimostra come la nostra società sia stata investita dal "doppio tsunami" della crisi economica finanziaria e del "crollo reputazionale di forze politiche e istituzioni" che ha aumentato la distanza tra il "popolo e la politica". In questo contesto istituzioni e soggetti sociali diventano "separati in casa". La causa della sfiducia è dovuta, secondo il Censis, al fatto che le istituzioni si sono concentrate sulla riduzione delle spese, abbandonando i soggetti economici e sociali rimasti soli nell'affrontare la crisi. La corruzione delle istituzioni è, peraltro, ritenuta tra le cause principali della crisi, come pensa il 43% degli italiani. Per questo il sentimento più diffuso tra gli italiani è la rabbia (52,3%), con una forte propensione, diffusa soprattutto tra i giovani, i più colpiti dalla crisi, a mobilitarsi contro le politiche dei governi. Del resto, non è una novità. Gli italiani non hanno mai assistito passivi alla macelleria sociale e del governo Monti che, con le sue politiche recessive, sta portando l'Italia verso la bancarotta. Il problema è che i dirigenti dei sindacali collaborazionisti assistono passivamente allo scempio. La combattività espressa dimostrata più volte dalle piazze e comprovata persino dalle ricerche degli istituti economici dimostra che se i vertici sindacali intervenissero, promuovendo una mobilitazione urgente e adeguata, la forza per invertire la tendenza del governo Monti a scaricare tutto il peso della crisi sulle masse popolari c'è. 19 dicembre 2012 |