Rapporto Istat sulla povertà Poveri 9,5 milioni di italiani Un giovane su due è disoccupato. La metà dei poveri è nel Meridione Disoccupazione alle stelle, produzione industriale a picco, povertà, precarietà e divario sociale in forte e continuo aumento: sono questi gli effetti della devastante crisi economica e finanziaria capitalistica, innescata dal crac della banca d'affari Lehman, che da oltre un lustro squassa il mondo intero e che i governi Berlusconi, Monti e Letta col sostegno del PD hanno deciso di far pagare per intero alle masse operaie e popolari. Altro che "equità e giustizia sociale": la verità, certificata e messa nero su bianco per l'ottavo anno consecutivo dall'Istituto nazionale di statistica (Istat) nell'annuale rapporto sulla povertà in Italia, diffuso il 17 luglio, è che i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. Nel 2012 l'Istat ha contato ben 3 milioni 232 mila famiglie (12,7% del totale) che vivono in condizione di povertà relativa per un totale di 9 milioni 563 mila individui (il 15,8% dell'intera popolazione). Di questi, quasi la metà, ossia 1 milione e 725 mila famiglie (il 6,8% delle famiglie residenti) per un totale di 4 milioni e 814 mila individui (l'8% dell'intera popolazione) versano in condizioni di povertà assoluta. Cifre e percentuali record dal 2005, anno di inizio delle rilevazioni che purtroppo sono destinate a diventare ancora più drammatiche perché, come sottolinea lo stesso Istituto, tra il 2011 e il 2012 si rilevano in tutte le ripartizioni geografiche evidenti segnali di peggioramento e l'incidenza di povertà è passata dal 4,9% al 6,2% nel Nord, dal 6,4% al 7,1% nel Centro e dal 23,3% al 26,2% nel Mezzogiorno. La povertà relativa La stima dell'incidenza della povertà relativa (la percentuale di famiglie e persone povere) viene calcolata sulla base di una soglia convenzionale (linea di povertà) che individua il valore di spesa per consumi al di sotto del quale una famiglia viene definita povera in termini relativi. Ad esempio, la soglia di povertà relativa per una famiglia di due componenti è pari alla spesa media mensile per persona nel Paese, che nel 2012 è risultata di 990,88 euro (-2% rispetto al valore della soglia nel 2011 che era di 1.011,03 euro). Le famiglie composte da due persone che hanno una spesa mensile pari o inferiore a tale valore vengono classificate come povere. La povertà assoluta L'incidenza della povertà assoluta viene calcolata sulla base di una soglia di povertà corrispondente alla spesa mensile minima necessaria per acquisire il paniere di beni e servizi che, nel contesto italiano e per una determinata famiglia, è considerato essenziale a uno standard di vita minimamente accettabile. Vengono classificate come assolutamente povere le famiglie con una spesa mensile pari o inferiore al valore della soglia (che si differenzia per dimensione e composizione per età della famiglia, per ripartizione geografica e ampiezza demografica del comune di residenza). Ad esempio, un adulto (18-59 anni) che vive solo è considerato assolutamente povero se la sua spesa è inferiore o pari a 806,78 euro mensili nel caso risieda in un'area metropolitana del Nord, a 723,99 euro qualora viva in un piccolo comune settentrionale e a 537,29 euro se risiede in un piccolo comune meridionale. Un esercito di poveri Dunque nel corso del 2012, nonostante la contrazione dei consumi e il conseguente abbassamento della soglia di povertà del 2% rispetto al 2011, le persone in povertà relativa sono passate dal 13,6% della popolazione (nel 2011) al 15,8%, mentre quelle in povertà assoluta dal 5,7% all'8%. L'incidenza della povertà assoluta, tra le famiglie, ha mostrato un aumento, rispetto al 2011, di 1,6 punti percentuali a livello nazionale, di 1,8 nel Nord e nel Mezzogiorno e di 1 punto percentuale nel Centro; le variazioni tra gli individui (pari rispettivamente a 2,4, 2,5 e 1,6 punti percentuali) sono ancora più accentuate, a seguito del marcato incremento della povertà assoluta tra le famiglie più ampie. L'incidenza aumenta tra le famiglie con tre (dal 4,7% al 6,6%), quattro (dal 5,2% all'8,3%) e cinque o più componenti (dal 12,3% al 17,2%), che nella grande maggioranza dei casi sono famiglie con figli: coppie con un figlio (dal 4% al 5,9%, se minore dal 5,7% al 7,1%), con due figli (dal 4,9% al 7,8%, se minori dal 5,8% al 10%) e soprattutto coppie con tre o più figli (dal 10,4% al 16,2%, se minori dal 10,9% al 17,1%). Peggiora anche la condizione delle famiglie di monogenitori (dal 5,8% al 9,1%) e con membri aggregati (dal 10,4% al 13,3%), per le quali l'incidenza di povertà assoluta ha ormai oltrepassato il valore medio nazionale. Si conferma e si amplia, quindi, lo svantaggio delle famiglie più ampie, nonostante segnali negativi, seppur su livelli contenuti, si registrino anche tra le persone con meno di 65 anni, sole (dal 3,5% al 4,9%) o in coppia (dal 2,6% al 4,6%). La metà dei poveri risiede al Sud L'istat ha calcolato che, su 4 milioni 814 mila persone in povertà assoluta, quasi la metà, 2 milioni 347 mila risiedono nel Mezzogiorno (erano 1 milione 828 mila nel 2011), 1 milione 058 mila sono minori (erano 723 mila - l'incidenza dal 7% è salita al 10,3%) e 728 mila anziani (erano 707 mila - l'incidenza è pari a 5,8% per entrambi gli anni). Oltre 1 milione 088 mila (erano 977 mila - l'incidenza dal 5,5% è salita al 6,2%) sono membri di famiglie con a capo un ritirato dal lavoro, 1 milione 506 mila di famiglie operaie (erano 1 milione 171 mila - l'incidenza dall'8,5% è salita all'11%) e 764 mila di famiglie con a capo una persona disoccupata (erano 422 mila - l'incidenza dal 18,6% è salita al 27,3%). Rischio povertà Accanto a tutto ciò, l'Istat ha rilevato che in Italia esiste un altro 2,8% di famiglie che è a forte rischio di povertà in quanto presenta valori di spesa superiori alla linea di povertà di non oltre il 10%, quota che sale al 4,7% nel Mezzogiorno. Non solo. L'Istituto ha rilevato anche che, a differenza di quanto avveniva fino a qualche anno fa, un livello di istruzione medio alto e un lavoro, anche di elevato livello professionale, non garantiscono più dal rischio di cadere in povertà assoluta, soprattutto quando altri membri della famiglia perdono la propria occupazione o modificano la propria posizione professionale. Peggiorano le condizioni delle famiglie con tutti i componenti occupati (dal 2,5% al 3,6%) o con a capo un occupato (dal 3,9% al 5,5%); oltre che tra le famiglie di operai (dal 7,5% al 9,4%) e di lavoratori in proprio (dal 4,2% al 6%), la povertà assoluta aumenta, seppur su livelli più bassi, tra gli impiegati e tra i dirigenti (dall'1,3% al 2,6%). Trend negativi si osservano tra le famiglie con redditi da lavoro e da pensione (dal 3,6% al 5,3%). Ne deriva un aumento della povertà sia tra le famiglie con capo una persona con licenza media inferiore (dal 6,2% al 9,3%), sia tra quelle con a capo un diplomato o un laureato (dal 2% al 3,3%). Ancora una volta, tuttavia, l'incidenza cresce tra le famiglie con a capo una persona non occupata (dall'8,4% all'11,3% se in condizione non professionale, dal 15,5% al 23,6% se in cerca di occupazione) e raggiunge i livelli più elevati tra le famiglie senza occupati né ritirati dal lavoro: nel 2012 quasi un terzo di queste famiglie (il 30,8%) è assolutamente povero (erano il 22,3% nel 2011). Più povere le famiglie con a capo operai o disoccupati Risulta in condizione di povertà relativa il 30,2% delle famiglie con cinque o più componenti; l'incidenza raggiunge il 42,9% fra quelle che risiedono nel Mezzogiorno. Si tratta per lo più di coppie con tre o più figli e di famiglie con membri aggregati, tipologie familiari tra le quali l'incidenza di povertà è pari, rispettivamente, al 29,8% e al 22,3% (43,3% e 34,3% nel Mezzogiorno). Il disagio economico è più diffuso se all'interno della famiglia sono presenti figli minori: l'incidenza di povertà, pari al 17,4% tra le coppie con due figli e al 29,8% tra quelle che ne hanno almeno tre, sale, rispettivamente, al 20,1% e al 28,5% se i figli sono minori. Il fenomeno, ancora una volta, è particolarmente evidente nel Mezzogiorno, dove 4 famiglie con tre o più figli minori su 10 sono povere. La povertà è superiore alla media nazionale tra le famiglie con due o più anziani (15,4%), mentre riguarda meno frequentemente i single e le coppie senza figli di età inferiore ai 65 anni: l'incidenza è pari al 4,9% tra i primi e al 7% tra le seconde. Se il livello d'istruzione della persona di riferimento è basso (nessun titolo o licenza elementare) l'incidenza di povertà è più elevata (19%) ed è tre volte superiore a quella osservata tra le famiglie con a capo una persona che ha conseguito almeno la licenza media superiore (6,4%). Similmente, la diffusione della povertà tra le famiglie con a capo un operaio o assimilato (16,9%) è decisamente superiore a quella osservata tra le famiglie di lavoratori autonomi (9%) e, in particolare, di imprenditori e liberi professionisti (4,9%). Disoccupazione record Tutto ciò mentre l'Ocse nel suo ultimo Rapporto sull'occupazione basato su dati 2012 avverte che la disoccupazione in Italia continuerà ad aumentare non solo nel 2013 ma anche nel corso del prossimo anno. E nell'ultimo trimestre del 2014 arriverà al 12,6%, contro il 12,2% di fine maggio 2013. Non solo. L'organizzazione di Parigi sottolinea tra l'altro anche la preoccupante precarietà del lavoro dei giovani, evidenziando come uno su due nella fascia tra i 15 e i 24 anni risulti disoccupato. In totale, i disoccupati nell'area Ocse sono 48 milioni, di cui 16 milioni causati dalla crisi di questi ultimi 5 anni. Nei prossimi mesi è previsto che in almeno sei paesi europei il tasso di disoccupazione crescerà di oltre un punto percentuale entro la fine del 2014 e l'Italia, secondo l'Ocse, è uno di questi, insieme a Grecia, Olanda, Polonia, Portogallo e Spagna. Inoltre l'Italia, la cui disoccupazione è salita dal 6,8% del triennio 2005-08 all'11,9% del 2013, è tra i paesi il cui tasso di senza lavoro è cresciuto di più dall'inizio della crisi, insieme a Irlanda, Slovenia e Portogallo. Soltanto Spagna e Grecia, che hanno visto aumentare il loro tasso di disoccupazione di oltre il 18%, hanno fatto peggio. I più colpiti dalla recessione sono i giovani tra i 15 e i 24 anni, che hanno visto lo specifico tasso di disoccupazione crescere del 6,1% tra l'ultimo trimestre del 2007 e la fine del 2012, contro il +4,3% dell'area Ocse. Ma ancor più preoccupante è l'aumento dei cosiddetti Neet, i giovani che non studiano e non lavorano, cresciuti del 5,1% per un tasso del 21,4% alla fine del 2012, la terza percentuale più alta dopo Grecia e Turchia. "Per i giovani Neet italiani - nota l'Ocse - c'è un rischio crescente di conseguenze di lungo termine, perché perdono competitività rispetto alle loro controparti in altri paesi che hanno sostituito all'esperienza di lavoro una buona istruzione e che usciranno verosimilmente dalla crisi meglio equipaggiati per fronteggiare le crisi tecnologiche del futuro". 31 luglio 2013 |