+ 16% rispetto al primo turno Astensione record al ballottaggio di Firenze: 42,6% La scelta elettorale del PMLI stavolta è stata sostenuta anche da altre forze politiche Eletto il clericale megalomane Renzi (Pd). Una giunta "opaca" per un neopodestà decisionista Redazione di Firenze Ben 124.769 fiorentini, il 42,6% degli elettori, ha scelto l'astensionismo al ballottaggio per la carica di sindaco. Una scelta che delegittima in partenza il neopodestà Matteo Renzi (PD), che ha raccolto il consenso del 34,4% degli elettori (60% dei voti validi), appena 774 in più rispetto al primo turno, battendo lo sfidante Giovanni Galli (Pdl). La crescita vertiginosa ed entusiasmante dell'astensionismo, che al primo turno di queste comunali si era affermato, per la prima volta a Firenze, come primo "partito" con il 28,2%, dimostra che sui governi locali di "centro-sinistra" si stanno aprendo gli occhi a quello "zoccolo duro" fino a ieri spesso acriticamente schierato con gli eredi del PCI. E' una fase nuova nella vita politica fiorentina. L'astensionismo si è confermato una scelta consapevole e motivata, sostenuta per la prima volta da altre forze politiche oltre al PMLI: Unaltracittà, il PRC, i Comunisti italiani e singoli esponenti delle liste che hanno sostenuto Valdo Spini. Si sta rompendo il dogma borghese e partecipazionista secondo cui alle urne bisogna andarci a prescindere, magari turandosi il naso; una tendenza nuova e positiva anche se queste forze erano in corsa al primo turno e hanno scelto l'astensione al ballottaggio principalmente perché poste di fronte alla netta chiusura di Renzi ("non farò accordicchi", aveva sentenziato rivolto a chi gli sta a sinistra). Ci auguriamo che alla scelta di astenersi al ballottaggio segua una conseguente opposizione, non solo sui banchi di Palazzo Vecchio ma nelle piazze, dove si sviluppano le lotte e i movimenti capaci di incidere e far contare le rivendicazioni delle masse. E dove certo saremo noi marxisti-leninisti. C'è bisogno di un largo fronte unito per contrastare il neopodestà Renzi, che in questi pochi giorni si è confermato un pericoloso berlusconino, clericale e demagogo. Esemplificativa in questo senso la sceneggiata della sua preghiera sulla tomba di La Pira, in un colpo solo ha voluto gridare ai quattro venti che lui è cattolico praticante e si sente l'erede dell'ex sindaco della DC, partito in cui si è formato politicamente l'ambizioso "Obama bianco". Fin dall'insediamento ufficiale a Palazzo Vecchio, il 25 giugno, ha iniziato a fare sfoggio della sua megalomania: "mi impegno con i cittadini a essere me stesso e a realizzare quanto promesso, abbiamo una responsabilità doppia: perché siamo a Firenze, in una città che è stata capitale della politica, che lo deve essere ancora". A tempo di record, sabato 27, Renzi ha presentato i componenti della sua giunta. 5 uomini e 5 donne che sarebbero le tanto strombazzate "facce nuove" a Palazzo Vecchio. In realtà sono dieci personaggi da anni nelle istituzioni e legati ai partiti di regime, anche se non in ruoli di primissimo piano. Come suonano false le parole "Una giunta fatta in tempi rapidi perché la città non poteva aspettare gli equilibri dei partiti; delle persone scelte mi prendo la responsabilità". A parte lo straripante protagonismo personale, il neopodestà ha rivelato chiaramente il suo dna democristiano per il modo con cui ha applicato il "manuale Cencelli", non scontentando nessuno: in giunta ci sono Cristina Scarletti indicata dalla segreteria regionale dell'Idv, Barbara Cavandoli "pistelliana" e vicina a Giacomo Billi, Massimo Mattei, vicino allo "sceriffo" inquisito Graziano Cioni, Claudio Fantoni sostenitore di Daniela Lastri, Elisabetta Cianfanelli di area socialista, vicina a Riccardo Nencini. Renzi, presidente uscente della provincia di Firenze, sembra aver scelto una giunta abbastanza "opaca", dove poter primeggiare e spadroneggiare. Infatti, l'unica che aveva un ruolo di primo piano a Palazzo Vecchio è Rosa Maria Di Giorgi, ex capogruppo PD, provenienza Margherita. Il neopodestà ha tenuto per sé due deleghe cruciali: la polizia municipale e l'urbanistica. E questo la dice lunga sul suo metodo di governo della città, accentratore e decisionista in due comparti così decisivi che qualificano la politica di ogni giunta cittadina. Per quanto riguarda la polizia municipale ne ha fatto una questione di principio, secondo lui il "primo" cittadino deve essere anche il primo poliziotto; perciò ha nominato consigliere speciale per la "sicurezza" l'ex magistrato Pierluigi Vigna, che peraltro ricordiamo per essere stato fra i persecutori del nostro Partito: nel '77, all'indomani della fondazione del PMLI, lo incriminò per "propaganda sovversiva". Con queste premesse c'è da aspettarsi un'ulteriore fascistizzazione della vita cittadina, già oppressa dal soffocante regolamento varato da Domenici e Cioni. Per quanto riguarda l'urbanistica, che muove i miliardi e gli interessi dei grossi imprenditori del settore, Renzi vuol fare tutto da sé; preparerà il nuovo Piano Strutturale con un comitato di "esperti" che farà conoscere il prossimo 13 luglio, con i quali valuterà anche l'atteggiamento da tenere di fronte alla magistratura rispetto alle inchieste sulle aree di Castello, Novoli e Fortezza. Ci aspettano ancor di più cementificazione del territorio e corruzione. Tutto quello che conta davvero, il neopodestà lo vuol gestire al di fuori degli organi rappresentativi; e se la giunta conterà relativamente poco, il Consiglio comunale conterà ancora meno. La terza repubblica neofascista a livello locale. 1 luglio 2009 |