Il sottosegretario all'Interno Mantovano lo vuole estendere anche alle manifestazioni politiche Il Daspo è una mostruosità repressiva da respingere In questi giorni si sta discutendo nel mondo politico sulla proposta forcaiola del sottosegretario all'Interno Alfredo Mantovano (ex magistrato, ex AN, deputato da 15 anni) di estendere il Divieto di accedere alle manifestazioni sportive (DASPO) - già previsto dall'art. 6 della legge 13 dicembre 1989 n. 401 - alle manifestazioni pubbliche in generale, traendo spunto dagli scontri scoppiati tra i manifestanti e le forze di polizia a Roma il 14 dicembre 2010 nell'ambito delle dimostrazioni contro il disegno di legge Gelmini sulla "riforma" dell'istruzione. Il DASPO è una mostruosità repressiva, arbitraria, attuata senza nessun controllo, che deve essere condannato già nella sua applicazione sportiva, e a maggior ragione nella sua minacciata estensione alle manifestazioni di piazza. L'art. 6 della legge citata - più volte modificata - dispone nel testo attualmente in vigore al suo primo comma che "nei confronti delle persone che risultano denunciate o condannate anche con sentenza non definitiva nel corso degli ultimi cinque anni" per una serie di reati di violenza commessi (se il soggetto è stato condannato) o ipotizzati (se il soggetto è stato solo denunciato) in occasione di manifestazioni sportive l'autorità di pubblica sicurezza può sempre ordinare il divieto di accesso ai luoghi dove si svolgono competizioni agonistiche. Competente all'irrogazione del provvedimento è il questore, organo del ministero dell'Interno. Numerose altre norme sono state poi emanate per integrare tale disciplina che attualmente estende la durata del DASPO a cinque anni. Attenzione quindi: non si tratta di un provvedimento irrogato dalla magistratura a seguito di un procedimento giudiziario con il controllo di legalità e di difesa di un avvocato difensore, ma di una misura di polizia attuata sulla base di una semplice denuncia che - da un punto di vista giuridico è semplicemente una notizia di reato contenuta in una dichiarazione resa da un soggetto privato o da un pubblico ufficiale, la quale denuncia deve essere poi verificata nella sua veridicità proprio nel processo con tutte le garanzie cui si accennava prima. A seguito poi della sentenza della Corte Costituzionale n. 512 del 2002 è stata inserita nel testo di legge una procedura di controllo giurisdizionale circa i presupposti dell'emanazione del DASPO che però lascia scarse facoltà alla difesa e non è neanche ben formulata. Il DASPO quindi - già nella sua originaria formulazione destinata agli eventi sportivi - è apparsa una misura addirittura anticostituzionale a numerosi giuristi in quanto limita la fondamentale libertà di circolazione stabilita all'art. 16 della Costituzione anche a soggetti non giudicati né condannati. Anzi, la lunghezza dei processi penali fa sì che assai spesso la persona sottoposta al DASPO sconti per intero tale provvedimento di diffida senza che il processo venga neppure celebrato. Successivamente l'art. 9 della legge 4 aprile 2007 n. 41 (la cosiddetta "legge Amato") vieta alle società sportive di vendere biglietti ai soggetti colpiti da tale provvedimento amministrativo, e la recente e giustamente contestata "tessera del tifoso" introdotta dal ministro dell'Interno Maroni con la direttiva del 14 agosto 2009 - rilasciata dalle società sportive su nulla osta delle questure - non potrà essere rilasciata a coloro che sono colpiti da un DASPO. Le proteste del mondo della tifoseria a tali provvedimenti di stampo chiaramente repressivo (DASPO) e destinati a costituire gigantesche schedature di massa (tessera del tifoso) sono state supportate da voci coraggiose ed altamente qualificate, come quella dell'avvocato Lorenzo Contucci, noto giurista e specialista in diritto sportivo, che ha giudicato tali iniziative "un provvedimento da ventennio" mussoliniano, mettendo in rilievo non solo l'arbitrarietà incontrollata con cui può essere irrogato un DASPO ma anche - fatto ben più grave - l'istituzione di una schedatura di massa che può essere utilizzata a fini politici, considerando che il ministero dell'Interno potrà controllare perfettamente - dai dati desumibili dalle tracce elettroniche lasciate dalla tessera - chiunque possegga la tessera stessa. Il calciatore De Rossi poi ha rincarato la dose affermando in conferenza stampa nel maggio 2010 "sono contrario alla tessera del tifoso, perché non mi piacciono le schedature. E poi in alcuni casi, viste le ultime vicende, servirebbe anche la tessera del poliziotto", scusandosi poi con le "forze dell'ordine" per le sue parole. Chi invece non si è mai pentito delle proprie denunce è il PMLI, che si è più volte trovato a condannare tali provvedimenti che finora hanno riguardato solo l'ambito, seppure importante, del tifo sportivo ma che ora minacciano - per bocca del sottosegretario Mantovano - addirittura un DASPO politico di mussoliniana memoria per i cortei o magari una "tessera del manifestante"! Senza "tessera del manifestante" infatti era certamente la delegazione di duecento pastori sardi sbarcati il 28 dicembre 2010 a Civitavecchia per andare a manifestare a Roma, tutti bloccati al porto, menati dalla polizia e poi denunciati per "manifestazione non autorizzata" senza che peraltro la manifestazione abbia mai avuto luogo e reimbarcati a forza per la Sardegna. Ma d'altra parte non si può certamente dire che avessero tutte le carte in regola per veder rilasciata la "tessera del poliziotto" (ed anzi meriterebbero un bel DASPO non per gli stadi ma per dirigere le rispettive forze di polizia) l'ex capo della polizia Gianni de Gennaro, condannato a un anno e quattro mesi di reclusione dalla Corte d'appello di Genova per induzione alla falsa testimonianza, il generale dei carabinieri Giampaolo Ganzer, condannato a quattordici anni di reclusione dal Tribunale di Milano per traffico internazionale di stupefacenti, l'ex generale della guardia di finanza Roberto Speciale, condannato a diciotto mesi di reclusione dalla corte d'appello militare di Roma per peculato. Insomma, è importante condurre una lotta senza quartiere ed in tutti i fronti - compreso quello giuridico - per far comprendere alle masse che tali norme repressive hanno il solo scopo di rafforzare un regime ampiamente corrotto e delegittimato e contemporaneamente di inibire a chi protesta anche per le ragioni più legittime ogni anelito di ribellione. Accadeva anche all'epoca di Lenin - giurista e avvocato - che certamente conosceva fin troppo bene da addetto ai lavori che la violenza delle classi dominanti è sempre proporzionale alla paura di vedersi rovesciate e che tanto più è forte l'apparato repressivo tanto più esso è naturalmente incline alla corruzione. Ecco infatti come dev'essere correttamente intesa la funzione di polizia in un sistema socialista, cioè come una funzione sociale che coinvolga la società intera per difendersi in realtà non dai giovani, dagli operai o dai pastori che manifestano, ma dal suo peggior pericolo, cioè il ritorno delle classi sociali e del dominio della borghesia minoritaria sul proletariato di gran lunga maggioritario: "noi abbiamo, nel regime capitalistico, lo Stato nel vero senso della parola, una macchina speciale per la repressione di una classe da parte di un'altra e per di più della maggioranza da parte della minoranza. Si comprende come per realizzare un simile compito - la sistematica repressione della maggioranza degli sfruttati da parte di una minoranza di sfruttatori - siano necessarie una crudeltà e una ferocia di repressione estreme: fiumi di sangue attraverso cui l'umanità prosegue il suo cammino, sotto il regime della schiavitù, della servitù della gleba e del lavoro salariato. In seguito, nel periodo di transizione dal capitalismo al comunismo, la repressione è ancora necessaria, ma è già esercitata da una maggioranza di sfruttati contro una minoranza di sfruttatori. Lo speciale apparato, la macchina speciale di repressione, lo 'Stato', è ancora necessario, ma è già uno Stato transitorio, non più lo Stato propriamente detto, perché la repressione di una minoranza di sfruttatori da parte della maggioranza degli schiavi salariati di ieri è cosa relativamente così facile, semplice e naturale, che costerà molto meno sangue di quello che è costata la repressione delle rivolte di schiavi, di servi e di operai salariati, costerà molto meno caro all'umanità. Ed essa è compatibile con una democrazia che abbraccia una maggioranza della popolazione così grande che comincia a scomparire il bisogno di una macchina speciale di repressione. Gli sfruttatori non sono naturalmente in grado di reprimere il popolo senza una macchina molto complicata destinata a questo compito; il popolo, invece, può reprimere gli sfruttatori anche con una 'macchina' molto semplice, quasi senza 'macchina', senza apparato speciale, mediante la semplice organizzazione delle masse in armi (come - diremo anticipando - i Soviet dei deputati operai e soldati)" (Lenin, "Stato e Rivoluzione", cap. V, pag. 68, "Piccola biblioteca marxista-leninista", volume 6). Possa la scienza del Maestro del proletariato internazionale Lenin stimolare la riflessione degli operai, dei giovani, degli intellettuali ed aprire gli occhi sui provvedimenti legislativi del governo del neoduce Berlusconi che ha ormai riportato, con la criminale inerzia della "sinistra" borghese, l'Italia in un regime neofascista! 5 gennaio 2011 |