Inchiesta de "Il Fatto" 176mila ricchi sfondati possiedono più di 260 miliardi di euro Aumentati del 4,6% tra il 2001 e il 2012, evadono massicciamente le tasse Fa scalpore - soprattutto in questo momento di crisi prodotta dal sistema capitalista che sta gettando nella disperazione le masse popolari - l'inchiesta pubblicata dal quotidiano "Il Fatto" che prende in esame il fenomeno dei ricchi sfondati in Italia: coloro che hanno un reddito annuale superiore a 300.000 euro detengono complessivamente un patrimonio di 260 miliardi di euro, sono circa 176.000 e tra il 2011 e il 2012 sono aumentati del 4,5 per cento, ovvero circa 7.500 in più, e questo secondo i dati del World Wealth Report 2013 realizzato dalla società di consulenza Capgemini e dalla Royal Bank of Canada. Eppure dai dati forniti dall'Agenzia delle Entrate che prende in esame i dati dell'Irpef - che si basano sulle dichiarazioni dei redditi - coloro che in Italia dichiarano un reddito superiore ai 300.000 euro sarebbero circa sei volte di meno, soltanto 28.000 mila. È chiaro quindi che costoro evadono massicciamente le tasse detenendo i loro patrimoni nei noti paradisi fiscali come la Svizzera, i Caraibi, il Principato di Monaco ma senza disdegnare la Serenissima Repubblica di San Marino che si trova nel bel mezzo del territorio italiano, tra le Marche e la Romagna. L'Italia del resto condivide la tendenza della crescita del numero dei super ricchi con il resto del mondo: sul piano mondiale infatti la ricchezza investibile degli individui ad alto patrimonio netto ha registrato una crescita del 10%" nel 2012, tendenza destinata ad aumentare e che raddoppierà in meno di un decennio: per ora ha raggiunto nel mondo il livello di 46.200 miliardi di dollari, ovvero l'equivalente del debito pubblico degli stati. Anzi, i capitalisti si ingrassano ulteriormente con il debito pubblico che viene fatto pagare alle masse popolari, cosa che aveva già ben compreso Marx che analizza nel Capitale proprio il rapporto tra il debito pubblico e l'arricchimento dei capitalisti quando scrive che "il debito pubblico diventa una delle leve più energiche dell'accumulazione originaria: come con un colpo di bacchetta magica, esso conferisce al denaro, che è improduttivo, la facoltà di procreare, e così lo trasforma in capitale, senza che il denaro abbia bisogno di assoggettarsi alla fatica e al rischio inseparabili dall'investimento industriale e anche da quello usurario. In realtà i creditori dello Stato non danno niente, poiché la somma prestata viene trasformata in obbligazioni facilmente trasferibili, che in loro mano continuano a funzionare proprio come se fossero tanto denaro in contanti. Ma anche fatta astrazione dalla classe di gente oziosa, vivente di rendita, che viene cosi creata, e dalla ricchezza improvvisata dei finanzieri che fanno da intermediari fra governo e nazione, e fatta astrazione anche da quella degli appaltatori delle imposte, dei commercianti, dei fabbricanti privati, ai quali una buona parte di ogni prestito dello Stato fa il servizio di un capitale piovuto dal cielo, il debito pubblico ha fatto nascere le società per azioni, il commercio di effetti negoziabili di ogni specie, l'aggiotaggio: in una parola, ha fatto nascere il giuoco di Borsa e la bancocrazia moderna" (Marx, Il Capitale, Libro I, sez. VII, cap. 24). La crisi economica attuale colpisce l'intera popolazione indistintamente: la maggior parte della popolazione conosce un impoverimento assoluto ma anche relativo rispetto a una ristretta fetta di ricchi sfondati che si arricchiscono sempre di più, anche grazie all'indebitamento degli stati che garantisce loro alte rendite prive di rischio. Circa un terzo di questo patrimonio è in contanti e depositi bancari, un altro terzo è in immobili e la rimanente parte è sotto forma di investimenti a reddito fisso e in altre forme. 23 ottobre 2013 |