Durerà sei mesi la trappola del "silenzio-assenso" per 11 milioni di lavoratori Rifiutare il Tfr ai fondi pensione privati Oltre 15 miliardi di euro nelle mani della speculazione finanziaria. L'adesione ai fondi è irreversibile. In caso di crisi del fondo si perde tutto. Solo al pensionamento di vecchiaia si potrà iniziare a recuperare il versato Rilanciare e adeguare la pensione pubblica Ci siamo! Con l'inizio dell'anno nuovo entrano in vigore le regole stabilite nel Memorandum d'intesa firmato il 23 ottobre 2006 da Cgil, Cisl, Uil e la Confindustria in materia di Tfr (trattamento di fine rapporto) recepite da governo Prodi con un decreto legislativo del 13 novembre dell'anno scorso n. 279 e ratificate nella legge finanziaria che in sintesi: anticipa al 1° gennaio 2007 quella parte della "riforma" dell'ex ministro leghista Maroni che devolve il Tfr alla previdenza integrativa, secondo il principio del "silenzio-assenso" dei lavoratori; in tutte le imprese da 50 dipendenti in su, il Tfr che i lavoratori avranno deciso di non versare nei fondi di previdenza integrativa, non resterà in azienda, ma verrà trasferito, attraverso l'Inps a un fondo del Tesoro per finanziare opere pubbliche; nelle aziende fino ai 49 dipendenti il Tfr non versato resterà in azienda; le imprese otterranno risarcimenti a carico dello Stato, pari complessivamente a oltre lo 0,5% del "costo del lavoro". Scattano dunque i sei mesi disponibili entro cui i lavoratori son costretti a scegliere se destinare o meno la loro liquidazione ai fondi pensione privati, oppure rifiutare. Giacché, in assenza di una esplicita preferenza scatta la trappola antidemocratica, e taluni affermano anticostituzionale, del "silenzio-assenso". Ma anche davanti al rifiuto dei fondi il Tfr sarà scippato forzatamente ai lavoratori, nelle aziende con 50 occupati e oltre, per essere impiegato in capitoli di spesa decisi dalla Finanziaria, tra cui nuovi armamenti, completamento delle tratte della Tav e altro ancora. Il tutto avviene con lo stravolgimento, di fatto, dell'art. 2120 del codice civile che dal 1996 stabilisce: "il diritto a un trattamento di fine rapporto" per il prestatore di lavoro "in caso di cessazione del rapporto di lavoro subordinato". La campagna propagandistica Sin dalle prossime settimane i lavoratori dipendenti dei settori privati, interessati a questa operazione, circa 11 milioni, saranno investiti da una gigantesca campagna di propaganda organizzata dai sindacati confederali, da un lato, e le banche, le assicurazioni e le società finanziarie, dall'altro, per convincerli a impiegare le loro liquidazioni nei fondi integrativi chiusi (quelli negoziali di tipo contrattuale), oppure nei fondi chiusi (ossia quelli gestiti da società finanziarie), oppure ancora nelle polizze individuali. Per raggiungere questo scopo useranno argomenti intimidatori e ricattatori, in parte con un fondamento vero come conseguenza nefasta delle controriforme previdenziali attuate dai governi di "centro-sinistra" e da quelli di "centro-destra", in parte falsi, e con tante omissioni. Cercheranno di far apparire la rinuncia del Tfr come una scelta obbligata, specie per coloro che sono stati assunti dopo l'entrata in vigore della "riforma" Dini la quale ha introdotto il calcolo contributivo, tagliando la copertura pensionistica a poco più del 50% del salario percepito al momento di fine rapporto, e ancor di più per i nuovi assunti, cercheranno di venderla come scelta positiva per realizzare una "indispensabile" pensione integrativa a quella pubblica ridotta all'osso. Cercheranno di scacciare le paure (più che giustificate) e tranquillizzare i lavoratori circa la sicurezza e la rendita della liquidazione investita nei fondi. Faranno di tutto per imbrogliarli riguardo alla loro possibilità di recuperare i propri soldi (il Tfr è salario differito!) anzitempo, o di poter incidere nelle scelte di gestione e di investimento del capitale da parte fondi, chiusi o aperti che siano. Allora è bene sapere che: 1) A parte le aziende sotto i 50 dipendenti, tutti i lavoratori sono costretti a "perdere", senza essere stati consultati e senza che abbiano dato il loro consenso, il loro Tfr a favore dei fondi pensioni, oppure "in prestito" all'Inps e più esattamente al governo per finanziare cose che non hanno nulla che fare con la previdenza: e già questo sarebbe un motivo sufficiente per opporsi con forza al trasferimento. 2) La scelta è irreversibile, non si può tornare indietro, una volta trasferito il Tfr in un fondo il lavoratore ne perde la titolarità. È un principio questo sancito negli statuti di tutti i fondi che la Covip (Commissione vigilanza sui fondi pensione) ha voluto uniformi; 3) il Tfr verrà restituito in rate mensili solo al compimento dell'età che dà diritto alla pensione di vecchiaia. Anche in caso di pensione di anzianità o di invalidità si dovrà aspettare quella scadenza. 4) Coi fondi pensione privati non c'è certezza. Il risultato positivo o negativo dei rendimenti possibili dipende unicamente dall'andamento dei mercati finanziari. Il Tfr dei lavoratori sarà infatti "giocato" in Borsa, e quando si "gioca" d'azzardo si può, anzi è facile, anche perdere. In caso di vincita, saranno essenzialmente i maggiori azionisti, i grandi capitalisti a guadagnarci. 5) Se il fondo pensione dove il lavoratore ha trasferito la sua liquidazione futura va in crisi o fallisce si può perdere tutto il risparmio versato. Vi sono tanti esempi in questo senso: l'United Airlines con migliaia di dipendenti truffati; Enron e Bethlehem Steel sono altri casi eclatanti che hanno bruciato le pensioni di migliaia lavoratori, cui hanno fatto seguito i fallimenti Us Airways e Alaska Carpenter Fund con gli stessi effetti rovinosi. La Comit in Italia ha fatto notizia. Stessa storia per il crac della Sicilcassa che ha azzerato il fondo pensione di migliaia di bancari con una piccola speranza di recuperare solo il 15% o al massimo il 25% di quanto loro dovuto. La privatizzazione della previdenza I lavoratori devono essere informati correttamente e in modo approfondito dei rischi a cui vanno incontro rinunciando al Tfr per i fondi privati, al rapporto benefici-perdite che ciò comporta. Devono sapere che favorire lo sviluppo delle pensioni private, a tutt'oggi con appena l'11% delle adesioni dei lavoratori in 11 anni di vita da quando sono stati istituiti, significa allo stesso tempo dare via libera all'ulteriore smantellamento delle pensioni pubbliche. Non a caso è prevista a breve l'apertura di un tavolo di trattative governo-sindacati-associazioni padronali per concretizzare i punti scritti nel suddetto Memorandum e cioè: riduzione del coefficiente di trasformazione per le pensioni a sistema contributivo, che comporterà un altro taglio del valore dell'assegno pensionistico e norme per l'innalzamento dell'età pensionabile. Per non dire dell'aumento dello 0,30% dei contributi previdenziali a carico dei lavoratori dipendenti già varato in Finanziaria. Se si osserva tutta la legislazione in materia previdenziale, quanto meno a partire dal 1993 con il decreto legislativo n.124 (governo Amato), passando dalla legge 335/1995 di "riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare" (governo Dini), dalla "riforma della disciplina fiscale della previdenza complementare" n.47/2000 (governo Prodi), la legge 243/2004, il decreto legislativo n.252/2005 (governo Berlusconi) sempre in tema di previdenza integrativa, fino agli ultimi atti legislativi del 2006 (2° governo Prodi) emerge con chiarezza il legame tra demolizione della pensione pubblica (tagli alle prestazioni e tagli alla spesa) con la normazione e l'incentivazione delle pensioni private che, strada facendo potrebbero divenire prevalenti e dominanti rispetto alle prime, sull'esempio di quanto accade in paesi di vecchia tradizione liberista, come gli Usa e l'Inghilterra. Per stessa ammissione del ministro del Lavoro, Cesare Damiano, negli ultimi 13 anni la spesa pensionistica è stata tagliata di ben 200 mila miliardi di vecchie lire. Rilanciare e adeguare la pensione pubblica Far fallire lo scippo del Tfr è perciò il primo passo da compiere. E in questo le Rsu e la sinistra sindacale della Cgil possono, secondo noi devono, svolgere un ruolo determinante, per spiegare e orientare, per indicare i modi concreti per formalizzare il rifiuto dell'adesione ai fondi. Occorre sconfiggere l'obiettivo che si è posto il governo di portare dal 2008 al 40-50% dei lavoratori le adesioni ai fondi complementari. Rilanciare, con il necessario adeguamento normativo ed economico, la previdenza pubblica, a partire dalle pensioni minime e più basse e ripristinando il calcolo pensionistico retributivo, è l'atro passo da fare. No allo scippo del Tfr! No ai fondi pensione! Difendere la pensione pubblica! 10 gennaio 2007 |