I partiti di regime si spartiranno 159 milioni di "rimborsi" Dal PD con 45,8 milioni a Grande Sud con 350 mila euro, tutti affondano le fauci nella mangiatoia parlamentare 159 milioni di euro rubati al popolo e regalati alle varie cosche parlamentari che hanno ottenuto almeno un seggio in una delle due Camere alle elezioni politiche del 24 e 25 febbraio: a tanto ammonta la somma complessiva dei cosiddetti rimborsi elettorali che tutti i partiti, in proporzione ai voti ricevuti, si apprestano ad in cassare nei prossimi 5 anni. In realtà si tratta di un vero e proprio finanziamento pubblico dei partiti parlamentari che di fatto non è stato mai abolito nonostante la stragrande maggioranza del popolo italiano ne avesse decretato l'abolizione col referendum del 1993. Ciò significa che ognuno dei circa 60 milioni di contribuenti dovrà sborsare 2,5 euro a testa per rimpinguare le casse dei partiti che anche questa volta si sono indebitati fino al collo con le banche per affrontare le faraoniche spese della campagna elettorale. E pensare che le stesse cosche parlamentari che ora ne reclamano l'incasso per tutta la durata della campagna elettorale hanno ripetuto e scritto su manifesti, giornali e volantini a caratteri cubitali di voler abolire il sistema dei rimborsi pubblici ai partiti. Ma nel frattempo, a parte l'annuncio fatto da Grillo per il M5S, nessuno si sogna di dare seguito alle proprie promesse restituendo ad esempio i fondi spettanti che, se da un lato, è vero che "devono essere obbligatoriamente elargiti per legge", dall'altro, lato, nulla vieta ai partiti di rifiutarli. La parte del leone la fa il PD che con i suoi 292 deputati e 105 senatori eletti (peraltro con un fortissimo premio di maggioranza, per quanto riguarda la Camera, vale a dire con diversi deputati eletti in virtù della legge maggioritaria valgono 45 milioni e 856.037,5 euro. Ecco perché il PD è stato tra l'altro l'unico partito ad esprimere "riserve" sull'abolizione del finanziamento pubblico ai partiti. Subito a ridosso il MoVimento 5 Stelle di Beppe Grillo, i cui 108 deputati e 54 senatori frutteranno al partito un rimborso di 42 milioni 782.512,5 euro. In soldoni queste due sigle da sole si papperanno circa il 60% dell'intero ammontare dei rimborsi. Mario Monti dovrà spartire metà di circa 15 milioni con l'Udc e pure con Fli: infatti le 3 sigle alla Camera si sono presentate separatamente mentre al Senato hanno corso congiuntamente. Il Pdl (97 deputati e 98 senatori) riceverà 38 milioni 60.750 euro, la Lega (18 e 17) 7 milioni 309.575, Sel di Nichi Vendola (37 e 7) 5 milioni 182.616, Fratelli d'Italia (9 deputati) un milione 680.087,5. Ma la miglior proporzione fra numero di eletti e rimborsi spettanti è appannaggio di 2 sigle: Megafono-Lista Crocetta e Grande Sud che con un solo senatore ciascuno percepiranno rispettivamente 398.125 e 350.350 euro (la differenza di rimborso, a parità di eletti, è dovuta al fatto che il senatore de Il Megafono è stato eletto con 138.851 voti, quello di Grande Sud con 122.100). Una proporzione che fa arrabbiare non poco i sudtirolesi della Svp e il Centro democratico di Bruno Tabacci che pur avendo eletto rispettivamente 5 e 6 deputati avranno 366.275 euro i primi e 422.012,5 i secondi. Il finanziamento pubblico ai partiti fu introdotto con la legge Piccoli del 1974. Dopo pochi anni fu subito raddoppiato da un successivo provvedimento varato nel 1981 dal 1° governo Spadolini. Subito dopo la vittoria del sì nel referendum del '93, il parlamento, con una modifica della legge sui rimborsi elettorali, di fatto, fece in modo che quest'ultimi riuscissero a sostituirsi alla pioggia di denaro pubblico sulla quale gli italiani avevano deciso di mettere la parola "fine". La nuova legge sui finanziamenti ai partiti e sulle campagne elettorali fu ripristinata ufficialmente il 3 dicembre 1993 dal governo Amato sotto le mentite spoglie di rimborso elettorale e per le elezioni politiche ed europee del 1994 i partiti ricevettero quasi 150 miliardi di lire; per le politiche del 1996 altri 100 miliardi. Poi grazie alla legge del 1999 (governo D'Alema) che prelevava 4 mila lire a ogni iscritto alle liste elettorali, i rimborsi cominciarono a crescere a dismisura fino alla legge del 2006 che raddoppiò l'importo prevedendo un rimborso di 1 euro per ogni avente diritto al voto garantito per 5 anni anche se la legislatura viene interrotta prima della scadenza naturale. Tant'è che negli ultimi 17 anni i partiti hanno incassato una media di 135 milioni all'anno e ancora piangono miseria. Ecco perché, come chiede il PMLI nel suo Programma d'azione, occorre "abrogare tutte le norme sul finanziamento pubblico dei partiti, e in particolare la legge 157 del 3 giugno 1999 sui rimborsi per le spese elettorali". Noi marxisti-leninisti riaffermiamo che i partiti devono autofinanziarsi, come fa da sempre il PMLI che conta solo sul sostegno dei militanti, dei simpatizzanti e delle masse. Il finanziamento pubblico è una rapina ai danni del popolo ed esso si configura oggettivamente come un'ulteriore fonte di corruzione per i partiti del regime neofascista. 6 marzo 2013 |