Battaglia nella capitale siriana La rivolta anti Assad colpisce a Damasco L'Onu proroga la missione degli osservatori. I paesi imperialisti e i sionisti premono per l'intervento militare Il 18 luglio una potente esplosione sventrava la sede della Sicurezza nazionale a Damasco dove era in corso un vertice dei principali dirigenti della sicurezza siriani. Tra le vittime il ministro della difesa, il capo dei servizi di sicurezza, il capo dei servizi segreti e numerosi funzionari di governo e dei servizi. L'attacco a Damasco è stato uno smacco pesante per la dittatura di Assad che vede la rivolta arrivare fino al cuore della capitale. L'attentato è stato rivendicato dell'Esercito libero siriano (Els), la formazione militare dell'opposizione organizzata e addestrata dai servizi occidentali e dai paesi arabi reazionari che alimentano la ribellione sunnita contro il presidente alawita siriano Bashar Assad, alleato dell'Iran sciita, puntando a portare la futura Siria dalla loro parte. Non a caso lo stesso giorno al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite la Gran Bretagna perorava per l'ennesima volta il varo di una risoluzione per decretare il fallimento dell'iniziativa diplomatica avviata dall'Onu e per il via libera all'intervento armato. "La situazione in Siria sembra andare rapidamente fuori controllo", commentava il Segretario americano alla difesa Leon Panetta che chiedeva di "aumentare la pressione" su Assad affinché se ne vada. Per il ministro degli esteri francese, Laurent Fabius, l'attentato a Damasco rendeva "ancora più necessario e urgente trovare una transizione politica" mentre per il suo collega britannico William Hague l'accaduto richiedeva "un'azione forte" da parte delle Nazioni Unite per porre fine al conflitto. I pruriti interventisti delle potenze imperialiste occidentali, e dei sionisti di Tel Aviv che si tengono defilati ma pronti a intervenire, erano ancora una volta stoppati dal veto di Russia e Cina sulla mozione Onu. I due paesi restano contrari all'intervento militare che è osteggiato soprattutto al Cremlino che non vuol perdere di colpo l'alleato Assad e essere buttato fuori dalla Siria. Alle due potenze imperialiste ancora brucia di essere state tenute fuori della porta dal banchetto delle concorrenti sulle spoglie della Libia "liberata" dalla dittatura di Gheddafi. In ogni caso è il popolo siriano, protagonista della rivolta contro il regime di Assad e che rischia di cadere dalla padella nella brace, il tenutario del diritto a decidere del proprio futuro. Secondo fonti dell'opposizione, i combattimenti in alcuni sobborghi della capitale sono continuati per diversi giorni. L'esercito riprendeva il pieno controllo del centrale quartiere di Midan e dei sobborghi meridionali di Tadamon e di Yarmouk solo il 20 luglio. E sempre il 20 luglio all'Onu il braccio di ferro in Consiglio di sicurezza si chiudeva con un compromesso che vedeva il voto all'unanimità di una risoluzione che estendeva di altri 30 giorni la missione degli osservatori in Siria e affidava all'ex segretario generale dell'Onu Kofi Annan il compito di "ricerca di una soluzione politica". Un compito non facile per l'ostinazione di Assad a non mollare e per l'interventismo dei paesi imperialisti occidentali che vogliono chiudere velocemente la pratica per altrettanto velocemente aprire il capitolo successivo, quello contro l'Iran. Lo confermava l'atteggiamento bellicista di Tel Aviv che per giorni sbandierava assieme agli Usa di Obama il "pericolo" dell'arsenale chimico e batteriologico di Assad. Quando Damasco precisava che le armi le aveva ma che le avrebbe usate solo contro una aggressione straniera il capitolo poteva dirsi chiuso. Invece il premier sionista Netanyahu dichiarava che "per Israele è una grande minaccia. Dobbiamo agire. Non escludo una azione militare". E il suo ministro della Difesa, il laburista Barak, aggiungeva di aver "indicato alle forze armate di tenersi pronte per una situazione in cui dovremo decidere se ricorrere a un attacco". Quello che è certo della crisi siriana è anche il crescente numero dei rifugiati all'estero o degli sfollati all'interno del paese. Secondo l'Acnur, l'agenzia delle Nazioni unite per i rifugiati, il numero dei siriani in fuga entrati nel vicino Libano sono una media di mille al giorno, con punte di 15 mila nei periodi della repressione dell'esercito di Assad sulle città in rivolta. Altre migliaia hanno passato il confine turco mentre secondo la Mezzaluna rossa siriana sarebbero un milione e mezzo le persone sfollate dalle zone di un conflitto arrivato fin dentro la capitale. 25 luglio 2012 |