Nonostante la violenta repressione poliziesca del regime fascista Le masse in rivolta stoppano la megafabbrica dei veleni in Cina La rivolta della popolazione di Shifang, una città del Sichuan di oltre 200 mila abitanti, ha bloccato la costruzione di un impianto per la lavorazione del rame cui le autorità cittadine avevano dato il via libera; migliaia di dimostranti sono scesi in piazza, hanno assaltato la sede del comune e affrontato i reparti antisommossa della polizia e dopo due giorni di scontri hanno imposto la stop ai lavori. Un successo provvisorio ma lo stesso importante che incoraggia le altre numerose lotte della popolazione contro la costruzione di fabbriche inquinanti sopra terreni fertili sottratti all'agricoltura o dentro le città che le amministrazioni locali favoriscono con l'avallo del governo centrale. Uno stop al "miracolo" capitalistico cinese costruito dal regime fascista sul supersfruttamento dei lavoratori e sulla devastazione del territorio. La protesta della popolazione di Shifang è una delle sempre più numerose che scoppiano in ogni angolo della Cina capitalista contro la costruzione di fabbriche pericolose per l'ambiente e la corruzione delle autorità locali, due piaghe che spesso viaggiano assieme. La scorsa estate aveva avuto una certa risonanza la protesta della popolazione di Dalian per chiedere la chiusura di un impianto chimico che inquinava acque e aria della città; una protesta che riuscì solo a ottenere l'installazione di impianti di depurazione. Forte di quella esperienza la popolazione di Shifang si è mobilitata per tempo, prima che prendesse il via il progetto di costruzione dell'impianto. Il primo di luglio l'amministrazione locale aveva organizzato una cerimonia in pompa magna con tanto di bandiere e banda comunale per l'apertura del cantiere della megafabbrica dei veleni, un progetto da un miliardo e mezzo di dollari che aveva approvato senza informare i residenti della zona sui parametri di inquinamento e di rischio per la salute. Già tra la popolazione circolava una petizione, firmata da migliaia di persone, nella quale si chiedeva che i lavori non avessero inizio e si invitava alla protesta perché "sarebbe inutile protestare quando la fabbrica è costruita. È indispensabile unirsi e lottare subito!". Dalla petizione è nata una protesta massiccia che ha visto migliaia di manifestanti scendere in piazza il 2 e 3 luglio, sfidare la minaccia di "severe punizioni" lanciata dalle autorità cittadine contro chi si sarebbe opposto alla costruzione dello stabilimento, assaltare la sede del comune e lanciare fitte sassaiole contro i funzionari ritenuti responsabili, affrontare i manganelli e i lacrimogeni dei reparti antisommossa della polizia che hanno tentato di soffocare la protesta. Negli scontri molti i feriti, tra i quali anche anziani e bambini. La rivolta si è placata solo dopo che le autorità locali annunciavano la sospensione momentanea dei lavori ma l'attenzione della popolazione resta vigile come confermano i grandi manifesti affissi per le strade dove si denuncia che "gli interessi in gioco sono troppi, a livello centrale e regionale, dieci miliardi di yuan fanno gola a troppi" e si invita a "manifestare ancora contro la corruzione". 11 luglio 2012 |