Piazza Tahrir un campo di battaglia Rivolta del popolo egiziano contro la giunta militare I giovani e giovanissimi in prima linea. L'esercito spara: oltre 40 morti e 1.800 feriti Il governo si è dimesso "Noi abbiamo solo rovesciato Mubarak ma il suo intero regime e la giunta militare sono ancora là", denunciavano i manifestanti scesi in piazza al Cairo e nelle altre città egiziane il 19 novembre, sottolineando la volontà del popolo egiziano di proseguire la rivolta iniziata lo scorso 25 gennaio, che ha costretto alle dimissioni l'ex presidente e che adesso si indirizza contro la giunta militare che guida di fatto il paese e detta le mosse al governo di Essam Sharaf. Quella giunta guidata dal maresciallo Mohammed Tantawi, sodale di Hosni Mubarak e garante della continuità della politica del suo regime per conto dei paesi imperialisti, Usa in testa. E che nei giorni successivi scatenava la repressione dell'esercito contro le manifestazioni di protesta che hanno avuto il loro centro in piazza Tahrir, al Cairo, il campo di battaglia dove negli scontri del 20 e 21 novembre l'esercito sparava e causava oltre 40 morti e 1.800 feriti. Il Consiglio supremo delle forze armate deve cedere il suo potere e permettere la formazione di un "governo di salute nazionale", ribadiva il milione di manifestanti, e forse più, in piazza Tahrir e nelle piazze di Alessandria, Ismailiya, Suez e di tante altre città che il 22 novembre rispondeva all'appello di 35 fra organizzazioni, partiti, gruppi sociali e movimenti giovanili per denunciare la repressione dell'esercito e la fine effettiva del regime di Mubarak. In una piazza Tahrir già piena dalla mattina, quando si svolgevano i funerali di alcune delle vittime dei giorni precedenti, e stracolma nel pomeriggio arrivava la notizia che il Consiglio supremo delle forze armate aveva accettato le dimissioni del governo di Essam Sharaf, deciso la formazione di un governo di salvezza nazionale e promesso elezioni presidenziali per il 30 giugno prossimo. Il ruolo di garante della transizione democratica non dovrebbe essere affidato ai militari ma alla suprema Corte costituzionale, presieduta da Farouq Soltan. Annunciata anche la liberazione dei manifestanti arrestati negli ultimi giorni e confermato l'avvio delle elezioni per il nuovo parlamento dal 28 novembre. Proprio contro il percorso elettorale deciso dalla giunta militare erano ripartite le proteste del 19 novembre, contro un meccanismo che prevede il voto per la Camera Bassa del Parlamento non in tutto il paese contemporaneamente ma in tre gruppi di governatorati, uno di seguito all'altro; fra primo turno e ballottaggi si arriverebbe a metà gennaio. Lo stesso meccanismo si ripete per la Camera Alta (Shura) a partire dal 29 gennaio fino all'ultimo eventuale ballottaggio dell11 marzo. Solo a quel punto il nuovo parlamento nel pieno dei suoi poteri avvierebbe le procedure per l'elezione del presidente della Repubblica, prevista alla fine del 2012 se non all'inizio del 2013. Dalla caduta del regime di Mubarak all'elezione del suo successore passerebbero quasi due anni, un periodo di transizione lunghissimo nel quale i poteri presidenziali resterebbero nelle mani della giunta militare di Tantawi. Un percorso contestato dai partiti e dalle associazioni animatrici della rivolta popolare, alcune delle quali organizzavano per il 19 novembre manifestazioni in varie città per protestare anche contro il progetto di modifiche alla Costituzione annunciate dal governo ad interim di Sharaf. Il documento governativo che illustrava le linee guida della nuova Costituzione prevedeva una speciale immunità per i militari e il fatto che i loro bilanci potessero essere esentati dai controlli del parlamento. Il 19 novembre al Cairo in piazza Tahrir centinaia di migliaia di manifestanti partecipavano alla giornata "per la protezione della democrazia" indetta dal partito Giustizia e libertà, il braccio politico dei Fratelli musulmani, da altre formazioni islamiche, liberali e socialiste, cui aderivano giovani del movimento "6 Aprile" e dalla campagna per i diritti umani. Che si opponevano alle modifiche costituzionali a favore dei militari proposte dal governo e per chiedere il passaggio di consegne dalla giunta militare ad un governo civile entro il maggio prossimo. Già dalla sera precedente molti manifestanti si radunavano nella piazza, montavano tende e grandi striscioni che chiedevano la "fine del governo militare" assieme a bandiere egiziane e caricature dei membri della giunta militare. Gli slogan erano chiari: "abbasso il governo militare" e "il popolo vuole la caduta del feldmaresciallo (Tantawi, ndr)". Il 19 novembre la polizia interveniva per sgomberare la tendopoli e sciogliere la manifestazione. Partivano i primi scontri che si ripetevano il 20 novembre con l'assalto massiccio dell'esercito al raduno di protesta. Per tutta la giornata piazza Tahrir ritornava a essere il campo centrale della rivolta popolare diretta contro la giunta militare, protagonisti giovani e giovanissimi in prima fila nel respingere gli attacchi dei soldati che usavano speciali gas lacrimogeni e le armi. Nel pomeriggio centinaia di migliaia di manifestanti arrivavano nella piazza in grandi cortei provenienti da varie parti della capitale a dar man forte ai manifestanti che fronteggiavano l'intervento dell'esercito. Nella giornata del 20 novembre si registravano vittime tra i manifestanti anche nelle proteste a Alessandria, Suez, Ismailia, Qena e Assiut. Nella serata il governo guidato da Sharaf presentava ufficialmente le sue dimissioni al Consiglio supremo delle Forze armate. Che il giorno seguente le accettava, assieme alla richiesta dei manifestanti di anticipare la data delle elezioni presidenziali. 23 novembre 2011 |