L'imperialismo affama i popoli Rivolte contro il carovita in Egitto, Tunisia, Haiti e in altri paesi Prezzi dei generi alimentari alle stelle La crisi alimentare per ora riguarda 37 paesi nel mondo L'impennata dei prezzi dei generi alimentari affama le popolazioni dei paesi in via di sviluppo, di quelli più poveri, e alimenta una serie di rivolte delle masse popolari contro il carovita, in particolare in Africa ma anche in altri paesi dell'Asia e e dei Caraibi. Il direttore generale della Fao, Jacques Diouf, al primo Forum mondiale dell'industria agro-alimentare che si è tenuto a Nuova Delhi il 9 aprile e successivamente a Roma, dove l'agenzia Onu ha indetto appositamente una conferenza stampa, ha denunciato che i prezzi "sono cresciuti del 45 per cento negli ultimi nove mesi e sul mercato iniziano a scarseggiare riso, frumento e mais". Secondo il commissario europeo per lo sviluppo Louis Michel "si profila nel mondo il rischio di uno shock alimentare, meno visibile di quello petrolifero, ma con l'effetto potenziale di un vero e proprio tsunami economico e umanitario in Africa". Da Washington il direttore generale del Fondo monetario internazionale (Fmi), il francese Dominique Strauss-Kahn, ha sottolineato che "il boom dei prezzi alimentari rischia di annullare i progressi fatti sul fronte della lotta contro la povertà" poiché "le nostre ricerche indicano che il costo potrebbe assorbire un intero punto di Pil 2005 per la maggior parte dei paesi africani, un impatto che io considero gigantesco". Prima ancora che dagli esperti del settore, la grave crisi alimentare era stata messa in evidenza dalle "rivolte per il pane" scoppiate in Egitto, Camerun, Costa d'Avorio, Burkina Faso, Etiopia, Indonesia, Madagascar, Filippine e Haiti. Mentre in Pakistan e Thailandia i governi hanno inviato l'esercito a fare la guardia ai campi e ai magazzini per impedire gli assalti della popolazione alla ricerca di cibo. Secondo la Fao la crisi alimentare riguarda per ora 37 paesi nel mondo. In Egitto uno sciopero degli operai di Mahalla al Kubra, una delle principali aree industriali del paese nel delta del Nilo, per chiedere l'aumento dei salari, che non superano i 60 euro, e contro i progetti di privatizzazione della Ghazl al Mahalla che con i suoi 27mila operai è una delle industrie tessili più grandi del mondo, ai primi di aprile si è trasformato in rivolta antigovernativa contro il carovita. Secondo il Programma alimentare mondiale (Pam) dall'inizio dell'anno il costo della vita è salito del 50%. In un paese dove l'inflazione ufficiale è al 12% ma quella reale è almeno al doppio, e dove oltre il 45% della popolazione vive con meno di due dollari al giorno, il pane sovvenzionato dallo Stato è diventato introvabile e davanti alle panetterie statali si formano file di ore con proteste spesso sfociate in scontri con la polizia. Anche a Mahalla al Kubra ai primi di aprile il presidente Mubarak ha inviato la polizia a reprimere la protesta operaia; nonostante la repressione poliziesca e alcuni morti tra i dimostranti gli operai hanno continuato la lotta. In Tunisia la protesta ha avuto il suo epicentro nel bacino minerario di Gafsa, dove la polizia tra il 7 e l'8 aprile ha arrestato una cinquantina di manifestanti fra i quali alcuni sindacalisti. La protesta era iniziata nel gennaio scorso da parte dei disoccupati che contestavano il sistema di assunzioni nella società di fosfati di Gafsa. Ai disoccupati che protestavano con sit-in, cortei, manifestazioni si è unita la popolazione e il principale bersaglio della mobilitazione è diventato il carovita. Alle proteste il presidente Ben Alì ha risposto con l'invio dei reparti antisommossa e la repressione. "Abbiamo fame. Fuori gli stranieri. Via i caschi blu" veniva gridato nelle manifestazioni dei primi di aprile in varie città di Haiti. "Dateci lavoro e dateci riso" gridavano per le strade della capitale dove venivano affrontati a colpi di armi da fuoco dai soldati della Minustah, la missione di stabilizzazione Onu che causava sette morti. L'intervento dei "caschi blu" dell'Onu non salvava il governo del primo ministro Jacques Eduard Alexis che il 13 aprile, dopo una settimana di violente proteste, veniva destituito dal Senato. Un segnale della dura crisi alimentare veniva anche dalla emergente superpotenza indiana dove l'11 aprile il ministro per Commercio e industria rivelava che nella solo settimana dal 23 al 29 marzo i prezzi al consumo erano cresciuti del 7,4%, la massima crescita degli ultimi 3 anni. Negli ultimi due mesi a Nuova Delhi il prezzo del riso è cresciuto del 33%. Per contenere i prezzi dei generi alimentari il governo ha già diminuito le imposte sull'importazione di olio per cucina e mais e ha proibito l'esportazione di riso non-basmati, l'alimento essenziale per il 65% della popolazione, e dei legumi. Una misura che potrebbe provocare ulteriori aumenti del prezzo del riso sui mercati mondiali, dova è già raddoppiato in 3 mesi, dato che l'India è il secondo maggior produttore di riso dopo la Cina e ne esporta oltre 4 milioni di tonnellate l'anno. In Burkina Faso il 9 aprile è iniziato uno sciopero contro l'aumento del costo di cibo e gasolio proclamato dai sindacati, una nuova iniziativa dopo quella del febbraio scorso, quando forti manifestazioni si erano svolte anche in Camerun dove almeno una quarantina di dimostranti erano stati uccisi dalla polizia e oltre 1.500 arrestati. Proteste e scontri l'1 e il 2 di aprile a Abidjan in Costa d'Avorio dove la polizia ha caricato i manifestanti che gridavano "abbiamo fame, vogliamo mangiare". Ultima in ordine di tempo la protesta in Bangladesh. Il 13 aprile scontri tra polizia e manifestanti si sono verificati nei pressi della capitale Dhaka dove 20.000 lavoratori del settore tessile protestavano per il rincaro dei prezzi del cibo e chiedendo salari più alti. I dimostranti hanno affrontato con sbarre e sassi i poliziotti armati di manganelli e gas lacrimogeni. Gli scontri sono avvenuti a Fatullah, uno dei sobborghi a una ventina di chilometri della capitale dove si trovano le industrie di abbigliamento fornitrici delle multinazionali del settore. Il salario minimo di un operaio tessile è di 15 euro al mese e raramente supera i 19 mentre nell'ultimo anno i prezzi dei beni alimentari sono più che raddoppiati. Nei paesi in via di sviluppo, in quelli più poveri, ha denunciato la Fao la spesa per il cibo arriva ad assorbire fino all'80% dei consumi complessivi, contro quella nei paesi industrializzati dove costituisce il 10-20% di quella complessiva. Secondo i dati resi noti dalla Banca mondiale, dal 2005 al 2007 il grano è aumentato del 70%, i cereali dell'80% e i prodotti caseari del 90%; questa impennata dei prezzi rischia di far diventare ancora più poveri 100 milioni di persone e di aumentare di 3-5 punti percentuali il tasso di povertà della popolazione mondiale. L'aumento dei prezzi dei generi alimentari colpisce pesantemente i già miseri livelli di vita della popolazione, la porta alla fame. La ragione di questi aumenti è dovuta, secondo gli esperti del settore, alla minore produzione dovuta ai cambiamenti climatici, alle scorte scese al minimo storico, a un maggiore consumo di carne e di prodotti caseari in paesi in crescita economica, all'aumentata domanda per la produzione di biocombustibili e ai costi più alti di petrolio, energia e trasporti. Senza contare la speculazione delle multinazionali del settore che controllano il mercato. Secondo la denuncia del presidente della Fao le rivolte per il pane non si fermeranno se i Paesi ricchi non "faranno un passo indietro di almeno vent'anni per correggere politiche di sviluppo errate". "L'inflazione globale - ha affermato Jacques Diouf - non dipende solo da elementi contingenti ma da fattori strutturali e se il cosiddetto Nord del mondo non cambierà modello di sviluppo, la bolletta per i cereali nei Paesi poveri continuerà a crescere e le rivolte popolari e sociali che oggi colpiscono Egitto, Tunisia, Senegal, Burkina Faso, Camerun, Guinea, Haiti e tanti altri Paesi poveri, dilagheranno". Tutti i paesi più colpiti dall'aumento dei prezzi agricoli hanno seguito una strada per lo sviluppo dettata dalle istituzioni internazionali che ha favorito la crescita dei prodotti destinati all'esportazione, sotto il controllo delle multinazionali del settore, a detrimento delle colture tradizionali destinate a garantire l'autosufficienza alimentare locale. Nella stessa denuncia preoccupata del pericolo dello "shock alimentare" del commissario europeo Michel mancano i riferimenti alle responsabilità dell'Unione europea che attraverso i trattati di libero commercio imposti ai paesi del Sud del mondo rappresenta una delle cause dell'impoverimento delle popolazioni africane. In altre parole è l'imperialismo che affama i popoli. 16 aprile 2008 |